N. 85 - Gennaio 2015
(CXVI)
Andy Murray
L’antieroe dei tempi moderni
di Francesco Agostini
Molte
volte
lo
sport
assomiglia
a un
film:
c’è
una
trama,
spesso
avvincente,
un
buono,
un
cattivo
e un
finale,
a
lieto
fine
oppure
no.
In
questa
semplice
miscela
di
elementi
c’è
sempre
qualcuno
che
è
più
tagliato
per
un
ruolo
o
per
un
altro,
senza
alcuna
specifica
motivazione,
merito
o
demerito.
E
così,
nel
tennis,
accade
che
Roger
Federer
solitamente
è il
buono,
il
campione
sobrio
ed
elegante
che
vince
le
partite
in
punta
di
fioretto,
amato
e
rispettato
da
tutti
e
c’è
il
cattivo.
Andy
Murray,
per
l’appunto,
l’antieroe
per
eccellenza.
Sarà
per
il
suo
aspetto
fisico,
magro
come
un
chiodo,
lungo,
con
la
faccia
scavata,
i
denti
aguzzi
come
quelli
di
un
vampiro
e la
pelle
candida
come
la
luna.
Sarà
anche
per
il
suo
modo
di
giocare
così
noioso
e
ripetitivo,
difensivo
all’ennesima
potenza,
mai
capace
di
un
guizzo
di
genialità,
di
un
colpo
che
lasci
a
bocca
aperta.
Mai.
Sarà
anche
per
il
fatto
che
il
suo
allenatore
è
forse
l’unico
tennista
che
lo
batta
in
antipatia
e
brutto
gioco,
ossia
il
cecoslovacco
Ivan
Lendl,
il
lato
oscuro
del
tennis
anni
Ottanta.
Mettete
insieme
tutti
questi
elementi
e il
gioco
è
fatto.
E la
trama?
Beh,
c’è
anche
quella
se
considerate
che
nessun
tennista
britannico
dell’era
Open
era
mai
riuscito
a
vincere
Wimbledon,
il
prestigioso
trofeo
inglese.
L’ultimo,
infatti,
era
stato
Fred
Perry.
Il
popolo
britannico
dunque
ha
sempre
nutrito
molte
speranze
su
di
lui,
perché
Murray
ha
indiscutibilmente
un
gioco
solido,
un
rovescio
bimane
penetrante
e
una
grande
tenuta
mentale;
la
stampa
britannica
però
lo
ha
sempre
definito
un
britannico
nei
giorni
di
vittoria
e
uno
scozzese
in
quelli
perdenti.
Arrivati
a
questo
punto
della
storia,
c’è
da
chiedersi:
ci
sarà
un
lieto
fine?
Sì,
e
arriva
sorprendentemente
nel
2013
quando
finalmente
Murray
vince
Wimbledon,
rompendo
un
digiuno
britannico
che
era
durato
ben
settantasette
anni.
Anni
difficili
per
il
popolo
inglese,
conscio
di
ospitare
il
più
importante
trofeo
del
mondo
ma
incapaci
di
goderlo
appieno
tifando
un
loro
giocatore.
Con
Tim
Henman
il
popolo
inglese
aveva
sperato
e
non
era
arrivato
lontano
dal
gioire,
essendosi
fermato
parecchie
volte
in
semifinale,
a un
passo
dal
traguardo.
Ma
la
vittoria
non
era
arrivata.
Murray
invece
nel
2013
riusce
a
sfatare
quel
tabù
sconfiggendo
in
finale
il
coetaneo
Novak
Djokovic
dopo
un’aspra
battaglia,
secondo
Slam
inserito
in
bacheca
dopo
il
trionfo
allo
Us
Open
dell’anno
prima.
Per
farla
breve,
chi
è
Andy
Murray?
Un
ribattitore,
un
giocatore
difensivo
che
spesso
divide
l’opinione
pubblica
sul
suo
temperamento
e
stile
di
gioco.
Forse,
al
di
là
di
definizioni
troppo
personali,
è
bene
ricordare
il
commento
più
lucido
sullo
scozzese,
fatto
da
Michael
Chang,
che
ne
descrive
in
maniera
perfetta
la
sua
essenza:
“Andy
deve
guardare
a
come
ha
battuto
questi
giocatori
in
precedenza
e
proseguire
con
quel
piano,
con
il
suo
modo
di
giocare
a
tennis.
Perché
questo
è il
modo
di
battere
questi
giocatori
–
facendoli
giocare
un
tipo
di
tennis
che
non
vogliono
giocare.
Andy
ha
già
battuto
i
migliori
giocatori
al
mondo,
lo
sa
come
si
fa e
penso
che
debba
essere
semplicemente
testardo
e
dire
«Guarda,
io
giocherò
il
mio
tennis.
Se
il
mio
avversario
mi
batterà,
allora
vuol
dire
che
lui
è
troppo
forte”.