N. 18 - Novembre 2006
UNA VITA
PER L'AFFERMAZIONE DELLA VERITA'
In
memoria di Anna Politkovskaya
di Leila
Tavi
Ad Anna Politkovskaja la morte ha portato popolarità.
Quello spazio e quella visibilità in patria e
all’estero, che la giornalista avrebbe voluto per
denunciare gli orrori in Cecenia.
All’Occidente dalla doppia morale rimane l’amarezza di
aver sacrificato una donna eccezionale come Anna
Politkovskaja in nome di un
appeasement
che ci costringe ad assolvere degli assassini per
motivi economici.
Anna Politkovskaja si sentiva, da russa, responsabile
per le morti di Cecenia, per le teste mozzate, per le
ragazze violentate.
Niente avrebbe potuto fermare la sua lotta contro
l’ingiustizia e l’indifferenza se non la morte; chi
l’ha fatta uccidere lo sapeva.
Avrebbe continuato a gridare ai Russi di aprire gli
occhi sulla verità della guerra civile in Cecenia.
Ma il grande Orso bianco è una potenza con la catena
al collo, il cui padrone è da sempre l’autocrazia.
Il sogno di una società civile russa, Anna non è
riuscita a vederlo realizzato e i Russi hanno perso
con Anna un esempio di come realizzarlo.
Sono sicura che ha sporcarsi le mani non sia stato
Putin; al presidente russo è sufficiente sollecitare
attraverso la propaganda il fiero nazionalismo russo,
l’unico sentimento al quale si appigliano i Russi per
non voler accorgersi del baratro in cui sono ricaduti.
Non la vogliono questa libertà di parola, non la
vogliono da secoli.
Al padrone dagli occhi di ghiaccio basta un cenno del
capo per ammutolire l’intera Russia, che non riesce ad
affrancarsi dal pesante giogo: le persone cambiano, i
regimi cambiano, ma il sistema per governare la Russia
rimane sempre lo stesso, la repressione.
Tutti lo sanno e ci si beve su per dimenticare, per
non sentirsi dei falliti.
Putin sta bene alla maggioranza dei Russi perché ha la
mano forte, ma con lui il pane non manca.
Quando qualcuno come Anna ha il coraggio di ribellarsi
al sistema è considerato dall’opinione pubblica come
un pazzo visionario e tutti sono convinti che dovrebbe
essere un monito, quando tipi del genere finiscono
male: vogliono sapere troppo, vogliono conoscere cose
da cui è meglio stare alla larga.
Ma Anna diceva di sapere solo una parte della verità e
che, anche quel poco che era riuscita a conoscere, la
gente preferiva ignorarlo.
Un’amica mi ha detto che per un russo è meglio tenersi
alla larga dalla politica corrotta, tanto non verrà
una seconda rivoluzione.
Il volto della Russia oggi è quello di un ragazzino
ubriaco senza futuro, come quelli che si trovano nei
sottopassaggi del metro di Mosca o di Pietroburgo.
Il popolo di Gogol e di Stravinskij, di Dostoevskij e
Šostakovic ha perso anche la consolazione del rifugio
nell’arte.
Putin non ha avuto bisogno di azzittire la
Politkovskaja; in un paese dove non c’è libertà di
stampa è il Cremlino stesso a decidere cosa si
pubblica sui giornali, non ha bisogno di liberarsi di
giornalisti scomodi.
Kadirov ha minacciato varie volte Anna di morte, ma
l’avrebbe aspettata e giustiziata su quello che
considera il suo territorio, fuori di lì, lontano dai
suoi tagliagole, non avrebbe avuto motivo di togliere
Anna di mezzo: l’opinione pubblica russa non vuole
neanche più sentire parlare di Cecenia.
L’avrebbe aspettata come un vile bandito, sapeva che
Anna sarebbe tornata prima o poi ad aiutare il popolo
ceceno, nonostante i divieti e nonostante il pericolo.
Invece quella morte, così, sul pianerottolo di casa,
con le buste della spesa in mano, sembra avere la mano
dell’ultranazionalismo di destra, l’unico movimento,
come sosteneva Anna, a cui è permesso farsi sentire,
uccidere attivisti dei diritti umani, picchiare a
sangue gli stranieri e i cittadini russi non d’origine
slava.
Gli squadroni neri girano per le città russe seminando
il terrore, con la connivenza delle forze dell’ordine;
non mi sorprenderebbe che qualcuno dei militanti fosse
infastidito da Anna.
Lunedì scorso alcuni gruppi di attivisti per i diritti
umani hanno sfilato per le vie di Mosca per
commemorare le vittime della repressione politica.
Il “terrore” sovietico ha fatto un milione e mezzo di
vittime, nella Russia di Putin si dovrebbe dare un
nuovo significato a questa giornata della memoria,
perché non si venga più perseguitati o uccisi per aver
detto in pubblico la propria opinione. |