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N. 134 - Febbraio 2019 (CLXV)

LO STATO DELLA CITTà DEL VATICANO

Nel 90° anniversario di fondazione

a seguito della firma dei Patti Lateranensi

di Claudio Gentile

 

Esattamente novant’anni fa, l’11 febbraio 1929, la Santa Sede e il Regno d’Italia ponevano fine alla lunga querelle della “Questione Romana” firmando i “Patti Lateranensi”.

 

I contatti tra le Parti per giungere a un accordo, iniziati subito dopo la Prima Guerra Mondiale, si intensificarono sul finire degli anni Venti e, nel totale silenzio, tanto da lasciare esterrefatti i vari Ambasciatori che nulla avevano intuito fino al giorno della sottoscrizione degli accordi, riuscirono a sanare una ferita che aveva causato, tra l’altro, l’esclusione dei cattolici dalla vita sociale e politica della nuova nazione.

 

Il documento più importante tra i tre firmati dal Cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri, per conto della Santa Sede, e dal Capo del Governo Benito Mussolini, in rappresentanza del Regno d’Italia, è sicuramente il Trattato.

 

In questo documento la Santa Sede accettava l’«annessione di Roma al Regno d’Italia sotto la dinastia di Casa Savoia» e l’Italia riconosceva al Papa la «piena proprietà e la esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano». Con questa formula si dava vita a un nuovo Stato: lo Stato della Città del Vaticano.

 

Sin dalla breccia di Porta Pia, la Santa Sede contestava all’Italia, infatti, non tanto (o non solo) di aver cancellato lo Stato Pontificio in quanto tale, quanto di aver eliminato completamente uno spazio di indipendenza e assoluta libertà per la Sede Apostolica.

 

Non esistendo allora tecniche diverse dal riconoscimento di una sovranità territoriale, per risolvere il vero problema sollevato da tutti i Papi che si susseguirono sul soglio pontificio, gli incaricati delle Parti giunsero alla ideazione di questo nuovo Stato.

 

Tale soluzione accontentava sia il Papa, che si liberava da qualsivoglia forma di dipendenza e assoggettamento, sia il Re Vittorio Emanuele III, che non avrebbe ceduto nessun lembo del territorio italico faticosamente conquistato dai suoi avi un sessantennio prima.

 

Lo Stato della Città del Vaticano è un’entità del tutto peculiare all’interno del sistema internazionale, non tanto per le sue ridottissime dimensioni (meno di mezzo chilometro quadrato, che lo rendono il più piccolo del mondo) e per il fatto che è l’unico Stato a essere una enclave nella Capitale di un altro Stato, quanto per le sue intrinseche caratteristiche.

 

La Città del Vaticano, infatti, a differenza degli altri Stati non ha la funzione di garantire l’ordinata convivenza tra i cittadini, ma è uno Stato-fine, uno Stato, cioè, costituito per raggiungere e mantenere uno determinato scopo: «assicurare alla Santa Sede l’assoluta e visibile indipendenza» e «garantirLe una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale» (Preambolo del Trattato).

 

Lo Stato Città del Vaticano non è quindi altro che uno Stato “strumentale” alla Santa Sede (intesa come Papa e suoi uffici di governo della Chiesa universale). Proprio per questo motivo non è pensabile una sovranità dello Stato Vaticano in capo ad altri che non sia la Santa Sede: se la Città del Vaticano è stata creata per garantire l’indipendenza del Papa da qualsivoglia potere non è possibile che ci sia qualcuno o qualcosa di diverso dal Papa (il popolo, il Parlamento, etc.) che ne limiti in qualche modo la sua indipendenza assoluta.

 

Non dovendo promuovere gli interessi e i bisogni di una comunità, ma assicurare il fine per cui è stato creato, ne conseguono le peculiarità di detto Stato: il potere sovrano e gli altri poteri tipici dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario) non possono appartenere ad altri che non Papa; seppure è inesistente la divisone dei poteri e il Sovrano è “sciolto” da ogni vincolo, tuttavia vi è comunque uno Stato di diritto, nel senso che il diritto regola le attività dello Stato e i cittadini hanno diritti tutelabili nelle sedi giudiziarie, oltre al fatto che il Sovrano non può comunque violare le norme del diritto divino; il territorio è immodificabile e non può espandersi; sempre riguardo al territorio, questo è di «piena proprietà» del Sovrano e nessun’altro può avere la disponibilità dei beni immobili; la cittadinanza non si acquista per mezzo dei mezzi tipici quali lo jus soli o lo jus sanguinis, ma è concessa dal Sovrano «in ragione della carica o del servizio» (Legge sulla cittadinanza 22/2/2011, n. CXXI), per cui ne consegue che viene meno una volta che è cessata la carica o il servizio e, quindi, la comunità è estremamente mutabile; lo Stato non può che essere neutrale e non può intervenire nelle contese militari e nei conflitti tra gli Stati.

 

È da segnalare, inoltre, l’ulteriore particolarità che, per sopperire alla estrema limitatezza del territorio Vaticano e quindi al fatto che molti uffici non potevano insistervi, il Trattato previde la creazione delle c.d. “zone extraterritoriali”.

 

Per questi spazi ben delimitati, facenti parte del proprio territorio, l’Italia concede le stesse immunità (personali, funzionali, reali e fiscali) riconosciute dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici di Stati esteri (ora generalmente disciplinate dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961).

 

Creato sulla carta l’11 febbraio 1929, il nuovo Stato andava implementato di norme, strutture, istituzioni, persone. Se non le strutture, almeno l’apparato giuridico-normativo andava elaborato in fretta in quanto doveva essere pronto per l’entrata in vigore del Trattato.

 

Il Papa e il Segretario di Stato affidarono, quindi, all’Avv. Francesco Pacelli, che aveva già seguito le trattative per la Conciliazione, l’incarico di predisporre un corpus normativo necessario per la vita dello Stato e dei suoi cittadini.

 

Pacelli, fratello del futuro Papa Pio XII, si fece aiutare dal noto giurista, di religione ebraica, Federico Cammeo e in poco meno di quattro mesi, furono predisposte una sorta di “costituzione” (chiamata “Legge Fondamentale”) e cinque importanti leggi (sulle fonti del diritto (Legge n. II), sulla cittadinanza e il soggiorno (Legge n. III), sull’ordinamento amministrativo (Legge n. IV), sull’ordinamento economico, commerciale e professionale (Legge n. V) e di pubblica sicurezza (Legge n. VI) che costituirono il nucleo fondante dell’ordinamento giuridico di questo particolare Stato.

 

Tutte queste norme furono promulgate dal Papa Pio XI il 7 giugno 1929, lo stesso giorno dello scambio degli strumenti di ratifica e quindi di entrata in vigore del Trattato.

Per ogni altra normativa non presente nelle sei citate prime leggi, il Legislatore vaticano, considerato il poco tempo a disposizione e per non creare eccessive discrasie con la contigua Italia, decise di non emanare una legislazione specifica per ogni settore, ma di effettuare un rinvio, in quanto compatibile, alla normativa italiana vigente al 7 giugno 1929 fino a che non si fosse provveduto con leggi proprie.

 

Così la Città del Vaticano si trovò a condividere con l’Italia il Codice Civile del 1856, il Codice del Commercio del 1882, il Codice Penale del 1889 (c.d. “Zanardelli), il Codice di Procedura Penale del 1913 e il Codice di Procedura Civile del 1865. Solo quest’ultimo codice fu poi sostituito da un autonomo Codice di Procedura Civile emanato con il Motu Proprio Con la legge nel 1946.

 

Naturalmente questo sforzo normativo non bastava in quanto, essendo una enclave, la Città del Vaticano, per sopravvivere, ha bisogno di ricevere una serie di servizi, in parte disciplinati nel Trattato, dallo Stato “servente”, e cioè dall’Italia. E così, oltre a numerosi accordi di tipo amministrativo conclusi con il Governatorato di Roma, di lì a pochi anni furono sottoscritte diverse altre Convenzioni su varie tematiche (p.es. le Convenzioni per la esecuzione dei servizi postali (29 luglio 1929), per l’esecuzione dei servizi telegrafici e telefonici (18 novembre 1929), per disciplinare la circolazione degli autoveicoli (28 novembre 1929), doganale (30 giugno 1930), monetaria (2 agosto 1930), per la notificazione degli atti in materia civile e commerciale (6 settembre 1932) ferroviaria (20 dicembre 1933), ospedaliera (4 ottobre 1934), circa i servizi di polizia mortuaria (28 aprile 1938), etc.).

 

Ovviamente la normativa ha avuto alcune importanti evoluzioni. Tralasciando interventi settoriali o leggi speciali (riforma dell’ordinamento giudiziario del 1987, sulla sicurezza e la salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro del 2007, normativa antiriciclaggio del 2010, in materia penale (una delle più importanti è del 2013), sul governo approvata nel 1969 e riformata nel 2002 e nel 2018, etc.) e restando al nucleo fondativo del corpus normativo vaticano, la principale riforma ha riguardato la Legge Fondamentale e, successivamente, la Legge sulle fonti del diritto e quella sulla cittadinanza (2011).

 

Sia la Legge Fondamentale approvata nel 1929, sia quella vigente, emanata nel 2000 da San Giovanni Paolo II, assegnano al Papa regnante la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.

 

Tuttavia se è vero che formalmente i poteri sono in capo al Papa, questi li esercita effettivamente per mezzo di altri: il potere legislativo e quello esecutivo per il tramite della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e del Presidente del Governatorato, quello giudiziario per mezzo dei Tribunali. La rappresentanza dello Stato nei rapporti internazionali, per le relazioni diplomatiche e per la conclusione dei trattati, invece, è esercitata dalla Segreteria di Stato.

 

La Pontificia Commissione è composta da un numero variabile di Cardinali, nominati per un quinquennio dal Pontefice. A questo organo collegiale spetta l’esercizio del potere legislativo, con due particolarità: 1) tutti i progetti di legge devono essere previamente sottoposti, per il tramite della Segreteria di Stato, all’attenzione del Papa e 2) in caso di urgenza il Presidente della Commissione può emanare disposizioni aventi forza di legge, che devono essere confermate, a pena di perdita di efficacia, dalla Commissione entro i successivi novanta giorni.

 

Il Presidente della Pontificia Commissione assume automaticamente anche la carica di Presidente del Governatorato e, come tale, esercita, sempre per conto del Papa, il potere esecutivo. Nell’esercizio delle sue funzioni, coadiuvato dal Segretario Generale e dal Vice Segretario Generale, il Presidente può emanare ordinanze e regolamenti di esecuzione delle leggi.

 

Il potere giudiziario, infine, è esercitato dagli organi giudiziari costituiti per legge: il Giudice Unico e il Tribunale, la Corte di Appello e la Corte di Cassazione. Questi organi, e in materia di lavoro l’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica (ULSA), giudicano secondo la normativa vigente nello Stato. A riguardo, la nuova Legge sulle fonti del diritto, emanata nel 2008 (n. LXXI), ha innovato quanto era disciplinato nella previgente Legge n. II del 1929.

 

Il primo articolo della nuova legge dispone esplicitamente che il diritto canonico è la “prima fonte normativa” e il “primo criterio di riferimento normativo”. Ciò, in assenza di una reale Costituzione, sta a sottolineare che l’ordinamento canonico deve essere considerato un limite insuperabile sia per il legislatore sia per l’interprete della normativa vaticana.

 

Oltre alle leggi (e regolamenti) promulgati dal legislatore vaticano, una “nuova” ulteriore fonte del diritto è il diritto internazionale e in particolare le norme del diritto internazionale generale e quelle derivanti da trattati o altri accordi sottoscritti dalla Santa Sede. In caso di assenza di una legislazione particolare emanata dal legislatore vaticano, la Legge sulle fonti fa riferimento, come fonte suppletiva, al diritto italiano, anche se, a differenza del precedente testo del 1929, non in maniera automatica, ma solo se previamente recepito.

 

Quindi tecnicamente non è una legge italiana che vige anche in Vaticano, ma una legge vaticana che fa propria una normativa italiana e la rende cogente nello Stato. Ai sensi di questa norma è stato “vaticanizzato”, a eccezione delle norme contrarie ai precetti di diritto divino, ai principi del diritto canonico e dei Patti Lateranensi, nonché quelle inapplicabili all’interno dell’ordinamento vaticano in relazione allo stato di fatto esistente (p.es. le norme sul divorzio), così come vigente al 31 dicembre 2008, il Codice Civile del 1942. Attraverso lo strumento del recepimento continuano a essere vigenti, con opportune modifiche, i Codici Penale del 1889 e di Procedura Penale del 1913.

 

Novant’anni di vita per uno Stato sono pochissimi per verificarne la tenuta, la stabilità e la buona organizzazione, tuttavia lo Stato della Città del Vaticano in questo breve lasso di tempo ha dimostrato non solo di saper adattarsi al mutare dei tempi (si pensi da ultimo solo alla Convenzione monetaria con l’Unione Europea e a quanto ne è conseguito in termini di adeguamento normativo e organizzativo), ma di aver adempiuto adeguatamente alla sua funzione di baluardo della libertà di azione del Papa e della Santa Sede.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

F. CAMMEO, Ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano, R. Bemporand & Figlio, Firenze 1932, ristampa anastatica Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005.

F. CLEMENTI, Città del Vaticano, il Mulino, Bologna 2009.

P.A. D’AVACK, Vaticano e Santa Sede, a cura di C. Cardia, il Mulino, Bologna 1994.

G. DALLA TORRE, L’”extraterritorialità” nel Trattato del Laterano, Giappichelli, Torino 2016.

G. DALLA TORRE, Lezioni di Diritto Vaticano, Giappichelli, Torino 2018.

D. DONATI, La Città del Vaticano nella teoria generale dello Stato, Cedam, Padova 1930.

W. HILGEMAN, L’ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano. Origine ed evoluzione, Lateran University Press, Città del Vaticano 2012.

F. PACELLI, Diario della Conciliazione con verbali e appendice di documenti, a cura di M. Maccarrone, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1959.



 

 

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