N. 109 - Gennaio 2017
(CXL)
L’Anfiteatro di Sutri
SUlle
origini di una grande opera dell’antichità
di Roberto Giordano
In
provincia
di
Viterbo,
arroccato
su
uno
sperone
tufaceo
che
domina
la
via
Cassia,
si
trova
il
borgo
di
Sutri
(figura
1),
definito
“antichissima
città”
dai
suoi
abitanti.
Questo
paese,
infatti,
rivendica
origini
remote,
precedenti
la
stessa
Roma,
poiché,
secondo
il
mito,
sarebbe
stato
fondato
da
Saturno
da
cui
deriverebbe
il
nome
(Saturnium
-
Sutrium).
Un’altra
leggenda
attribuisce
la
paternità
di
Sutri
ai
Pelasgi,
un
mitico
popolo
proveniente
dall’Egeo.
In
realtà
è
impossibile
stabilire
a
quale
epoca
risalga
il
primo
insediamento,
poiché
in
area
urbana
non
sono
stati
trovati
dei
precisi
indizi
archeologici;
è
probabile
che
la
nascita
di
Sutri
sia
dovuta
al
fenomeno
del
“sinecismo”,
ovvero
la
fusione
di
più
insediamenti
sparsi
nel
territorio
in
un
unico
centro
abitato,
un
evento
comune
per
molti
abitati
del
Lazio,
avvenuto
verso
la
fine
dell’età
del
Bronzo.
.
Fig.
1
–
Veduta
di
Sutri
Dopo
la
caduta
di
Veio
nel
396
a.C.,
Sutri
rappresentava
uno
dei
capisaldi
dell’Etruria
che
Roma
decise
di
superare
per
controllare
i
ricchi
e
fertili
territori
etruschi.
Nel
389
a.C.
Furio
Camillo
conquistò
la
città
ma
solo
nel
310
a.C.
essa
si
sottomise
definitivamente
a
Roma,
quando
fu
instaurata
la
colonia
di
Julia
Sutrina,
e di
questo
periodo
sono
le
numerose
tombe
etrusche
che
si
trovano
nelle
necropoli
circostanti.
Con
l’affermarsi
del
cristianesimo
Sutri
diviene
sede
vescovile
e
avamposto
di
Roma
contro
i
Longobardi,
i
quali,
però,
riuscirono
a
occuparla
nel
592
e
nel
728
il
loro
re,
Liutprando,
ne
farà
dono
a
Papa
Gregorio
II.
La
cessione
della
città
alla
Chiesa
costituisce
una
delle
prime
donazioni
al
nascente
patrimonio
di
San
Pietro.
Nell’anno
800
si
ebbe
secondo
alcune
fonti
l’incontro
tra
Carlo
Magno
e
Papa
Leone
III,
prima
della
storica
cerimonia
dell’incoronazione
a
San
Pietro.
In
occasione
del
giubileo
del
1300
Sutri
ospitò
migliaia
di
fedeli
in
viaggio
verso
Roma.
In
realtà,
grazie
alla
via
Cassia
o
Francigena,
questo
borgo
aveva
assunto,
già
da
qualche
tempo,
una
notevole
importanza
perché
pellegrini
e
soldati
vi
sostavano
quale
tappa
obbligata
lungo
la
strada
per
la
Terrasanta.
Per
tale
motivo
divenne
una
submansiones
dei
cavalieri
Templari
e, a
testimonianza
di
tale
presenza,
rimane
la
chiesetta
di
Santa
Maria
del
Tempio,
situata
all’ingresso
di
villa
Savorelli.
Nel
1435
la
sede
vescovile
di
Sutri
è
unificata
a
quella
di
Nepi.
Questo
provvedimento
è la
prova
inequivocabile
della
profonda
crisi
demografica
ed
economica
che
aveva
investito
la
città,
contrattasi
ormai
al
solo
nucleo
urbano
sul
pianoro.
A
tale
decadenza
contribuì,
in
maniera
decisiva,
il
potenziamento
della
Strada
Cimina
per
opera
dei
papi
appartenenti
alla
famiglia
Farnese,
di
conseguenza
i
traffici
e i
commerci
si
spostarono
su
quest’arteria.
L'Anfiteatro
L’anfiteatro
rappresenta
il
monumento
antico
(figura
2)
più
importante
e
imponente
di
Sutri;
è
ricavato
interamente
nel
banco
di
tufo
e
appare
assai
suggestivo
grazie
al
discreto
stato
di
conservazione.
La
geometria
dell’arena
è
più
circolare
che
ellittica,
con
l’asse
maggiore
di
49
metri
e
quello
minore
di
40
metri.
Vi
sono
ventuno
strette
gradinate
sulle
quali
potevano
trovare
posto
poco
più
di
duemila
persone.
L’asse
maggiore
è
orientato
da
est
verso
ovest,
alle
sue
estremità
si
trovano
i
due
ingressi
a
volta,
quasi
due
gallerie
praticate
nel
fianco
della
collina.
Da
questi
ingressi
si
accedeva
al
settore
più
basso
dell’anello
delle
gradinate,
l’ima
cavea
e a
quello
intermedio,
la
media
cavea.
.
Fig.
2
–
Anfiteatro
di
Sutri
L’ingresso
posto
a
oriente,
sulla
via
Cassia,
si
presenta
oggi
molto
rovinato
e
mancante
della
volta,
crollata
in
tempi
passati.
Da
questi
ingressi
inizia
un
alto
podio
che
separa
l’arena
dalle
gradinate.
L’anfiteatro,
dopo
il
disfacimento
dell’impero
Romano
e le
successive
invasioni
dei
popoli
cosiddetti
“barbari”,
fu
abbandonato
a se
stesso
e
s’interrò
progressivamente,
consentendo
la
crescita
di
una
fitta
vegetazione
che
nascose
per
secoli
la
maggior
parte
della
struttura
(figura
3).
.
Fig.
3
–
Anfiteatro
di
Sutri
in
un
disegno
dell'Ottocento
Nel
1835
in
quest’area,
utilizzata
fin
allora
per
delle
coltivazioni,
iniziarono
gli
sterri
su
iniziativa
del
marchese
Alessandro
Savorelli,
esponente
della
nobile
famiglia
proprietaria
dei
terreni.
Lo
scavo
fu
eseguito
senza
alcun
criterio
scientifico
e
s’interruppe
poco
prima
di
mettere
in
luce
il
piano
di
calpestio
originale.
A
causa
di
tale
sistema
di
scavo
non
è
pervenuta
alcuna
notizia
su
eventuali
rinvenimenti
di
oggetti
o
manufatti.
Nel
1880
l’anfiteatro
diviene
proprietà
dello
Stato
italiano
e
l’arena
fu
liberata
completamente
solo
nel
1929-30,
circa
un
secolo
dopo
l’inizio
dei
primi
lavori.
Delle
iniziali
vicende
storiche
di
questo
importante
monumento
si
conosce
ancora
ben
poco,
ciò
è in
parte
dovuto
all’assenza
di
reperti
archeologici
ma,
soprattutto,
per
il
silenzio
delle
fonti
letterarie
ed
epigrafiche.
Sono
assenti,
inoltre,
tutte
quelle
strutture
architettoniche
che
potevano
fornire
degli
elementi
importanti
per
la
datazione.
Queste
notevoli
lacune
hanno
portato
diversi
studiosi,
fin
dall’Ottocento,
a
cimentarsi
nel
trovare
una
datazione
attendibile
per
tale
manufatto.
Il
primo
che
scrisse
sull’anfiteatro
di
Sutri
fu
l’avvocato
Pietro
Ruga;
in
una
lettera
del
1821
inviata
al
direttore
del
museo
Borbonico
di
Napoli,
egli
afferma
che
l’anfiteatro
è
un’opera
del
console
romano
Statilio
Tauro.
Quest’attribuzione
si
basa
dalla
lettura
di
un
decreto
di
Ottaviano
Augusto
nel
quale
il
Ruga
rileva
che
Statilio
Tauro
svolgeva
l’incarico
di
magistrato
a
Sutri
e,
per
motivi
non
troppo
chiari,
costruì
o
finanziò
questa
grande
opera.
Qualche
anno
dopo,
nel
1836,
il
sacerdote
Paolo
Bondi
scrisse
il
Saggio
storico
sull’antichissima
città
di
Sutri,
un
lavoro
caratterizzato,
però,
da
diverse
inesattezze
poiché,
pur
assegnando
la
paternità
dell’anfiteatro
agli
etruschi,
egli
ritiene
che
tale
costruzione
sia
stata
realizzata
nel
1152
a.C.,
e
che
poteva
contenere
fino
a
20.000
spettatori.
George
Dennis,
nel
suo
lavoro
The
cities
and
cemeteris
of
Etruria
del
1878,
asserisce
che
il
monumento
è
etrusco,
ma
successivo
alla
conquista
di
Sutri
da
parte
dei
Romani.
Il
Micali
nella
Storia
degli
antichi
Popoli
Italici,
così
si
esprime:
«Di
artificio
loro
[degli
Etruschi]
piuttosto
è
l'anfiteatro
di
Sutri,
mirabile
a
vedersi,
tutto
scavato
nella
solida
rupe,
e
che
può
avere
forse
a
mille
piedi
di
circonferenza».
Nella
Storia
dell'Italia
Antica
del
Vannucci,
leggiamo:
«A
Sutri
[...]
dura
nella
sommità
l'anfiteatro,
non
fabbricato,
ma
scavato
da
mani
etrusche
nella
solida
rupe».
Gli
studiosi,
come
abbiamo
visto,
hanno
elaborato
nel
corso
degli
anni
diverse
teorie
sull’epoca
di
costruzione
dell’anfiteatro
ma,
oggi,
in
seguito
all’analisi
delle
caratteristiche
costruttive,
è
stato
finalmente
possibile
attribuire
la
realizzazione
dell’anfiteatro
al
periodo
etrusco,
con
successivi
riadattamenti
in
epoca
romana.
Sebbene
questi
recenti
studi
abbiano
in
gran
parte
chiarito
le
origini
dell’anfiteatro,
vi
sono
ancora
dei
quesiti
da
risolvere
su
questa
grande
eredità
del
passato;
a
tale
incombenza
si è
dedicato
Alberto
Saiu,
un
acuto
ricercatore
di
Sutri.
In
pratica
il
Saiu
ha
rilevato
che
le
gradinate
dell’anfiteatro
sono
caratterizzate
da
una
larghezza
molto
esigua,
tanto
che
gli
spettatori
avrebbero
avuto
notevoli
difficoltà
per
stare
seduti
durante
gli
eventi,
di
conseguenza
dovevano
assistere
in
piedi.
Questo
è un
aspetto
tipico
dell’età
etrusca,
praticato
in
occasione
dei
“ludi
funebri”,
delle
rappresentazioni
commemorative
permeate
da
aspetti
sacri
e
religiosi.
A
rafforzare
ulteriormente
questa
ipotesi
c’è
l’evidenza
del
luogo
circostante,
caratterizzato
da
estese
necropoli
dove
erano
onorati
i
defunti
e,
certamente,
non
idonea
a
ospitare
un
luogo
di
“svago”
come
un
anfiteatro
nella
sua
più
abituale
connotazione.
Nel
suo
studio,
inoltre,
il
Saiu
ha
riscontrato
una
suggestiva
corrispondenza
tra
la
pianta
dell’anfiteatro
e il
disegno
della
volta
celeste
realizzato
tra
il
IV e
V
secolo
d.C.
da
Marziano
Capella,
scrittore
di
lingua
latina
(figura
4).
Ogni
settore
dell’anfiteatro,
dalla
cavea,
alle
gradinate,
alle
pareti
tufacee,
viene
a
rivestire
un
significato
ben
preciso;
in
particolare
i
grandi
palchi
d’onore,
ricavati
nelle
gradinate,
coinciderebbero
con
i
quattro
punti
cardinali.
Il
palco
centrale,
posto
a
nord-ovest,
rientrerebbe
nel
settore
di
Satres
(Saturno),
origine
del
nome
stesso
di
Sutri.
Secondo
questa
ipotesi
gli
aruspices,
osservando
i
segni
del
cielo
(volo
degli
uccelli,
fulmini,
ecc.),
erano
in
grado
di
interpretare
il
volere
manifestato
dalle
divinità
del
Pantheon
etrusco.
.
Fig.
4
–
Disegno
della
volta
celeste
di
Marziano
Capella
Personalmente
ho
visitato
molte
volte
l’area
archeologica
dell’anfiteatro
per
cercare
conferme
a
una
mia
personale
teoria
sulle
probabili
origini
e le
iniziali
funzioni
di
tale
struttura.
Un’ipotesi
scaturita
dall’esame
della
sua
principale
caratteristica,
quella
di
essere,
cioè,
una
costruzione
“in
negativo”,
realizzata
tramite
l’estrazione
di
materiale
tufaceo
dalla
modesta
altura
in
cui
si
trova.
È
pertanto
plausibile
affermare
che
quest’altura
sia
stata,
nella
prima
età
etrusca,
la
sede
di
una
grande
cava
di
tufo,
adattata
in
seguito
in
un
luogo
idoneo
per
ospitare
cerimonie
sacre
e
funebri.
A
supporto
di
tale
ipotesi
ci
sono
dei
recenti
scavi
archeologici,
fatti
lungo
l’antica
via
Amerina
tra
Nepi
e
Civita
Castellana,
che
hanno
portato
in
luce
una
singolare
struttura
teatriforme
che
presenta
le
evidenti
caratteristiche
di
una
cavea
destinata
a
ospitare
spettatori
per
la
rappresentazione
di
ludi
funebri.
Le
scalinate
di
questa
struttura,
inoltre,
potevano
essere
utilizzate
anche
per
accedere
alle
tombe
poste
in
alto.
Strutture
architettoniche
molto
simili
sono
note
in
Etruria
nell’ambito
di
necropoli
del
VII
e VI
secolo
a.
C. e
poi
anche
in
area
falisca,
con
soluzioni
diverse
nella
forma,
ma
sempre
con
l’intento
di
onorare
i
defunti
utilizzando
al
meglio
lo
spazio
e il
materiale
a
disposizione.
Queste
ultime
ipotesi
citate
confermano
che
lo
studio
di
antichi
monumenti,
in
apparenza
molto
conosciuti,
può
consentire,
a
volte,
l’evidenziarsi
di
nuove
scoperte
che,
se
confermate,
riscriverebbero
intere
parti
di
storia.