N. 59 - Novembre 2012
(XC)
SUl Concilio Vaticano II
A cinquant’anni da un grande evento per la Chiesa e il mondo
di Marco Lavopa
Sono
passati
cinquant’anni
dall’inizio
del
Concilio
Vaticano
II,
un
tentativo
di
cambiamento
nella
vita
della
Chiesa
e
non
solo
di
essa.
Com’è
noto,
prima
del
Vaticano
II,
la
storia
della
Chiesa
è
stata
per
lungo
tempo
quasi
interamente
ridotta
alla
figura
del
Papa
e
alla
sua
azione,
trascurando
il
ruolo
di
vescovi,
sacerdoti,
laici
e
prescindendo
dal
contesto
più
ampio
in
cui
la
Chiesa
è da
sempre
inserita:
le
società,
il
mondo.
Pur
riguardando
la
storia
della
Chiesa
cattolica,
il
Concilio
Vaticano
II
ha
avuto
un’influenza
importante
anche
sugli
sviluppi
della
storia
del
mondo
contemporaneo.
Samuel
Huntington
ha
scritto
nel
1991
un
volume
intitolato
La
terza
ondata.
I
processi
di
democratizzazione
alla
fine
del
XX°
secolo
in
cui
sostiene
che
l’aumento
del
numero
dei
paesi
democratici
negli
ultimi
decenni
del
Novecento
è
dovuto
soprattutto
a
due
fattori:
il
crollo
del
comunismo
in
Europa
orientale
e,
prima
ancora,
il
Vaticano
II.
Che
il
Concilio
Vaticano
II
rappresenti
una
novità
nella
storia
della
Chiesa
del
Novecento
è
oramai
indubbio.
Tutti
l’accettano
per
dato
acquisito,
anche
quelli
che
individuano
in
esso
la
ragione
primaria
dell’attuale
crisi
della
Chiesa
cattolica.
Ma
di
quale
novità
si
tratta?
Il
Cardinale
Siri
annota
nel
suo
diario
che
quanto
affiorato
al
Vaticano
II
riprende
istanze
modernistiche.
Più
numerosi
sono
invece
coloro
che
vi
vedono
la
realizzazione
di
un
movimento
di
rinnovamento
della
Chiesa,
già
presente
nella
prima
metà
del
XIX°
secolo.
Sta
allo
storico
tuttavia
ricostruire,
nei
vari
momenti
della
storia
della
Chiesa,
la
consistenza
propria
di
ogni
momento,
la
sua
specificità
rispetto
ad
altri
momenti
di
una
storia
lunga
due
millenni.
Per
questo
lo
storico
deve
collocarsi
davanti
al
Vaticano
II
come
«evento».
L’evento,
nel
linguaggio
degli
storici,
sottolinea
la
specificità
degli
avvenimenti
che
cambiano,
l’equilibrio
di
orizzonti
di
lunga
durata.
A
questo
proposito
la
considerazione
dello
storico
gesuita
John
O’Malley
esposte
nel
suo
Cosa
è
successo
nel
Vaticano
II
? è,
a
mio
avviso,
degna
di
nota.
O’Malley
sottolinea
come
la
composizione
stessa
del
Vaticano
II,
rappresentativo
di
tutta
la
Chiesa
come
mai
prima,
disegni
innegabilmente
un
elemento
di
novità
rispetto
ai
passati
Concili.
La
presenza
dei
teologi
(alcuni
oggetto
di
passate
condanne:
Congar,
De
Lubac,
Courtenay
Murray),
la
celebrazione
liturgica
in
lingua
volgare,
il
fatto
di
rivolgersi
a
tutta
l’umanità
e
non
solo
al
clero,
la
presenza
delle
donne
(seppur
in
un
numero
risibile),
degli
osservatori
non
cattolici
e
dei
media
(è
proprio
al
Vaticano
II
che
nasce
la
figura
del
vaticanista),
rappresentano
tutti
elementi
di
novità
rispetto
ai
passati
Concili.
Ma
la
vera
grande
novità
del
Vaticano
II è
sicuramente
la
rinuncia
alla
logica
della
condanna
e
l’apertura
alla
storia.
A
tal
proposito
penso
ad
esempio
alla
cancellazione
definitiva
dal
messale
della
preghiera
sui
«perfidi
ebrei»
(Oremus
et
pro
perfidis
Judaeis:
istituita
nel
VII
secolo,
era
presente
nella
liturgia
del
Venerdì
Santo;
Giovanni
XXIII
fece
togliere
le
parole
perfidis
e
perfidiam
dal
suo
rito
nel
1959
e
definitivamente
scomparse
nel
1962),
voluta
da
Giovanni
XXIII.
Certo,
non
mancano
già
in
Pio
XII
accenni
alla
necessità
di
aprirsi
alla
storia.
Ma
questa
volontà
è
ancora
ingabbiata
dentro
un
orizzonte
di
corto
respiro.
In
Papa
Pacelli
la
Chiesa
è
ancora
una
fortezza
assediata
che
va
difesa
a
partire
dalla
denuncia
degli
errori
del
mondo.
Per
Papa
Roncalli,
invece,
la
Chiesa
deve
abbracciare
il
mondo
e
rispondere
alle
sue
attese,
queste
ultime
poste
in
relazione
con
le
urgenze
della
storia.
Ecco
la
necessità
di
indire
un
nuovo
Concilio.
Ma
quali
sono
i
problemi
che
caratterizzano
il
mondo
alla
vigilia
del
Vaticano
II?
Cosa
può
fare
la
Chiesa
di
fronte
al
corso
della
storia?
In
tutti
i
partecipanti
al
Concilio
Vaticano
II,
cardinali,
vescovi,
teologi,
laici,
l’esperienza
della
guerra
è
ancora
viva
nella
memoria
e
con
essa
anche
tutto
quello
che
l’ha
preceduta:
la
crisi
economica
alla
fine
degli
anni
venti,
i
regimi
totalitari
in
Europa,
le
leggi
razziali
fasciste
e
naziste,
la
shoah.
La
seconda
guerra
mondiale
rappresenta
il
drammatico
fallimento
di
tutti,
anche
della
Chiesa.
Alla
fine
del
conflitto
gli
uomini,
le
società,
e le
istituzioni
non
sono
più
le
stesse.
Alla
fine
della
seconda
guerra
mondiale
il
Vecchio
Continente,
il
mondo,
si
mostra
lacerato
e
diviso
in
due
blocchi
contrapposti:
la
cesura
epocale
della
«guerra
fredda».
La
spartizione
tra
USA
ed
URSS
determinata
a
Yalta,
tratteggia
il
rischio
di
un
ritorno
ai
conflitti.
A
rendere
visibile
lo
spettro
di
un
ritorno
alla
guerra
è
l’intensa
corsa
agli
armamenti
delle
due
superpotenze.
Una
crescita
di
armamenti
non
solo
in
senso
quantitativo,
ma
soprattutto
in
senso
di
accrescimento
della
capacità
distruttiva
degli
ordigni.
Il
terrore
di
un
conflitto
nucleare,
poi,
mantiene
in
piedi
un
sistema
di
equilibrio
tra
forze
contrapposte.
La
partita,
tuttavia,
non
è
giocata
nel
solo
campo
militare.
La
contrapposizione
ideologica,
infatti,
determina
importanti
ripercussioni
sulle
società
delle
rispettive
aree
d’influenza.
Lo
scontro
ideologico
tra
le
due
superpotenze
USA
ed
URSS
s’inserisce
finanche
all’interno
del
processo
di
decolonizzazione.
La
«guerra
fredda»
in
Europa
diventa
calda
nei
paesi
del
«terzo
mondo».
Tutti
gli
anni
quaranta
e
cinquanta
sono
caratterizzati
da
crisi
diplomatiche
o da
veri
e
propri
conflitti.
Tra
il
1948
e il
1949
c’è
la
crisi
di
Berlino
con
il
blocco
sovietico
sulla
città.
Nel
1950
la
guerra
in
Corea
fa
immaginare
uno
scenario
apocalittico
di
guerra
globale.
Nel
1961
si
ha
la
costruzione
del
«muro
di
Berlino».
Nel
1962,
a
poche
settimane
dall’inizio
del
Vaticano
II,
proprio
quando
si
parla
di
«distensione»,
scoppia
la
crisi
dei
missili
a
Cuba.
In
Asia
si
assiste
a
conflitti
tra
India
e
Cina,
tra
India
e
Pakistan;
grandi
tensioni
si
determinano
anche
tra
la
nuova
Repubblica
cinese
e
Taiwan.
Nel
Medio
Oriente,
dopo
la
risoluzione
dell’ONU
sullo
Stato
di
Israele,
si
aprono
conflitti
importanti
(alcuni
ancora
in
corso
d’opera
e da
sempre
fonte
di
grossa
preoccupazione
per
gli
osservatori
internazionali).
Tutto
il
Medio
Oriente
è
attraversato
da
fortissime
tensioni.
Oltre
al
conflitto
israelo-palestinese,
e le
crisi
in
diversi
paesi
arabi,
vi è
ancora
aperta
la
«questione
curda»
(un
territorio
diviso
tra
Iran,
Iraq,
Siria
e
Turchia).
Qualche
speranza
per
il
mondo
delle
relazioni
internazionali
viene
dall’Indonesia,
dai
cosiddetti
«paesi
non
allineati»
riunitosi
a
Bandung
nel
1955.
Esili
segni
di
pace
che
stentano
a
crescere
perché
schiacciati
dagli
interessi
economici
e
politici
delle
due
superpotenze.
Nei
paesi
occidentali,
però,
accanto
alla
tensione
determinata
dalle
dinamiche
di
«guerra
fredda»
cresce
l’esperienza
dello
sviluppo
economico
postbellico.
Stimolato
dalla
necessità
di
ricostruire
un
nuovo
panorama
dalle
macerie
del
secondo
conflitto
mondiale,
si
assiste
ad
un
decollo
dell’economia
nei
paesi
occidentali;
grazie
soprattutto
ai
grossi
finanziamenti
messi
a
disposizione
dagli
USA.
Allo
sviluppo
economico,
al
processo
di
modernizzazione
delle
strutture
produttive
e
amministrative,
si
accompagna
in
molti
Paesi
un
radicale
cambiamento
negli
stili
di
vita.
La
modernità
si
presenta
nel
dopoguerra
con
il
volto
della
società
dei
consumi.
La
concentrazione
dei
centri
di
produzione
nei
centri
urbani
genera
movimenti
migratori
e il
conseguente
massiccio
spostamento
di
forza
lavoro
dalle
campagne.
Questi
movimenti
migratori
determinano
la
divisione
delle
famiglie
e la
traumatica
rottura
delle
strutture
sociali
tradizionali.
La
famiglia,
la
comunità
del
paese,
la
stessa
Chiesa
non
sono
più
punti
di
riferimento
validi.
C’è
tutta
un’umanità
che
vuole
affrancarsi
dalla
tradizione
e
che
spinge
verso
la
formazione
di
un
mondo
nuovo.
Quali
sono
all’interno
della
Chiesa
le
opinioni
su
quest’umanità
in
fermento?
Da
un
lato
si
guarda
al
mondo
nuovo
con
un
atteggiamento
di
timore
e di
ostilità,
dall’altro
si
guarda
con
preoccupazione
la
crescente
distanza
tra
il
mondo
nuovo
e la
Chiesa.
Per
molti
si è
di
fronte
allo
scontro
tra
religione
e
forze
demoniache
della
storia.
Il
comunismo,
l’ateismo
militante,
e la
conseguente
persecuzione
religiosa
in
URSS
e
negli
Stati
filosovietici,
rappresentano
l’espressione
più
pericolosa
di
questa
umanità
in
fermento,
di
questo
mondo
nuovo
che
avanza.
La
società
dei
consumi
di
massa
esibisce
tutta
la
sua
forza
dirompente
e si
scopre
importante
propulsore
per
quel
processo
di
secolarizzazione
che
sempre
più
allontana
i
fedeli
dalla
religione
e
dalla
Chiesa.
In
Occidente
sono
penetrati,
dunque,
quegli
errori
che
sconvolgono
i
costumi,
corrompono
la
società,
negano
i
principi
della
giusta
dottrina
e in
modo
pericoloso
mettono
in
discussione
l’autorità
della
Chiesa
universale.
L’idea
di
Giovanni
XXIII
di
indire
un
Concilio
Vaticano
II
si
colloca
all’interno
di
questo
sconvolgimento
del
paradigma
di
società
legata
alle
strutture
sociali
tradizionali;
segni
dei
tempi
che
la
Pacem
in
terris,
poi,
inviterà
a
considerare
con
attenzione.
Nella
costituzione
apostolica
di
convocazione
ufficiale
del
Concilio
Vaticano
II,
Humanae
Salutis,
Papa
Roncalli
spiega
che
l’avvento
di
un
mondo
nuovo
impone
alla
Chiesa
compiti
nuovi:
«La
Chiesa
assiste
oggi
ad
una
crisi
in
atto
della
società.
Mentre
l’umanità
è
alla
svolta
di
un’era
nuova,
compiti
di
una
gravità
e
ampiezza
immensa
la
attendono,
come
nelle
ore
più
tragiche
della
sua
storia».
Il
Vaticano
II
insomma
non
è
convocato
esclusivamente
per
risolvere
le
difficoltà
interne
alla
Chiesa
(che
pur
sono
importanti),
ma
anche,
e
forse
prima
di
tutto,
per
affrontare
i
problemi
che
la
sconvolgente
evoluzione
della
storia
ha
generato
nel
mondo.
Lontano
dai
facili
ottimismi,
il
Vaticano
II
s’interroga
sulla
Chiesa
e
sulla
sua
relazione
con
il
mondo.
Ecco
la
grande
novità
del
Vaticano
II:
una
Chiesa
che
si
interroga
sul
mondo
e
sulle
sue
urgenze.
Paolo
VI
lo
scrive
nella
lettera
apostolica,
In
Spiritu
Sancto,
di
chiusura
del
Vaticano
II:
«Il
Concilio
Vaticano
II
[…]
deve
senza
dubbio
annoverarsi
tra
i
maggiori
eventi
della
Chiesa:
infatti
fu
il
più
grande
per
il
numero
dei
Padri,
venuti
alla
sede
di
Pietro
da
ogni
parte
della
terra;
il
più
ricco
per
gli
argomenti
che,
per
quattro
sessioni,
sono
stati
con
cura
e
profondità
trattati;
fu
infine
il
più
opportuno
perché,
avendo
presenti
le
necessità
dell’epoca
odierna,
innanzi
tutto
va
incontro
alle
necessità
pastorali
e,
alimentando
la
fiamma
della
carità,
grandemente
si è
sforzato
di
raggiungere
non
solo
i
cristiani
ancora
separati
dalla
comunione
della
sede
apostolica,
ma
anche
tutta
la
famiglia
umana».
L’eredità
del
Concilio
non
consiste,
dunque,
solamente
nei
documenti
approvati.
Il
Concilio,
in
quanto
evento,
è la
risposta
della
Chiesa
alle
urgenti
domande
del
mondo
contemporaneo.
Nell’Omelia
tenuta
a
conclusione
del
Concilio,
l’8
dicembre
1965,
Paolo
VI
osserva:
«Ma
non
possiamo
trascurare
un’osservazione
capitale
dell’esame
del
significato
religioso
di
questo
Concilio:
esso
è
stato
vivamente
interessato
dallo
studio
del
mondo
moderno.
Non
mai
forse
come
in
questa
occasione
la
Chiesa
ha
sentito
il
bisogno
di
conoscere,
di
avvicinare,
di
comprendere,
di
penetrare,
di
servire,
di
evangelizzare
la
società
circostante
e di
coglierla,
quasi
di
rincorrerla
nel
suo
rapido
e
continuo
mutamento».
I
documenti
di
indizione
e di
conclusione
del
Concilio,
l’insieme
dei
testi
conciliari
e la
stessa
immagine
aggiornata
della
Chiesa
si
presentano
come
evento;
l’agire
di
una
Chiesa
che
conduce
a
cogliere
i
«chiari
segni
dei
tempi».
Dal
punto
di
vista
storico
ci
si
può
interrogare
sulla
capacità
di
risposta
del
Vaticano
II
rispetto
alle
sfide
che
la
modernità
pose,
e
pone,
alla
Chiesa.
Nei
tempi
lunghi
della
recezione
di
un
Concilio
ogni
bilancio
del
Vaticano
II
non
può
che
essere
provvisorio.
Nonostante
il
permanere
di
questioni
ancora
grandemente
irrisolte,
rimane
il
giudizio
positivo
sull’evento
che
ha
caratterizzato
la
vita
della
Chiesa
del
secolo
scorso;
un
giudizio
largamente
condiviso
da
Benedetto
XVI
nel
suo
discorso
del
22
dicembre
2005:
«Così
possiamo
oggi
con
gratitudine
volgere
il
nostro
sguardo
al
Concilio
Vaticano
II:
se
lo
leggiamo
e
recepiamo
guidati
da
una
giusta
ermeneutica,
esso
può
essere
e
diventare
sempre
di
più
una
grande
forza
per
il
sempre
necessario
rinnovamento
della
Chiesa».
Riferimenti
bibliografici:
J.W.
O’Malley,
Cosa
è
successo
nel
Vaticano
II,
Vita
e
Pensiero,
Milano
2010.
E.
Di
Nolfo,
Storia
delle
relazioni
internazionali.
Dal
1918
ai
giorni
nostri,
Laterza,
Roma-Bari
2009.
Ch.
Theobald,
La
réception
du
concile
Vatican
II.
I.
Accéder
à la
source,
Cerf,
Paris
2009.
G.
Alberigo,
Transizione
epocale.
Studi
sul
Concilio
Vaticano
II,
A.
Melloni
(a
cura
di),
Il
Mulino,
Bologna
2009.
G.
Routhier,
Il
Concilio
Vaticano
II.
Recezione
ed
ermeneutica,
Vita
e
Pensiero,
Milano
2007.
G.
Alberigo
(dir.),
Storia
del
Concilio
Vaticano
II,
A.
Melloni
(a
cura
di),
5
voll.,
Il
Mulino,
Bologna
1995-2001.
A.
Melloni,
L’altra
Roma.
Politica
e S.
Sede
durante
il
Concilio
Vaticano
II
(1959-1965),
Il
Mulino,
Bologna
2000.