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CONTEMPORANEA


N. 11 - Novembre 2008 (XLII)

Angelo Brunetti, ovvero: Ciceruacchio

Ritratto di un patriota romano

di Claudia Mezzanotte

 

Una delle figure di maggior spicco, distintasi per coraggio e carisma, capace di radunare ed arringare ingenti masse di individui nella città di Roma, e durante i giorni della Repubblica Romana, è sicuramente quella dell'oste e patriota Angelo Brunetti detto Ciceruacchio.

Nato a Roma nel 1800, nella zona di Campo Marzio, figlio di un maniscalco, fu carrettiere, commerciante di bestiame e foraggi e gestì anche una taverna nei pressi di Porta del Popolo.
Popolano verace e dall'intelligenza assai vivida, dotato di straordinaria capacità dialettica parlava solo il romanesco e proprio per non aver potuto coltivare una formazione culturale personale, derivò anche la sua costante richiesta che nelle politiche di riforme fosse prevista l’istruzione per il popolo.

Non si sa bene come avesse ricevuto il soprannome con cui era conosciuto da tutti i romani (forse dall'originario termine romanesco "ciruacchiotto"che in italiano corrisponderebbe a "grassottello", probabilmente attribuitogli da bambino), e fu particolarmente noto nei pressi del porto di Ripetta, sulla riva sinistra del Tevere.

Sembra che da giovinetto, fosse stato garzone nel Seminario Romano all'Apollinare.
Infatti sulla porta d'ingresso di una piccola stanza sita presso le scale secondarie, vi è scritto a matita "Angelo Brunetti".

Nel 1828 aderì alla Carboneria e cinque anni più tardi entrò a far parte della Giovine Italia.

Nel 1837, durante l’epidemia di colera, si impegnò, per far fronte alla drammatica situazione.

Nel 1846, l'elezione al soglio pontificio del Cardinal Mastai Ferretti, ossia Pio IX, fece sì che Ciceruacchio nel primo periodo di aperture liberali del Pontefice, ne fosse uno dei più strenui sostenitori, tanto che, nel luglio dello stesso anno, durante una manifestazione popolare, ringraziò il Papa per aver concesso la libertà ai detenuti politici e donò alla gente che si era ivi raccolta, alcune botti di vino, accendendo anche un grande fuoco presso Porta del Popolo.
Egli fu spesso organizzatore di queste adunate popolari, al fine di continuare ad esortare Pio IX nella prosecuzione del proficuo cammino di riforme politiche nello Stato Pontificio.
Ciò è testimoniato dal fatto che al Museo della Patria sia conservata la sua giacca rossa, sulla quale è ricamata più volte la scritta "viva Pio IX", prova evidente dei larghi consensi che in quel periodo riscosse il Pontefice.

Nel 1847, Ciceruacchio si schierò anche a favore degli Ebrei, quando Pio IX consentì loro di poter esercitare fuori dal Ghetto le attività commerciali(che prima erano loro precluse), e l'indomito oste, partecipò in prima persona all'abbattimento del muro che occludeva il Ghetto medesimo.

Quando alla fine del 1847 ed agli inizi del 1848, gli elementi più conservatori ebbero il soppravvento all'interno della Curia, divenendo ispiratori di provvedimenti impopolari, Brunetti assunse un atteggiamento di forte e manifesta opposizione nei confronti del Papa, divenendo uno dei più significativi esponenti dell'anticlericalismo.

Ciceruacchio era ormai talmente rinomato, che nel gennaio del 1848 anche la Marchesa Trivulzio Belgioioso, partita da Milano alla volta di Roma per una missione politica per conto di Mazzini, oltre ad incontrare alcuni rappresentanti della nobiltà e della cultura di orientamento liberale, desiderò vedere pure Brunetti, il quale era diventato il più famoso capo-popolo di Roma.

Nel 1849, dopo l'instaurazione della Repubblica Romana, egli si premurò di organizzare il trasporto delle armi e delle munizioni per la difesa del nuovo regime, e si prodigò poi per riuscire a far passare attraverso la morsa francese che stringeva d'assedio la città, bestiame e cibo per la popolazione.
Nel periodo di aspri combattimenti, Brunetti, con l'aiuto dei due figli, realizzò inoltre dei punti di pronto soccorso e di ristoro per coloro che erano impegnati nell'agone della battaglia, e, secondo quanto raccontato da chi ebbe modo di osservarlo, l'infaticabile oste si recò in qualunque luogo potesse esser d'aiuto ai difensori della Repubblica.

Il 2 luglio, una volta cessata la resistenza contro i Francesi, Ciceruacchio insieme ai 2 figli, il primogenito Luigi, e Lorenzo, appena tredicenne, decise di partire da Roma al seguito di Garibaldi diretto verso la rotta veneziana, dove anche lì la Repubblica offriva l'estrema difesa contro l'assedio austriaco.

Durante il viaggio in cui fu stabilito di giungere ad un porto dell’Adriatico per arrivare a Venezia, a causa delle defezioni sempre più numerose all’interno della colonna di uomini al seguito del Generale, tra i cui aderenti figurava anche Ciceruacchio ed i suoi figli, ed essendo circondati ovunque dagli Austriaci, decisero di riparare in territorio sanmarinese, ottenendo asilo ed offerta di mediazione con l’esercito imperiale da parte del governo della Repubblica.
Poiché non vi erano garanzie sul rispetto dei patti da parte austriaca, Garibaldi non accettò, e giunto a Cesenatico con la moglie e 250 compagni, dopo aver disarmato il presidio austriaco, con 13 barche da pesca salparono la notte del 2 agosto alla volta di Venezia.

Le barche, vennero però intercettate dalla flotta austriaca, di cui otto si arresero e le altre cinque, tra cui vi erano anche quelle di Garibaldi e Ciceruacchio, riuscirono a fuggire ed arrivare la mattina del 3 agosto tra Migliavacca e Volano.
Qui i fuggitivi, per poter più facilmente mettersi in salvo, si divisero in gruppi, prendendo vie diverse.

Ciceruacchio, i figli e gli altri compagni, dopo aver vagato alcuni giorni per varie mete ed aver stazionato per qualche dì sull’isola di Ariano, entrarono alla fine nel comune di S.Nicolò, trovando ricovero in una piccola osteria di Cà Farsetti, il cui proprietario era Fortunato Chiarelli detto “Capitin”.

Proprio in questa osteria, su delazione(forse anche ad opera dello stesso Capitin), vennero arrestati da un plotone croato e condotti al comando di Cà Tiepolo.

Il comandante Luca Rokavina, dopo brevi interrogatori, ordinò l’immediata fucilazione di tutto il gruppo, senza alcun processo.
Condotti sulla riva destra del Po, in attesa di essere giustiziati, Ciceruacchio domandò che almeno la vita del figlio minore Lorenzo, potesse esser risparmiata.
Rokavina finse di acconsentire ed invece ordinò di sparare per primo proprio al povero ragazzo tredicenne, che accasciatosi a terra a causa dei colpi ricevuti, venne spietatamente finito dai calci dei fucili dei soldati croati.
Vennero poi uccisi anche gli altri, ed ivi, seppelliti.

Intorno alla mezzanotte fra il 10 e l’11 agosto, perirono in questo eccidio i tre Brunetti ed altri cinque compagni, il prete Stefano Ramorino ed il capitano Lorenzo Parodi, genovesi, Francesco Laudadio di Narni, Gaetano Fraternali e Paolo Bacigalupi entrambi romani come Ciceruacchio ed i figli.
Le spoglie dei patrioti furono divise tra i soldati e vendute ai popolani, e poi per identificare a chi appartenessero i resti, vi furono inizialmente difficoltà, poichè durante gli interrogatori, gli otto compagni avevano dichiarato cognomi falsi(tra l’altro il primogenito di Ciceruacchio aveva mutato il suo nome in Luigi Bossi di Terni, perchè sospettato di essere stato l’esecutore dell’assassinio a Roma del primo ministro del governo pre-repubblicano Pellegrino Rossi) cui si aggiunge il fatto che i soldati croati tentarono vanamente di occultare l’episodio(che venne poi comunque a conoscenza degli abitanti del Polesine, proprio per la presenza degli uomini che scavarono le fosse della sepoltura).

Nel mentre però, questa temporanea incertezza sui loro nomi, fece sì che personaggi di infima lega speculassero sull’episodio, col sordido scopo di estorcere denaro alla povera vedova di Ciceruacchio, promettendole incontri con il marito e gli sventurati figlioli.
Nel frattempo circolavano anche dicerie che i tre Brunetti fossero emigrati in America, o che fossero fra i vivandieri dell'esercito italiano durante la guerra di Crimea del 1854 - 55.

Fin dal 1861, Garibaldi si adoperò perché venissero condotte indagini per individuare le sepolture, ma solo nel 1866, dopo l'unificazione del Veneto all'Italia, il consiglio comunale di S. Nicolò fece trasportare le ossa, raccolte in una sola cassetta, presso il battistero della chiesa di Ca' Venier, dove una lapide ricorda l'avvenimento.

Venne poi deposta anche una croce sul luogo dell’eccidio.

Nel 1879, Giuseppe Garibaldi, il Comune di Roma e la Società Veterani del 1848-49 , espresse il desiderio che i resti dei patrioti venissero uniti agli altri caduti del 1849, e fossero quindi depositati all’interno dell’ossario conservato presso il Gianicolo, a Roma.

Il 9 ottobre del 1879, una Commissione presieduta dal Generale Menotti Garibaldi, con le autorità locali, si recò nella chiesa di Ca' Venier, e raccolta la cassa contenente le ossa, con un battello risalì il Po fino al ponte di chiatte di Corbola, e da qui in mezzo alla folla che si era radunata, salì su alcune carrozze avviandosi verso Adria, accompagnata dalle musiche eseguite dalle bande di tutti i paesi del basso Polesine, con quella adriese in testa.
Una volta giunto ad Adria, il corteo fu accolto festosamente dalla popolazione; arrivato alla stazione ferroviaria, i garibaldini adriesi montarono la guardia alla cassa fino al giorno successivo, quando Menotti e la Commissione ripartirono per Roma salutati da una gran moltitudine di persone desiderose di dare l'ultimo saluto ai poveri resti.

Questa è la storia di Ciceruacchio, che rappresentò, per forza, carattere e per l’attiva partecipazione alla vita politica della sua città, una pietra miliare per i romani, e che mai si risparmiò pur di riuscire a recare il suo aiuto ai difensori ed al popolo, durante la travagliata resistenza della Repubblica Romana.
Le sue spoglie mortali riposano al Gianicolo, accanto a quelle di tutti gli altri combattenti che eroicamente si votarono alla causa della Repubblica medesima, e nell’estremo tentativo di poterne salvare la sopravvivenza, donarono impavidamente la loro esistenza.

 

 

 

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