N. 17 - Ottobre 2006
ANNI INTERESSANTI
Recensione del libro di E. J. Hobsbawm
di
Alessandro D'Ascanio
Il libro preso in esame
nella seguente trattazione si intitola Anni
interessanti, recente autobiografia dello storico
inglese di ispirazione marxista Eric Hobsbawm.
Si tratta dell’
articolata e coinvolgente ricostruzione della propria
vita personale, politica e accademica, attraverso la
narrazione di luoghi, situazioni e incontri che, nel
volgere dei decenni, hanno caratterizzato l’esistenza
dell’autore.
Un’esistenza singolare,
segnata direttamente dai grandi eventi caratterizzanti
la storia del Novecento che fanno di Hobsbawm un
testimone del tutto peculiare delle vicende del secolo
appena trascorso. Ne fanno fede alcune vicende
fondamentali della sua esistenza: la nascita ad
Alessandria d’Egitto nel 1917, le esperienze giovanili
prima a Vienna e poi a Berlino, in anni di
straordinaria vivacità culturale della Mitteleuropea,
la formazione intellettuale nella Cambridge “rossa”
degli anni Trenta, grazie ad una borsa di studio del
King’s College; la militanza nelle file del partito
comunista britannico, la progressiva affermazione,
segnata da diffidenze di natura politica e ideologica
nella “comunità degli storici”, senza mai rinunciare
alla propria caratterizzazione di studioso marxista,
pur eterodosso.
Hobsbawm scrive la sua
autobiografia nel 2002, in un’età avanzata e sulla
scorta dello straordinario successo editoriale de
Il secolo breve, dato alle stampe nel 1994 e
subito tradotte in svariate lingue e diffuso in tutto
il mondo. Fin dalla prefazione, lo storico britannico
pone in rapporto di stretta relazione la sua fatica
autobiografica con il precedente testo di sintesi e
interpretazione del Novecento. Egli, in particolare,
precisa come, in realtà, Anni interessanti sia
“l’altra faccia del Secolo breve”,
dal momento che, in ambedue i libri, l’autore assume
un ruolo di “osservatore partecipe”, in grado di
suscitare attenzione per i propri ricordi personali
tanto nei confronti di uomini delle nuove generazioni,
quanto nei riguardi di anziani, a loro volte capaci di
ricordare, in prima persona, vicende e tragedie
narrate con una “passione propria dell’età dei grandi
cataclismi”.
Hobsbawm si pone in
effetti l’obiettivo, in ambedue le opere, di fornire
un quadro della storia mondiale dell’ultimo secolo, un
storia che conforma l’esperienza di un individuo,
offrendogli un quadro di opportunità e di situazioni.
Non una storia dal punto di vista di un individuo, ma
la ricostruzione del ruolo della storia nella vita di
un individuo, sulla scorta di Marx che riteneva che
“gli uomini costruiscono la loro vita, ma non la
costruiscono come meglio preferiscono, non la
costruiscono nelle circostanze scelte da loro stessi,
ma nelle circostanze incontrate, date e trasmesse dal
passato”.
Dunque un’autobiografia,
secondo il punto di vista di Hobsbawm, ha in sé un
importante valore nella costruzione del lavoro dello
storico, dal momento che induce lo studioso ad avere
consapevolezza di sé, ad affinare la capacità di
vedere le cose dal proprio punto di vista e da quello
degli altri, a valutare il peso e l’incidenza reale
delle situazioni storiche. In tal senso, Anni
interessanti, oltre a rappresentare un’avvincente
narrazione della vita di un intellettuale, ad essere
un viaggio introduttivo tra i luoghi e le epoche del
Novecento, si presenta come un’opera significativa
anche dal punto di vista storiografico.
In particolare, rispetto
alla struttura del libro, sono due i capitoli nei
quali l’autore si sofferma in maniera diretta
sull’evoluzione del suo mestiere di storico, non
rinunciando ad un’ esposizione narrativa degli anni
della sua formazione accademica (cap. 17 Fra gli
storici) nonché delle vicissitudini connesse alla
genesi ed alla pubblicazione dei suoi libri (cap. 18
Nel villaggio globale), ma introducendo
riflessioni e punti di vista espliciti su alcuni
passaggi fondamentali del dibattito storiografico del
Novecento.
Il capitolo 17 si apre
con una constatazione sull’incidenza del lavoro degli
storici nella vita contemporanea delle società.
Hobsbawm fa riferimento a libri di testo, discorsi di
politici, libri di narrativa, films, programmi
televisivi, tutto ciò per sostenere come non sia
possibile fare a meno del passato nella soddisfazione
di esigenze suscitate dal tempo presente. Al riguardo
egli sostiene :”tutti gli storici di valore e comunque
la maggior parte degli storici, nell’investigare il
passato, anche quello più remoto, elaborano ed
esprimono opinioni che riguardano il presente e i suoi
problemi”. Ancora
una volta un grande studioso di storia pone al centro
dell’attenzione i rapporti tra passato e presente
analizzando l’incidenza delle reciproche influenza,
della solidarietà dei tempi nel concreto agire dello
storico.
Successivamente,
l’autore si esercita in una ricostruzione, in un
excursus sul proprio itinerario formativo, al fine di
prendere posizione rispetto ad alcune fratture
caratterizzanti la storiografia del secolo trascorso.
Nel riferire sugli anni trascorsi a Cambridge in veste
di studente precisa come, a quel tempo, non fossero
previsti nelle attività didattiche specifici
insegnamenti di natura metodologica e quindi spiega
come, in concreto, la sua consapevolezza sulle
caratteristiche dell’attività storiografica siano
maturate attraverso la frequentazione di eminenti
studiosi tra i quali emerge il ruolo di Mounia Postan.
L’ insigne storico
dell’agricoltura medievale, di origine russa, alfiere
in quegli anni di un’ esplicita lotta nei confronti
del “conservatorismo storico”, contribuì
all’affermazione di una nuova leva di storici
dell’economia inglesi, introducendo rilevanti novità
nell’ambito delle proprie lezioni dovute alla sua
conoscenza di rilevanti pensatori dell’Europa centrale
quali Marx, Weber e Sombart e stabilendo un legame,
fin dal 1936, con il gruppo francese delle prime
Annales invitando, nello stesso periodo, Marc
Bloch a tenere una conferenza sulla società feudale a
Cambridge . Particolare curioso, accanto ad Hobsbawm
figurava un altro studente destinato ad una carriera
di successo, A.M. Schlesinger che, a detta dello
stasso Hobsbawm, non dimostrava particolare interesse
per la storia economica, né tanto meno nei confronti
del marxismo.
Hobsbawm riferisce poi
sullo scontro tra Postan e Namier (altro studioso
proveniente dall’Europa dell’est, autore di testi
sulla storia politica inglese) che assunse in quegli
anni, un valore simbolico del grande conflitto che
divideva la storiografia . Da una parte figuravano
coloro i quali parlavano della storia come della
“politica del passato”, privilegiando la narrazione e
considerando impossibili le generalizzazioni;
dall’altra figuravano gli studiosi favorevoli ad una
storia delle strutture e dei cambiamenti delle società
e delle culture, versati all’analisi ed alla sintesi
più che alla narrazione, convinti infine della
necessità delle generalizzazioni in storia.
Naturalmente Hobsbawm si
dichiara convinto sostenitore del vasto e variegato
fronte dei rinnovatori della disciplina storica,
evidenziando il ruolo di leadership assunto in tal
senso, nel corso degli anni Trenta, da parte di
M.Bloch e di L Febvre e precisando come in realtà, la
natura stessa della disciplina privilegiata da Postan
e Bloch, la storia medievale, richiedesse
“comparazioni e un ripensamento dei presupposti
storiografici contemporanei”,
dal momento che non era possibile dividere la vita
medievale in virtù degli aspetti politici, religiosi,
economici e così via.
In realtà, ciò a cui
mirava Hobsbawm, fin dagli anni della sua formazione,
era una storia più allargata, più democratizzata,
capace di dotarsi di una metodologia più sofisticata
grazie ad un’attenzione verso le scienze sociali. Una
storia sociale dunque, in grado di restituire le
vicende storiche dal punto di vista degli esclusi
dalla storia ufficiale, recuperando anche la
dimensione politica, ma sempre nel quadro degli
effetti, delle conseguenze, dei risvolti ampi che gli
eventi politici esercitano sulla società. In tal
senso, risultano esemplari alcuni suoi lavori sui
conflitti sociali derivanti dalla rivoluzione
industriale, così come le sue ricerche sulla storia
del movimento operaio poste in relazione con la storia
dell’intera società.
Da un punto di vista
ideologico poi, lo studioso inglese precisa come il
fronte dei rinnovatori fosse del tutto articolato al
proprio interno: annalisti, marxisti della Sorbona
studiosi della Rivoluzione francese (E.Labrousse),
marxisti britannici di Past&Present e ricorda
come il suo esordio di giovane studioso marxista fu
nell’ambito congresso internazionale di scienze
storiche di Parigi, nel 1950, allorquando fu invitato
a presiedere la sessione contemporanea di storia
sociale.
In generale, Hobsbawm
spiega che, nonostante le diverse caratterizzazioni
ideologiche, tutti gli innovatori combattevano contro
la visione positivista della storia, secondo la quale,
conosciuti correttamente i fatti, “le conclusioni
vengono da sé”e contro il pregiudizio, nella storia
tradizionale, nei confronti di “re, ministri,
battaglie e trattati”.
Dunque il fronte degli
innovatori si era raccolto attorno alla bandiera della
storia sociale e Hobsbawm non manca di notare come il
successo di tale fronte fosse in linea con la
radicalizzazione politica della popolazione
studentesca in grande espansione negli anni Sessanta.
Inoltre egli ricorda come la sua scelta di
privilegiare l’Ottocento come oggetto delle sue
ricerche fosse dovuta al carattere chiuso e ortodosso
imposto dall’impero sovietico rispetto a temi quali la
storia della Russia nel Novecento, così come mette in
evidenza il carattere “eurocentrico” della
storiografia del periodo.
Da ultimo, lo storico
inglese si sofferma sugli ulteriori mutamenti avvenuti
in ambito storiografico a partire dagli anni Settanta:
la presa di distanza dai modelli storici, il passaggio
dallo stile analitico a quello descrittivo, il
privilegiamento della cultura rispetto alla struttura
economica e sociale, il recupero dei fatti, delle
impressioni, l’affermazione della microstoria
individuando inoltre alcuni ambiti di ricerca, a suo
modo di vedere, fecondi di sviluppi quali la storia
dell’Urss ( data l’apertura degli archivi), la storia
della guerra fredda, la vicenda della Francia nel
periodo dell’occupazione tedesca, la fondazione di
Israele.
Hobsbawm lamenta in
conclusione di capitolo alcuni pericoli che la
disciplina storiografica rischia di correre: da una
parte l’ingerenza sempre più assidua di regimi
politici interessati a rivedere la storia per scopi
puramente politici; dall’altra il rischio di
un’eccessiva frammentazione degli studi storici che
distolga da una visione complessiva e globale della
vicenda umana, l’unica che a suo parere permette alla
storia di conservare un posto di rilievo nel sapere
umano.
Nel capitolo 18, ad
integrazione della ricostruzione del suo periodo
formativo, Hobsbawm ripercorre i passi successivi
della propria carriera accademica, raccontando come,
nonostante le difficoltà di carattere politico, egli
sia giunto ad ottenere prestigiosi incarichi in
università di tutto il mondo. Inoltre, in funzione di
un’ esplicitazione del suo metodo di lavoro, presenta
un profilo cronologico di tutte le opere da lui
pubblicate, divise per decennio, dalla cui lettura si
evince lo sviluppo progressivo rispetto a vari filoni
di analisi dell’età contemporanea, in particolare: la
storia generale dell’Ottocento, il tema della rivolta
sociale, gli studi sulla classe operaia, la
rivoluzione industriale, la storia economica inglese,
il nazionalismo, le tradizioni popolari, la storia del
marxismo e da ultimo, il Novecento. |