.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

ANTICA


N. 57 - Settembre 2012 (LXXXVIII)

INGEGNERIA ROMANA

LUNGO GLI ARCHI D'ACQUA
di Massimo Manzo

 

Nel I secolo a.C. il geografo greco Strabone notando che “i Romani posero ogni cura su tre cose sopra a tutte, che furono invece trascurate dai Greci, l’aprire cioè strade, il costruire acquedotti, il disporre nel sottosuolo le cloache”, coglieva in pieno l’importanza che la mentalità romana diede alla realizzazione di opere complesse di ingegneria civile.

 

Spiriti pratici per eccellenza, i romani furono il primo popolo dell’antichità a cui si devono l’evoluzione e lo sviluppo dell’ingegneria, con tecniche così moderne e risultati talmente maestosi e duraturi, da stupire persino nel Terzo millennio. La costruzione di strade, acquedotti, impianti fognari, ponti, disseminati fin nelle più remote province dell’impero, di cui ancora oggi rimangono testimonianze tangibili, è da considerarsi uno dei tratti distintivi e forse più importanti della civiltà latina, un vero e proprio “marchio di romanità”, unico e insuperato per più di mille anni.

 

L’immenso impianto viario è in questo senso emblematico. Sintomo evidente della potenza politica ed economica romana, esso si irradiava a coprire tutto l’impero, simboleggiando la centralità di Roma quale punto d’incontro, sintesi e unione di civiltà ed esperienze culturali lontanissime tra loro. La stessa urbanizzazione di molte province è legata all’evoluzione di tale sistema di comunicazione.

 

Le sue origini sono molto remote nel tempo, ma fu soprattutto in epoca tardo repubblicana e imperiale che la rete stradale raggiunse il suo massimo sviluppo, arrivando ad avere una maglia di ben 120.000 chilometri.

 

Nella denominazione, le strade più antiche risentono dei chiari scopi commerciali per i quali sorsero e dei nomi delle località o regioni a cui giungevano. Ne sono chiari esempi la via Salaria, legata alle rotte del sale che coinvolgevano l’Italia centrale; la via Ostiense, che ancor prima del sorgere dell’omonima città collegava Roma alla foce (ostium appunto) del Tevere; e ancora la via Tuscolana, che portava a Tusculum o la Tiburtina che invece giungeva a Tivoli.

 

Fu solo con la celeberrima via Appia, voluta dal censore Appio Claudio nel 312 a.C., che le viae cominciarono a essere intitolate al magistrato che ne disponeva la costruzione, tributandogli così un onore paragonabile solo al trionfo riservato ai generali vittoriosi.

 

Strade come la Flaminia, l’Aurelia, la Cassia, l’Aemilia, i cui nomi sono ancora oggi familiari per chi vive a Roma, testimoniano tale tendenza.

 

Il tracciato delle antiche viae, seguendo un percorso volto al rapido raggiungimento della meta, veniva studiato con la massima cura ed era quasi sempre rettilineo, anche con forti pendenze, che arrivavano a raggiungere in certi tratti il 20%. Pur sfruttando al massimo la natura del paesaggio che attraversava, però, si doveva spesso contrastarlo con opere che rivelano la grande perizia tecnica dei costruttori.

 

Trafori, viadotti, ponti, terrazzamenti, oltre a opere di consolidamento e protezione della via come muri e canali di deiezione, erano infatti indispensabili per rendere rapido e sicuro il percorso, conferendogli stabilità e uniformità. Un altro elemento imprescindibile nella scelta del tracciato era la conoscenza perfetta della geomorfologia dei terreni e della natura del sottosuolo, che avrebbe garantito la durevolezza dell’opera, evitando cedimenti, frane o sprofondamenti.

 

Deciso l’itinerario, iniziava il duro lavoro di costruzione, che partiva con lo scavo di un canale profondo intorno ai 60 centimetri, corrispondente alla carreggiata, riempito con diversi strati di malta e pietrisco, e terminava con il posizionamento di grandi pietre poligonali, per lastricare la strada. In genere la carreggiata era larga 4 metri, con l’aggiunta di marciapiedi che aggiungevano 3 metri per lato. Si arrivava così a una larghezza complessiva di 10 metri.

 

Lungo le viae, amministrate in età repubblicana dagli edili e a partire da Augusto da appositi curatores viarum di nomina imperiale, si trovava inoltre un sistema di segnalazioni, costituito dalle pietre miliari (blocchi di pietra cilindrica che indicavano ogni miglio le distanze da Roma o da altre importanti città), e una rete di punti di sosta per i viaggiatori.

 

L’efficienza delle comunicazioni stradali in epoca romana è confermata dai tempi di percorrenza e dall’esistenza di un sistema postale velocissimo, che permetteva alle staffette di raggiungere in media le 50 miglia giornaliere.

 

Un’altra meraviglia dell’ingegneria erano gli acquedotti, suggestivamente soprannominati da Goethe “una successione di archi di trionfo”, sottolineando il fascino decadente delle loro rovine. Resa indispensabile per la fornitura idrica di Roma, che si avviava a divenire una metropoli, la costruzione di acquedotti iniziò nel IV secolo a.C. a opera del solito Appio Claudio, dal quale prese il nome il primo di essi. Iniziando nei pressi della via Collatina, l’acquedotto Appio aveva una lunghezza di 16 chilometri, percorsi quasi completamente sottoterra, e arrivava fino al Foro Boario, tra il Campidoglio e l’Aventino.

 

A esso ne seguirono molti altri: solo Roma ne aveva 11, per una lunghezza totale di 500 chilometri, senza contare quelli sparsi nel resto del suo vasto impero.

 

D’altronde gli impianti termali, le fontane, le piscine diffuse nell’Urbe, nonché le abitazioni dei pochi facoltosi in grado di permetterselo, richiedevano una fornitura d’acqua spaventosa, soprattutto se confrontata a quella attuale: nel complesso la quantità giornaliera era infatti di circa un milione di metri cubi; oggi Roma ne fornisce circa un milione e ottocento, ma ha il triplo degli abitanti.

 

Il primo dei nodi da sciogliere per la costruzione di un acquedotto era la scelta della sorgente naturale adatta, che veniva selezionata valutando la sua posizione geografica, la regolarità del flusso, nonché le caratteristiche dell’acqua: il grado di purezza, il sapore, la temperatura, la presenza di sali minerali e persino le qualità medicamentose.

 

Le sorgenti si trovavano tutte in zone collinari, situate più in alto rispetto alla città, dato che l’unico “motore naturale” che gli ingegneri romani usarono per trasportare l’acqua era la forza di gravità.

 

Il percorso che l’acquedotto avrebbe seguito era quindi scelto calcolando una leggera e continua pendenza, in media del 2%, analizzando attentamente la natura del territorio.

 

Per tracciare l’itinerario venivano utilizzati appositi strumenti tecnici come il chorobates (simile alla livella), che permetteva di tracciare una linea orizzontale immaginaria seguendo il corso dell’acquedotto e segnando, a intervalli regolari, le distanze verticali tra questa e il terreno.

 

Prima di essere incanalata in apposite condutture di piombo, l’acqua passava per delle vasche di decantazione, presenti anche lungo il tragitto dell’acquedotto, dette piscinae limariae, dove scorrendo più lentamente, veniva eliminata qualsiasi impurità.

 

Gran parte del percorso avveniva poi sottoterra, e solo quando c’era da superare un ostacolo naturale l’acquedotto usciva allo scoperto, rivelando quelle magnifiche strutture ad archi le cui rovine sono ancora maestose e affascinanti.

 

Chi si prende cura degli acquedotti di Roma, e quindi controllava e amministrava di tutte le risorse idriche, fu il potente curator aquarum, che per svolgere efficacemente il suo ruolo aveva alle dipendenze un vasto staff fatto di architetti, ingegneri, tecnici, nonché di centinaia di schiavi “pubblici”, ovvero mantenuti dallo Stato.

 

È proprio grazie al trattato di un curator aquarum, Sesto Giulio Frontino, vissuto nel I secolo d.C., che si è riusciti ad avere informazioni essenziali sui metodi di costruzione e altre preziosissime notizie relative agli acquedotti.

 

Ultima delle tre realizzazioni ingegneristiche richiamate da Strabone fu la creazione a Roma di un vasto sistema di cloache, finalizzate allo smaltimento dei prodotti di rifiuto e delle acque nere. La prima fra queste, la Cloaca Maxima, fu la più antica e grande fra le opere di urbanizzazione di Roma.

 

La sua costruzione risale addirittura all’epoca dei Tarquini (VI secolo a.C.) quando l’Urbe era ancora una monarchia. Prima che fosse realizzato il sistema delle cloache, Roma era infatti circondata da paludi e acquitrini, talché la loro ideazione fu il presupposto indispensabile per la crescita della città.

 

Sotto questo aspetto i Romani devono senz’altro molto agli Etruschi, da cui appresero utilissime tecniche di ingegneria idraulica che riprenderanno e affineranno, per organizzare e migliorare su larga scala il loro impianto fognario.

 

Fu proprio grazie alla Cloaca Maxima che si riuscirono a sanare ampie aree della città corrispondenti al Circo Massimo, al Foro e alla Suburra. La sua manutenzione continuò imperterrita durante tutta l’epoca imperiale, tanto da rendere visibili successivi rimaneggiamenti e miglioramenti dell’opera. In alcuni tratti, ancora oggi percorribili, essa esprime una “monumentalità”, che da sola ne spiega la fama.

 

Valutando i traguardi dell’ingegneria romana, non si può che rimanere stupefatti, riconoscendogli una modernità, un’efficienza e una genialità che travalicano i limiti temporali, rendendo quell’esperienza unica e irripetibile. Essa è forse veramente “la più alta manifestazione della grandezza di Roma”, come affermava Frontino. Di sicuro, rappresenta una delle eredità più autentiche che i Romani hanno lasciato al mondo.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.