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N. 81 - Settembre 2014 (CXII)

La pitch-black comedy di Roy Andersson trionfa a Venezia
Parodia surrealistadell'inumanità

di Leila Tavi

 

Già dalle prime immagini il film ha rievocato in me l’idea che da bambina mi ero fatta della Svezia ascoltando quasi di nascosto i racconti di mio padre di ritorno dal set di un film girato in Svezia.

 

Diceva che a Stoccolma la gente si commuove per la morte di un piccione, ma resta indifferente di fronte al suicidio di un uomo.

 

I trentanove quadri surreali del film A Pigeon Sat on a Branch Reflectin on Existence (En duva satt på en gren och funderade på tillvaro) somigliano a dei tableaux vivants; sono una citazione al V-Effekt del teatro epico di Bertold Brecht e ai malinconici interni di Edward Hopper.

 

I ritratti della solitudine del regista Andersson sono fatti, a differenza di quelli di Hopper, esclusivamente di tinte fredde, ravvivate dalla tecnica con luce diffusa dello Still-life.

 

I grigi senza sfumature comunicano invece una sostanziale sfiducia dei protagonisti del film nei confronti dell’esistenza.

 

L’esistenza vista attraverso lo sguardo vuoto del piccione impagliato del museo, che possiamo associare al dipinto fiammingo A dead pheasant and a dead pigeon, attribuito a Jan Baptist Weenix, con i due volatili a testa in giù.

 

Un’esistenza morta che i personaggi del film mettono in scena celebrando l’assurdità della vita con pungente autoironia, che ridicolizza alcuni dei capisaldi della cultura svedese.

 

Un’autoironia che non mette a nudo non solo le contraddizioni e gli stereotipi del presente, ma rielabora in chiave tragicomica un evento storico che cambiò le sorti della Svezia per sempre: la clamorosa sconfitta subita dal re Carlo XII nella battaglia di Poltava del 10 luglio 1709, durante la ventennale Grande Guerra del Nord, per mano dello zar Pietro il Grande.

 

Con quella disfatta la Svezia uscì drammaticamente dal periodo del suo massimo splendore, detto stormaktstiden, che aveva spinto Carlo XII a cercare nel 1707, attraverso l’invasione della Russia, la massima espansione del suo impero.

 

Paradossalmente quell’errore strategico fece assurgere la Russia di Pietro I, che conquistò così il tanto agognato sbocco sul mar Baltico, a grande potenza europea e decretò, allo stesso tempo, irrevocabilmente, la disfatta della Svezia, che fu relegata a Stato ordinario.

 

Andresson mette in risalto, con il pretesto di una decontestualizzata, bizzarra e folkloristica ricostruzione storica, la fredda ragionevolezza degli Svedesi che, con il senno di poi, considerarono la sconfitta inferta dall’esercito di Pietro il Grande un evento positivo, foriero di una neutralità che sarebbe giunta circa un secolo dopo.

 

I due quadri dedicati alla campagna di Poltava e al ritorno in patria dopo la disastrosa sconfitta per mano del “Russo”, come è soprannominato dal giovane effeminato sovrano svedese, sono ambientati in un bar di periferia, dove l’armata di Carlo XII si ferma, all’andata, per bere una birra.

 

Il film premiato alla Biennale del Cinema di Venezia con il Leone d’oro è l’ultimo di una trilogia dedicata al genere umano, iniziata nel 2000 con Songs from the Second Floor (Sånger från andra våningen).

 

Con quest'ultima pellicola il regista portò sul grande schermo una serie di vignette su alcuni aspetti della società moderna, senza apparente legame l’una con l’altra.

 

A seguire, uscì il lavoro da You, the Living (Du levande) del 2007, un garbato burlesque interamente incentrato sulle cosiddette occasioni mancate... anche se il regista ha già annunciato, dopo aver ricevuto il premio, che presto il suo progetto diventerà una tetralogia.



 

 

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