N. 79 - Luglio 2014
(CX)
le ANAMORFOSI deL CONVENTO DI TRINITÀ DEI MONTI
FORME E TEORIE DELLO STUPORE
di Federica Campanelli
Una delle classiche passeggiate romane (apprezzata
in
verità
prevalentemente
dai
non
romani)
prevede
una
sosta
d’obbligo
a
Piazza
di
Spagna,
per
osservare
la
scenografica
scalea
di
Trinità
dei
Monti
che
dalla
celebre
Barcaccia,
fontana
di
Pietro
Bernini
alimentata
dall’antico
acquedotto
Virgo
(voluto
da
Agrippa
nel
19
a.C.),
conduce
alla
chiesa
intitolata
alla
Santissima
Trinità,
innanzi
alla
quale
svetta
l’Obelisco
Sallustiano
(proveniente
dagli
horti
di
Gaio
Sallustio
Crispo
del
I
secolo
a.C.).
Ma, a conferma del fatto che non basta una vita
per
conoscere
Roma,
se
ci
spingessimo
un
po’
più
in
là
di
ciò
che
vediamo
potremo
scovare
un
altro
Mondo.
Accanto
alla
chiesa
francofona,
infatti,
si
trova
l’omonimo
convento
sede
della
comunità
del
Sacro
Cuore
e
delle
Fraternità
Monastica
di
Gerusalemme.
Tale
edificio
fu
costruito
tra
il
1530
e il
1570
dal
re
di
Francia
Carlo
VIII
per
i
Minimi,
ordine
religioso
fondato
da
Francesco
da
Paola
(1416-1507),
frate
canonizzato
da
Leone
X
nel
1519
e
protagonista
del
prodigioso
attraversamento
dello
Stretto
di
Messina
a
bordo
del
suo
mantello.
Il convento è un vero scrigno che custodisce
meraviglie
inaspettate,
frutto
di
certosina
sapienza
e
raffinata
abilità
tecnica
in
grado
di
stupire
ma
anche
di
divertire
l’attento
osservatore:
oltre
al
discreto
chiostro
decorato
da
lunette
e
medaglioni
che
riportano,
rispettivamente,
le
storie
di
San
Francesco
da
Paola
e
i
ritratti
dei
reali
di
Francia,
oltre
al
refettorio,
mirabilmente
affrescato
con
effetti
illusionistici
dal
gesuita
Andrea
Pozzo
nel
1694,
avremo
l’opportunità
di
godere
di
due
interessanti
dipinti
murali
ideati
ed
eseguiti
dai
padri
minimi
Emmanuel
Maignan
(1601-1676)
e
Jean
François
Nicéron
(1613-1646):
trattasi
di
lodevoli
esempi
di
anamorfismo,
tra
i
più
accattivanti
artifici
dell’arte
figurativa.
Tra le due anamorfosi, occupanti i corridoi est
ed
ovest
al
primo
piano
dell’edificio,
vi è
un
complesso
e
affascinante
astrolabio
catottrico
(l’orologio
solare
con
quadrante
a
riflessione)
realizzato
dallo
stesso
Maignan,
decora
il
passaggio
rivolto
a
sud.
L’anamorfismo è una tecnica geometrica concepita
da
ingegnosi
e
creativi
studiosi
che,
sin
dagli
albori
del
Rinascimento,
si
dedicarono
alla
prospettiva
e
alle
sue
molteplici
applicazioni.
Il
risultato
è l’anamorfosi
(dal
greco
anamórphosis, “ricostruzione della forma”), cioè una
figura
che
appare
alterata
e
distorta
quando
osservata
frontalmente,
ma
che
riacquista
forma
e
senso
compiuto
inclinando
il
proprio
punto
di
vista
rispetto
al
piano
dell’immagine.
Si tratta dunque del prodotto di un processo
apparentemente
complicato:
l’impeccabile
abilità
compositiva
del
pittore,
infatti,
da
sola
non
bastava,
ma
doveva
congiungersi
sapientemente
alle
rigide
regole
dell’ottica
geometrica
e
della
percezione
visiva,
pena
un
risultato
disastroso
e
totalmente
illeggibile.
Tra i due capolavori del convento di Trinità
dei
Monti,
il
dipinto
anamorfico
che
ha
conservato
la
migliore
leggibilità,
si
trova
sul
versante
ovest
ed è
datato
al
1642.
L’opera,
che
si
estende
per
circa
sei
metri,
è
del
citato
Emmanuel
Maignan,
un
tolosano
che
fu
teologo,
scienziato
e
attento
studioso
di
gnomonica
e
che
fu a
Roma
dal
1636,
quando
intraprese
l’insegnamento
della
matematica
presso
il
convento
dei
Minimi.
Scorrendo il dipinto da un punto di vista che
si
mantenga
perpendicolare
alla
parete
–
ossia
la
comune
visione
di
un’opera
d’arte
–
possiamo
ammirare
un
vasto
e
flessuoso
paesaggio
costiero
in
cui
si
distingue
un’imbarcazione
che,
a
vele
spiegate,
è in
rotta
verso
un
porticciolo
visibile
in
lontananza;
a
largo,
poco
distante
dalla
vela,
individuiamo
la
figura
di
San
Francesco
da
Paola
e un
confratello
in
ginocchio,
durante
il
miracoloso
transito
dalle
coste
calabresi
a
quelle
siciliane.
Sono dettagli semplici e minuti, immersi in un
continuo
curvare
di
linee
e
forme
che
in
realtà
dissimulano
una
scena
di
dimensioni
ben
maggiori
non
ancora
percettibile.
Osservando
la
parete
trasversalmente,
infatti,
ciò
che
poteva
sembrare
un
paesaggio
acquista
una
nuova
sembianza:
il
grande
San
Francesco
da
Paola
in
preghiera,
dove
la
solenne
immagine
del
Santo,
incorniciato
dai
rami
di
un
albero
di
ulivo,
si
anima
di
intenso
dinamismo.
Ma
non
è
tutto,
poiché
l’anamorfosi
di
Maignan
è in
realtà
palindroma,
è
quindi
possibile
osservare
la
medesima
immagine
del
Santo
in
preghiera
da
entrambi
i
lati
del
corridoio.
Nel corridoio che costeggia il lato orientale
del
chiostro,
il
parigino
Jean
François
Nicéron,
altro
grande
conoscitore
della
scienza
prospettica
e
delle
riproduzioni
anamorfiche,
autore
di
importante
trattati
quali
La
perspective
curieuse
[...]
(1638)
e
Thaumaturgus
Opticus
(1646),
dipinse
il
San
Giovanni
Evangelista
che
scrive
l’Apocalisse
sull’isola
di
Patmos.
La sfortunata anamorfosi di Nicéron (terminata
poi
da
Maignan),
a
causa
della
sovrapposizione
di
molteplici
strati
di
calce
–
stesi,
a
quanto
pare,
rispondendo
a
necessità
igienico-sanitarie
durante
il
periodo
dell’occupazione
francese
– è
caduta
nell’oblio
per
oltre
duecento
anni,
cioè
dai
tempi
dell’invasione
napoleonica
della
capitale
(fine
del
XVIII
secolo).
Solo recentemente, nel 2009, il dipinto di Nicéron
ha
rivisto
la
luce
grazie
agli
interventi
di
restauro
che
ne
hanno
rivelato
la
presenza.
L’opera
(1642),
seppur
lacunosa,
presenta
un
cromatismo
più
vigoroso
rispetto
a
quella
di
Maignan
e ha
un’estensione
di
circa
venti
metri,
occupando
interamente
la
lunghezza
del
corridoio.
L’immensa
figura
del
San
Giovanni
chino
su
sé
stesso,
concentrato
nella
stesura
dell’Apocalisse,
è
percettibile
solo
dalle
due
prospettive
laterali.
Osservando
la
parete
frontalmente,
potremmo
invece
riconoscere
un
grande
paesaggio
riconducibile
all’isola
egea
di
Patmos,
dove,
secondo
la
tradizione
cristiana,
l’apostolo
trascorse
parte
della
sua
vita
in
esilio.
Dagli studiosi è stata identificata, inoltre,
un’iscrizione
in
greco
di
considerevole
impatto,
presente
nell’area
centrale
della
composizione.
Questa
recita:
“L’apocalisse
dell’ottica
è
testimone
oculare
dell’Apocalisse”.
Una
civetta,
da
sempre
simbolo
della
sapienza,
scruta
in
disparte
il
grande
scenario
con
il
santo
protagonista.
Due anni dopo il compimento dell’opera di Trinità
dei
Monti
Nicéron
ne
dipinse
una
copia,
riproponendola
attraverso
la
curiosa
e
potente
tecnica
dell’anamorfismo,
nel
convento
dei
Minimi
di
Place
Royal
a
Parigi.
Di
questa
riproduzione,
purtroppo,
oggi
non
rimane
alcuna
traccia.
La fortuna dell’anamorfismo è una conseguenza
naturale
della
storia
della
prospettiva:
la
prospettiva
concepita
nella
sua
classica
elaborazione
aveva
rappresentato,
tra
‘400
e
‘500,
un’importante
conquista
dell’uomo,
permettendogli
di
riprodurre
una
realtà
coerente
ma
ancora
bidimensionale.
Ben
presto
però
si
capì
come
la
prospettiva
potesse
diventare
uno
strumento
per
raggiungere
scenografici
effetti
illusionistici,
come
gli
sfondati
resi
celebri
da
padre
Andrea
Pozzo,
o
l’incredibile
plasticità
tridimensionale
delle
decorazioni
a
finti
stucchi.
Gli artisti vollero così sconvolgere le loro
composizioni
oltrepassando
i
limiti
spaziali,
e l’anamorfismo,
la
“prospettiva
curiosa”
di
Nicéron,
rientra
in
quella
categoria
di
artifici
tecnici
senza
tempo,
in
grado
di
rispondere
a
queste
necessità.
Ma
l’anamorfismo
non
è
solo
un
affascinante
espediente
rigorosamente
relegato
sulle
pareti
di
edifici
storici
o
sui
dipinti
dei
grandi
maestri
e
pittori
del
passato.
Tutt’altro.
Tale
tecnica
è in
realtà
ampiamente
utilizzata
ancor
oggi,
e in
particolar
modo
nel
mercato
pubblicitario
legato
allo
sport.
Attraverso
tecniche
anamorfiche
vengono
infatti
realizzati
quei
pannelli
promozionali
che
devono
essere
osservati
trasversalmente:
è il
caso
per
esempio
dei
campi
da
calcio
e
degli
autodromi,
dove
le
riprese
televisive
conferiscono
necessariamente
una
visione
angolata
della
competizione.
Di conseguenza, senza l’ausilio di questa preziosa
tecnica
grafica
i
numerosi
logo
degli
sponsor
apparirebbero
del
tutto
deformati.