UN ANNO SENZA ESTATE
Recenti mini-glaciazioni
e l’estate senza sole del 1816
di
Francesco Cappellani
Con il termine clima si intende
l’insieme dei valori statistici di
una serie di parametri meteorologici
come temperatura, precipitazioni,
venti etc. su una scala temporale
dell’ordine dei trent’anni. Il clima
della Terra è cambiato notevolmente
nei secoli e nei millenni passati,
ma, dagli ultimi decenni del secolo
scorso, ci si è resi conto che
queste variazioni possono essere
influenzate in modo notevole da uno
scriteriato sfruttamento e abuso
delle risorse del pianeta da parte
dell’uomo.
Questi effetti antropogenici,
iniziatisi con lo sviluppo
dell’agricoltura e il conseguente
impoverimento delle zone boschive e
delle foreste per creare terreni
coltivabili e pascoli, si sono poi
dilatati con l’industrializzazione
che ha portato all’emissione di
grandi quantità di gas “serra”
responsabili del lento riscaldamento
attuale della nostra atmosfera. Si
tratta essenzialmente di anidride
carbonica dovuta alla combustione di
petrolio e carbone, di biomassa
(legno, vegetazione etc.), e di
metano derivante in larga parte
dagli allevamenti intensivi di
animali domestici. Va chiarito che
una corretta quantità di questi gas
serra insieme all’acqua sotto forma
di vapore, cioè l’effetto serra
“naturale”, è indispensabile per la
vita in quanto costituisce una sorta
di schermo termico senza il quale la
temperatura media della superficie
terrestre sarebbe di -18 °C rispetto
ai 14 °C attuali.
I gas serra infatti sono trasparenti
ai raggi solari diretti al suolo, ma
assorbono gran parte del calore
riemesso dalla superficie terrestre
e dalla bassa atmosfera come
radiazione infrarossa verso lo
spazio, trattenendo una quantità di
energia solare indispensabile per la
regolazione termica del nostro
pianeta.
Cambiamenti climatici possono
verificarsi per cause assolutamente
indipendenti dalle attività umane, e
cioè eruzioni vulcaniche, variazioni
dell’attività solare e, più
occasionalmente, l’impatto di
meteoriti di grandi dimensioni.
Altri fattori che contribuiscono
alle variazioni climatiche ma solo
su scale temporali di circa
centomila anni, sono dovuti
all’inclinazione dell’asse
terrestre, alla precessione degli
equinozi e alla eccentricità
dell’orbita del nostro pianeta.
Grazie alle raffinate tecniche messe
a punto negli anni recenti, è
possibile, analizzando le bolle
d’aria intrappolate nelle “carote”
di ghiaccio prelevate anche a grandi
profondità nelle calotte polari,
risalire alla composizione
dell’atmosfera in epoche remote.
Analogamente vengono studiati
campioni di sedimenti marini, gli
spessori e le sequenze degli anelli
arborei in piante secolari
(dendrocronologia) e le strutture
degli strati geologici. Questi
diversi dati, analizzati in
parallelo, ci permettono di arrivare
a una immagine attendibile
dell’evoluzione climatica del nostro
pianeta.
Il più importante caso di
raffreddamento della superficie
terrestre negli ultimi duemila anni
si ebbe nel periodo 535-536 d.C.:
buona parte dell’emisfero
settentrionale del nostro pianeta
rimase avvolta da uno spesso velo di
nebbia asciutta per quasi dieci
anni. Fu dovuto all’effetto
schermante della radiazione solare
causato dalle ceneri di una
violentissima eruzione vulcanica
oppure, con minore probabilità,
dalle polveri proiettate verso
l’alto dall’impatto di un grosso
meteorite con la Terra. Morirono
decine di migliaia di persone; si
ebbe un crollo della produzione
agricola dovuta alla minore
insolazione e all’aumento della
siccità con conseguenze
catastrofiche per le popolazioni,
afflitte da carestie e diffuse
epidemie.
Di questa terribile calamità ci sono
testimonianze importanti nei Gaelic
Irish Annals: negli annali di Ulster
si parla della scarsità di pane nel
536 d.C. e negli annali di
Inisfallen del medesimo problema
negli anni 536-539. Riferendosi al
536 d.C. ne parla lo storico
bizantino Properzio nella
descrizione della guerra contro i
vandali: «(…) durante quest’anno
ebbe luogo un fenomeno terrificante.
La luce emanata dal Sole non era
brillante (…) sembrava come se ci
fosse un’eclisse di sole, poiché i
raggi che il sole diffondeva erano
opachi». Analogamente Cassiodoro,
politico, letterato e filosofo
romano, scrive: «Il Sole sembra
avere perduto la sua luminosità, ed
appare di un colore bluastro. Ci
meravigliamo nel non vedere l’ombra
dei nostri corpi, di sentire la
forza del calore del Sole
trasformata in debolezza (… Abbiamo
avuto un’estate senza caldo (…) la
pioggia sembra si rifiuti di
cadere».
Fenomeni analoghi furono rilevati e
annotati in Cina dove si ebbero
nevicate in Agosto, in Europa e in
Perù dove la siccità e le
conseguenze dell’eruzione colpirono
la popolazione Maya e arrestarono lo
sviluppo storico di questa civiltà
per parecchi anni. Le analisi
ricavate dai carotaggi di ghiacci
della Groenlandia e in Antartide
hanno evidenziato la presenza di
solfati nella sezione riferibile
agli anni 533-534.
Ciò indicherebbe l’origine vulcanica
della mini-glaciazione come appare
confermato oggi da studi recenti che
ne attribuiscono la paternità a una
violentissima eruzione del vulcano
salvadoregno Ilopango, vicino alla
capitale San Salvador. La quantità
di ceneri emesse è stata valutata in
ottantaquattro km cubi; le
dimensioni di cento kmq della
caldera di Ilopango, i resti del
cratere del vulcano oggi estinto e
divenuto un lago, confermano la
vastità del vulcano e la violenza
dell’eruzione.
Penuria di raccolti, siccità e
carestie conseguenti a questo
violento cambiamento climatico
possono avere contribuito al
diffondersi di una delle più
spaventose epidemie della storia
dell’umanità, la pandemia di peste
bubbonica nota col nome di “peste di
Giustiniano”, dal nome
dell’imperatore romano di
quell’epoca, che, tra il 541 e il
542, causò la morte di almeno
venticinque milioni di persone,
dando il colpo di grazia al
moribondo impero romano. La capitale
Costantinopoli fu la più colpita:
Procopio di Cesarea parla, forse
esagerando, di diecimila morti al
giorno; si ritiene comunque che il
quaranta per cento della sua
popolazione sia stato decimato dalla
pestilenza.
Tra il IX e gli inizi del XIV secolo
le temperature furono
particolarmente miti, ma dal 1300 in
poi, per circa 500 anni si verifica
quella che è stata denominata
“piccola glaciazione” con un aumento
progressivo delle zone ghiacciate e
perfino neve su alcune montagne
nordafricane e l’inondazione in
Africa di centri come Timbuctù
causate dal Niger esondato per le
copiosissime piogge. Anche in Europa
si hanno ondate di gelo, il mare
Baltico gela ripetutamente e nel
1658 Carlo X lo attraversa con le
sue truppe per attaccare la
Danimarca nel corso della II guerra
del Nord. Il Tamigi è ghiacciato e
sopra vi si svolge normalmente la
Thames Frost Fair.
Un evento estremo della piccola
glaciazione fu registrato nel 1709,
dall’Epifania fino alla primavera,
particolarmente in Europa dove, in
Italia, molti fiumi e laghi
gelarono, e divennero traversabili
con i carri da una sponda all’altra.
Anche il mare gelò bloccando i porti
di Genova e Marsiglia e la laguna di
Venezia. I danni alle coltivazioni
furono enormi con conseguenti
periodi di pesanti carestie.
Altro inverno estremo fu il 1816,
anno in cui la stagione estiva fu
fredda e buia. La causa di questo
raro fenomeno climatico è attribuito
alla eruzione del vulcano Tambora
nell’isola indonesiana di Sumbawa
nell’oceano indiano, la più
devastante eruzione vulcanica della
storia moderna, con colonne
eruttive, nelle prime due
esplosioni, alte fino a 40 km.
Iniziata il 5 Aprile del 1815 e
proseguita per oltre quattro mesi
iniettò nell’atmosfera un’immensa
quantità di cenere, circa 150 km
cubi, insieme a circa 70 milioni di
tonnellate di anidride solforosa
creando una coltre di aerosol che
oscurava la luce solare e sconvolse
per oltre un anno il clima non solo
dell’Asia ma anche dell’Europa e del
Nord America.
L’energia sviluppata dall’eruzione
fu equivalente a oltre 2 milioni di
volte quella della bomba atomica su
Hiroshima. Alla fine dell’eruzione
il vulcano, alto oltre quattromila
metri, era ridotto a circa
duemilaottocento metri. Le ceneri e
le colate piroclastiche ricoprirono
l’isola distruggendo completamente
la vegetazione. Le cronache
dell’epoca raccontano che il boato
delle esplosioni fu udito fino a
Sumatra a milleottocento km di
distanza e che dei ventiseimila
abitanti della cittadina di Tambora
ai piedi del vulcano, solo qualche
centinaio sopravvissero, inoltre:
«Turbini violenti portarono uomini,
cavalli, bovini in aria, sradicarono
i più grandi alberi dalle radici, e
coprirono tutto il mare di legname
galleggiante».
La cenere portata nell’alta
atmosfera si aggiungeva a quella
proveniente dall’eruzione del
vulcano Soufrière nel 1812
nell’isola di Saint Vincent nei
Caraibi e del monte Mayon nel 1814
nelle Filippine, i venti in quota
diffondono l’enorme quantità di
polvere sottili intorno al globo
formando una densa cappa opaca che
riduce la radiazione solare al suolo
provocando un aumento dell’oscurità
e un calo delle temperature che dura
quasi due anni. Questi fenomeni
produssero alterazioni del clima che
si tradussero in inondazioni,
epidemie, carestie e, nel 1816, alla
quasi totale assenza dell’estate
tanto che quell’anno è ricordato
come “l’anno senza estate”. A essi
si aggiunse una minore energia
irraggiata dal sole documentata da
una netta diminuzione delle macchie
solari (minimo di Dalton) che durava
dal 1790 e terminerà all’incirca nel
1830, inoltre era in corso la
piccola glaciazione che si protrarrà
fino al 1850.
Nel New England e nel Canada
orientale la maggior parte dei
raccolti fu distrutta dal ghiaccio e
dalle nevicate; all’inizio di giugno
una nevicata di circa trenta cm
ricoprì il Quebec e a Luglio e
Agosto ghiacciarono laghi e fiumi in
Pennsylvania. Tempeste e inondazioni
colpirono anche l’Europa, dove ci fu
un’abbondante esondazione del Reno.
Ha inizio un lungo periodo di
carestie.
Le popolazioni migrano alla ricerca
di nuove risorse: nel Nord America,
provato dalle condizioni estreme
della costa Est, gruppi sempre più
numerosi di famiglie si spostano nel
midwest e verso le terre dell’ovest,
inizia la conquista del Far West. Si
diffondono malattie infettive dovute
a carenze igieniche e alla
malnutrizione, e appare per la prima
volta in Europa il colera, allora
presente solo nel delta del Gange.
Le difficoltà del momento obbligano
la gente ad aguzzare l’ingegno. È il
caso del barone Karl Drais di
Karlsruhe, che avendo perso per
mancanza di foraggio quasi tutto il
suo bestiame da traino e da
trasporto, inventa il primo
velocipede, antenato della
bicicletta, collegando due ruote di
un carro agricolo con un telaio in
legno sul quale si montava come a
cavallo.
L’estate senza sole del 1816 va
ricordata anche per un fatto
culturale straordinario. Lord Byron
con un gruppo di amici tra cui la
sua ex-amante Claire Clairmont
incinta della figlia del poeta, la
sorellastra di lei, la diciannovenne
Mary Wollstonecraft Godwin col
fidanzato Percy Bysshe Shelley che
sposerà a fine anno, John William
Polidori, medico personale di Byron
e zio del pittore preraffaellita
Dante Gabriele Rossetti, si trovano
sul lago Lemano per trascorrere le
vacanze estive. Le condizioni del
tempo sono pessime e gli amici sono
costretti a passare le giornate
chiusi in casa. Byron, prostrato
dalle interminabili condizioni di
freddo e di buio, scrive la poesia
Darkness (Oscurità) che
inizia con questi versi che
riflettono la desolante situazione
climatica di quel periodo:
Ebbi un sogno che non era
completamente un sogno.
Il sole radioso si era spento, e le
stelle vagavano
oscurandosi nello spazio eterno,
prive di raggi e perdute, e la terra
coperta di ghiacci
intenebrandosi ruotava cieca
nell’aria senza luna;
il mattino venne e svanì, ritornò
senza portare il giorno.
Per riempire le giornate gli amici
decidono di sfidarsi nella
composizione di un racconto di tipo
“gotico-fantastico”. Nascono così,
quasi per esorcizzare l’angoscia
delle cupe giornate vissute spesso
al lume di candela, due opere che
raggiungeranno una fama
straordinaria e una diffusione
mondiale, Frankenstein, or The
Modern Protheus scritto da Mary
Godwin Shelley e The Vampire
da John William Polidori. I
personaggi principali dei due
racconti, Frankenstein e Dracula,
diverranno degli archetipi degli
incubi irrazionali del mondo moderno
e tecnologico, dando corpo a tutte
le paure della timorosa società
borghese che si andava sviluppando
in Europa.
La presenza di aerosol atmosferico,
costituito da particelle di minime
dimensioni (principalmente ceneri e
polveri), provoca un fenomeno di
diffusione della radiazione solare.
La parte dello spettro luminoso di
maggiore lunghezza d’onda (cioè di
colore dal giallo al rosso) è meno
deviata nella direzione
dell’osservatore a terra rispetto
alle altre. Ciò spiega l’arrossarsi
del cielo al tramonto dove i raggi
solari, causa la traiettoria sempre
più tangente alla superficie
terrestre, attraversano un tratto
più lungo di atmosfera incontrando
una maggiore quantità di aerosol che
ne disperdono quasi completamente la
componente blu.
I crepuscoli del 1816, a causa della
presenza in atmosfera di inusitate
quantità di ceneri vulcaniche,
presentarono una abnorme luminosità
rossastra; ne fu ispirato il grande
pittore inglese Joseph Mallord
William Turner che immortalò sulla
tela questi tramonti così anomali e
straordinari documentando in modo
inequivocabile la situazione
eccezionale che si era verificata.
La variazione dell’attività solare è
stata spesso indicata come
corresponsabile di cambiamenti
climatici anche se, a tutt’oggi,
malgrado la messa a punto di
sofisticati modelli atmosferici, una
sua stretta connessione con la
meteorologia troposferica e il clima
non è stata trovata. Durante i
periodi di maggiore attività vi è un
piccolo aumento dell’energia solare
depositata nella stratosfera che
sembra però avere effetti climatici
limitati sulla superficie terrestre
e in ogni caso trascurabili rispetto
al contributo antropogenico.
L’intensità della radiazione solare
è correlata col numero delle macchie
solari scoperte da Galilei nel 1612.
Queste sono delle zone che affiorano
sulla superficie a seguito di
violente tempeste magnetiche nella
parte interna del sole; si tratta di
veri e propri tubi di flusso
magnetico con temperature inferiori
di quasi duemila °C rispetto a
quella della superficie del Sole, la
fotosfera, che è di circa seimila
°C, e hanno quindi minore luminosità
per cui sono visibili come macchie
più scure. Compaiono inizialmente
alle latitudini più elevate per poi
portarsi verso la fascia
equatoriale; col passare del tempo
sbiadiscono e scompaiono del tutto.
Il grafico della media annuale delle
macchie solari a partire dal 1600
evidenzia un andamento sinusoidale
con picchi di differente ampiezza
che si ripetono all’incirca ogni
undici anni, il cosiddetto ciclo
solare. Le cause di questo fenomeno
e la constatazione sperimentale che
il cosiddetto “battito cardiaco” del
Sole, cioè il ciclo delle macchie
solari, presenta delle irregolarità
variando tra i dieci e i dodici anni
sono oggetto di studio da decenni ma
non si è ancora giunti a una
spiegazione risolutiva. I modelli si
basano sulla esistenza di un potente
campo magnetico generato dal moto
turbolento del plasma all’interno
del sole e dalle particelle cariche
nella sua zona convettiva, cioè
nella parte esterna a contatto con
la superficie; si parla di un
effetto “dinamo differenziale”, dove
l’energia elettromagnetica
necessaria è generata dalla
rotazione del Sole su se stesso.
Il campo magnetico inverte il
proprio verso all’incirca ogni
undici anni in corrispondenza del
massimo dell’attività solare. Questo
meccanismo è responsabile della
comparsa delle macchie solari, delle
eruzioni superficiali e del vento
solare che proietta materia nello
spazio, ma non riesce a spiegare le
differenze riscontrate nella
“frequenza cardiaca” del nostro
astro e le variazioni di intensità
tra i cicli; ad esempio le
previsioni riguardo all’attuale
ciclo, iniziato nel 2019, sono
contraddittorie.
Un fatto anomalo che emerge da
questi dati è la quasi totale
assenza di macchie solari tra il
1645 e il 1715, periodo chiamato
“minimo di Maunder” dal nome
dell’astronomo Edward Walter Maunder
che lo scoprì pubblicando i
risultati alla fine del 1800.
Questo periodo coincide con la parte
centrale della piccola glaciazione;
il clima terrestre cominciò a
risalire nel 1850 per stabilizzarsi
in seguito sui valori attuali. Le
cause della piccola era glaciale
sono molto dibattute; oltre alla
scarsa attività solare si è visto
che dal 1258 in poi vi era stata una
serie di violente eruzioni
vulcaniche fino a quella del vulcano
Tambora del 1815, di cui abbiamo
parlato, che avranno senz’altro
contribuito al raffreddamento della
superficie terrestre. A oggi
tuttavia non si è arrivati ancora a
una spiegazione esauriente della
complessità e della lunga durata di
questo fenomeno climatico.