N. 68 - Agosto 2013
(XCIX)
lA VITA VANA
ANDY WARHOL TRA FAMA E DENARO
di Alessandra Caggiano
L'atteggiamento
eccentrico
e
infantile
spesso
assunto
da
Andy
Warhol
si
può
considerare
determinante
nell'aver
dato
all'artista
l'opportunità
di
attirare
tutti
i
riflettori
sulla
sua
persona
e di
imporsi
in
maniera
ineguagliabile
sulla
scena
americana.
Un
simile
atteggiamento
ha
radici
lontane
e
risalgono
sicuramente
ai
suoi
primi
anni
di
vita:
in
primo
luogo
la
presenza
immancabile
della
madre
che
ha
influito
sulla
sua
immaginazione
stravagante;
in
secondo
luogo
la
sua
"ossessione"
e il
suo
modo
di
venerare
le
celebrità
del
cinema
e
dello
spettacolo,
di
cui
amava
ritagliare
e
custodire
le
immagini
che
più
lo
affascinavano
(in
particolare
quelle
di
Shirley
Temple).
Di
questi
personaggi
e di
questo
mondo,
il
giovane
Warhol
apprezza
quella
magia
e
quel
sistema
di
produzione
che
poi
entrerà
a
far
parte
della
sua
attività
artistica.
La
"fabbrica
dei
sogni"
di
Hollywood
era
un
modo
divertente
per
entrare
a
far
parte
dello
star
system,
di
questo
universo
eccentrico
e
sfavillante.
Il
fascino
di
questo
mondo
in
cui
tutto
è
possibile
Warhol
riuscirà
a
riprodurlo
all'interno
della
Factory,
creando
un
contro-sistema
divistico,
parallelo
a
quello
hollywoodiano,
un
mondo
caricaturale
che
offriva
a
chiunque
(omosessuali,
drogati,
travestiti,
attori,
cantanti
ecc.)
di
"sfondare"
e di
raggiungere
la
notorietà:
del
resto
"tutti
potranno
essere
famosi
per
quindici
minuti"
diceva
Warhol.
La
Factory
è
infatti
un
vero
e
proprio
centro
culturale
e
mondano:
al
centro
di
questo
complesso
sistema
Warhol
rappresenta
-
oltre
a
colui
che
è
riuscito
a
trasformare
la
sua
vita
in
spettacolo
e in
opera
d'arte
-
colui
che
è in
grado
di
accettare
tutto
nello
stesso
modo,
identificandosi
senza
coinvolgimento,
nelle
vesti
di
uno
spettatore
che
guarda
la
vita
come
se
fosse
un
film
o
una
trasmissione
televisiva
e vi
partecipa
esclusivamente
in
qualità
di
voyer.
Il
suo
atteggiamento
è
assimilabile
a
quella
di
un
consumatore iper-informato
e
soddisfatto:
in
questo
modo
egli
ricalca
il
ruolo
indifferente
del
pubblico
medio
dell'America
media.
L'eccentrico
modo
di
essere
e di
vivere,
nonché
il
nuovo
modo
di
concepire
l'arte
e la
vita,
conduce
Warhol
a
quel
successo
tanto
desiderato.
Il
rapporto
di
Warhol
con
il
successo
appare
del
tutto
disinvolto:
egli
stesso
afferma
che
"la
gente
ha
bisogno
di
star
più
che
di
ogni
altra
cosa".
L'aspetto
della
fama
e
del
successo
non
è
disgiunto
da
quello
del
denaro,
e
Warhol
ama
il
denaro
(precisamente
i
contanti,
quelli
che
egli
stesso
chiama
"i
verdoni")
in
modo
assoluto,
fino
a
farlo
diventare
uno
dei
"soggetti"
(o
meglio
"oggetto")
delle
sue
tele.
Per
Warhol
il
denaro
contante
è
sinonimo
di
appagamento:
"denaro
contante.
Sono
infelice
quando
non
ne
ho.
Non
appena
ne
ho
lo
spendo.
E
compro
solo
scemenze".
Nulla
può
competere
-
secondo
Warhol
-
con
la
bellezza
dei
soldi
americani,
dotati
di
una
bellissima
grafica.
Niente
titoli
negoziabili,
assegni
o
traveller's
check:
solo
il
denaro
gli
conferisce
quell'aria
chic
tipica
delle
persone
ricche.
Warhol
si
lascia
ammaliare
dal
denaro
a
tal
punto
da
spenderlo
non
appena
si
ritrova
qualche
biglietto
in
tasca
o -
come
era
sua
abitudine
- in
una
busta
qualsiasi,
volutamente
stropicciato
e
disordinato.
è
evidente
l'influenza
esercitata
dal
sistema
capitalista
che
spinge
ogni
potenziale
acquirente
a
spendere
tutto
il
denaro
possibile,
anche
per
acquistare
la
merce
più
inutile.
Anche
Warhol
cede
alle
tentazioni
offerte
dal
mercato
fino
ad
assumere
comportamenti
di
consumo
insoliti,
"eccessivi",
di
cui
ama
sottolineare,
con
la
consueta
ironia,
il
carattere
anomalo
e
stravagante:
"ho
i
soldi
e li
voglio
spendere
prima
di
andare
a
dormire.
Così,
se è
l'una
di
notte
e
sono
ancora
sveglio,
prendo
un
taxi
e mi
faccio
portare
in
una
di
quelle
farmacie
aperte
tutta
la
notte
e
compro
qualsiasi
cosa
la
tv
mi
abbia
messo
in
testa".
Warhol
semplicemente
celebra
con
entusiasmo
questo
universo
e le
stelle
che
ne
fanno
parte,
pur
essendo
consapevole
delle
conseguenze
indotte
da
tale
sistema.
L'artista
è
troppo
attratto
da
questo
mondo
per
prenderne
le
distanze,
come
testimonia
con
evidenza
anche
la
sua
tendenza
all'acquisto
incontrollato:
"i
soldi
sono
soldi.
Non
importa
se
ho
lavorato
molto
o se
me
li
sono
guadagnati
facilmente.
Li
spendo
allo
stesso
modo".
Il
denaro
è
l'unico
elemento
che
Warhol
non
conserva
poiché
questo
viene
immediatamente
speso
per
acquisti
di
ogni
genere
e
per
trasformare
gli
spazi
che
frequenta
(in
primo
luogo
la
Factory),
in
una
sorta
di
museo
o di
grande
magazzino.
Warhol
però
intuisce
il
legame
fondamentale
che
intercorre
tra
il
denaro
e
l'arte
di
quegli
anni:
"L'arte
di
far
soldi
è il
gradino
che
viene
dopo
l'Arte".
Warhol
non
solo
aderisce
intimamente
a
questa
prospettiva
ma
ne
diviene
l'emblema
più
significativo.
Egli
è il
protagonista
della
scena
culturale
americana
di
quegli
anni
e il
profeta
di
un'arte
tutta
interna
alle
logiche
del
mercato.
Riferimenti
bibliografici:
A.
Mecacci,
Introduzione
a
Andy
Warhol,
Laterza,
Roma
-
Bari
2008.
M.
Nuridsany,
Andy
Warhol.
La
biografia,
Lindau,
Torino
2008.
A.
Warhol,
La
filosofia
di
Andy
Warhol:
da A
a B
e
viceversa,
Abscondita,
Milano
2009.
P.
Barozzi,
Voglio
essere
una
macchina:
la
fotografia
in
Andy
Warhol,
All'insegna
del
pesce
d'oro,
Milano
1974.