N. 18 - Novembre 2006
ANNA
POLITKOVSKAYA
L'opposizione uccide
di
Arturo
Capasso
Niente di nuovo, chi non
è d’accordo viene eliminato e così toglie il disturbo.
Ma queste cose le sto
dicendo da tanto tempo e, per quanto riguarda la Cecenia, ho scritto una nota il 27 novembre del 2005,
quando i Ceceni furono chiamati a votare.
In un recente viaggio
fatto in Russia, ho chiesto varie volte a più persone
cosa pensassero della Cecenia e cosa – secondo loro –
avrebbe dovuto fare Putin.
La risposta è stata
sempre immediata ed unanime:andare via da quella
regione.
Certo, anche se
esaminiamo la storia di quel popolo a volo d’uccello,
la coesistenza sembra molto, molto difficile. I Ceceni,
d’origine caucasica, sono musulmani sunniti.
Nei bassopiani e sulle
colline praticano l’agricoltura, sulle montagne la
pastorizia.
La loro ricchezza – il
petrolio – è anche la loro disgrazia, come succede in
molti, troppi Paesi…
Sono noti fin dal 17°
secolo; vivevano divisi in varie tribù, senza
gerarchia politica e sociale.
Nel 19° secolo opposero
una forte resistenza alla conquista della Russia,
capeggiati da Shamil, loro leader religioso e
politico, che dovette arrendersi nel 1859 a Gunib.
Fu esiliato, ma ebbe la
soddisfazione di morire alla Mecca.
Nei libri di
storia dell’Urss era considerato un agente al
servizio della Turchia e dell’Inghilterra.
I Ceceni volevano
conservare la propria indipendenza anche durante la
rivoluzione bolscevica e pertanto combatterono su due
fronti: contro i cosacchi e contro i comunisti.
La guerriglia si
trasferì sulle montagne e fu particolarmente violenta
durante la collettivizzazione forzata voluta da
Stalin.
Ci fu un’altra rivolta
antisovietica nel ’43, con l’avvicinarsi dell’esercito
tedesco.
Furono tutti deportati
in Siberia e nel Kazakhistan.
Solo nel 1957, con la
riabilitazione, poterono tornare fra le loro campagne,
le colline, le montagne.
Possiamo capire perché
ce l’hanno con la Santa Madre Russia.
Ma chi tocca i fili
muore, e così è capitato alla Politkovskaya. |