N. 72 - Dicembre 2013
(CIII)
MILLE E NON PIÙ MILLE
UNA FINE DEL MONDO "NON" ANNUNCIATA
di Alberto Marino
Quando
si
pensa
a
coloro
che
vissero
nel
Medioevo,
ci
si
immagina
spesso
degli
individui
servili
e
vittime
inermi,
per
circa
dieci
secoli,
di
malattie,
angherie
e
superstizioni.
La
vita
di
allora,
ben
distante
dalle
scostanti
rappresentazioni
rinascimentali
e
dalle
trasognate
fascinazioni
ottocentesche,
si
dipinge
invece
in
un
quadro
molto
più
complesso,
una
realtà
che
cambia
aspetto
in
base
alla
regione,
al
secolo
e ai
ceti
sociali.
In
questa
prospettiva,
una
delle
più
accreditate
credenze
attribuite
al
Medioevo
vuole
che
siano
stati
proprio
gli
uomini
di
quei
secoli
i
primi
a
sperimentare
la
paura
della
fine
del
mondo.
Tutto
sembra
sia
scaturito
principalmente
dalla
ormai
celeberrima
frase:
“Mille
e
non
più
mille”,
che
secondo
alcuni
vangeli
apocrifi
si
crede
sia
stata
pronunciata
da
Gesù
in
persona.
Altre
testimonianze
importanti
addotte
per
avvalorare
questa
tesi
sono
fornite
da
chi
vede
in
alcuni
passi
dell’Apocalisse
di
Giovanni
(Apocalisse
20:1-7)
un’
inequivocabile
e
profetica
anticipazione
della
fine
del
mondo
in
seguito
alla
liberazione
di
Satana
dopo
mille
anni
di
prigionia.
In
realtà
i
brani
tratti
dai
Vangeli,
soprattutto
da
quelli
apocrifi,
nel
Medioevo
assumevano
spesso
un
taglio
novellistico
e
gnomico,
il
valore
che
gli
veniva
attribuito
era
molto
più
moraleggiante
che
premonitore,
e
non
tutti
erano
a
conoscenza
dell’esatto
contenuto
dell’allora
unica
versione
in
latino
della
Bibbia,
la
cosiddetta
Vulgata
di
S.
Girolamo,
poiché
il
latino
era
per
definizione
la
lingua
elitaria,
quella
dei
dotti
e
del
potere,
è
ben
noto
come
l’accesso
ai
documenti
scritti
in
questa
lingua
fossero
accuratamente
preclusi
al
popolo,
Bibbia
inclusa.
Molti
degli
uomini
che
vissero
tra
il
primo
e il
secondo
millennio
inoltre
non
avevano
la
benché
minima
paura
che
il
mondo
sarebbe
potuto
terminare
allo
scoccare
della
mezzanotte
del
31
dicembre,
dal
momento
che
l’Europa
adottava
ancora
criteri
di
calendarizzazione
differenti
tra
regione
e
regione,
e al
calendario
giuliano
si
affiancavano
come
sistemi
di
riferimento
spesso
anche
i
cicli
stagionali
o
gli
anni
di
regno
degli
imperatori.
A
ciò
si
aggiunge
il
motivo
importante
delle
fonti,
non
ci
sono
giunte
infatti
prove
di
alcun
tipo
in
merito
ad
eventuali
fobie
collettive
sulla
fine
del
mondo,
e le
uniche
testimonianze
degne
di
nota
che
possiamo
leggere
in
merito
a
degli
strani
accadimenti
riguardano
semplicemente
dei
terremoti
o
delle
rilevazioni
astronomiche
sulle
comete:
troppo
poco
dunque
per
poter
trarre
conclusioni
affrettate.
In
realtà
se
di
fine
del
mondo
si
deve
parlare,
quella
che
ha
travolto
quei
secoli
è la
fine
di
una
profonda
crisi
economica
e
culturale
che
aveva
attraversato
trasversalmente
tutto
il
cosiddetto
“Alto
Medioevo”.
È
un’epoca
quindi
che
ha
conservato
come
in
un’incubatrice
tutti
gli
elementi
che
avrebbero
fatto
del
“Basso
Medioevo”
un
periodo
di
rinascita.
Tuttavia
sarebbe
uno
sbaglio
pensare
che
all’accelerazione
repentina
del
benessere
si
affiancassero
in
modo
uniforme
la
crescita
demografica,
l’espansione
delle
tecnologie
agrarie
e il
miglioramento
economico,
poiché
per
diversi
secoli
i
limiti
dovuti
al
monopolio
culturale
della
Chiesa,
all’estensione
geografica,
al
clima
e
alle
epidemie
hanno
giocato
un
ruolo
determinante
nel
rallentamento
dei
processi
di
crescita
collettiva.
Inoltre
la
piramide
sociale
del
rigido
sistema
feudale
vide
la
propria
stabilità
incrinarsi
proprio
in
quegli
anni,
la
corte
continuò
a
vivere
per
diversi
secoli,
ma
stavano
iniziando
già
a
modificarsi
quei
rapporti
tra
potere
e
popolani,
che
nel
XII
porteranno
questi
ultimi
a
vedersi
non
più
come
“sudditi”
ma
come
“cittadini”
di
una
inedita
realtà
politica
e
culturale.