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N. 70 - Ottobre 2013 (CI)

A PROPOSITO DI "Forza Italia"
Un apparato di tipo patrimoniale

di Pasquale Nava

 

“Forza Italia è soprattutto un partito del presidente. Una macchina elettorale personale, volta all’elezione del suo leader e da esso saldamente controllata”– così Marco Maruffi, uno dei maggiori analisti del quadro politico degli anni Novanta, qualifica la forza politica vincitrice delle elezioni del 1994.

 

Forza antitetica rispetto alla mera funzione interstiziale, tra istituzioni ed elettori, dei partiti tradizionali. Viceversa, il 1994 ipostatizza l’avvento di un novello modus politicandi.

 

Un’intera struttura viene infatti tendenziosamente calata dall’alto, alla ricerca di una nazionalizzazione degli interessi di una singola persona, e “si configura come un apparato personale direttamente dipendente da Berlusconi.

 

Max Weber lo avrebbe definito un apparato di tipo patrimoniale”, come affermato da Pietro Scoppola in La Repubblica. Le amicizie con gli uomini di Montecitorio e di Palazzo Madama si sono infatti annichilite per la reazione di un’indomita Magistratura. Ed in luogo di siffatte trame criptate, l’azione di Berlusconi diviene fautrice di un radicamento dei giochi privati all’interno del Parlamento medesimo.

 

Si tratta, in sostanza, di una programmazione accurata, in toto antinomica al processo di riassorbimento delle istituzioni (tentato dai di pietrini) entro le pareti dello Stato di diritto. Ma Forza Italia, con le elezioni del 1994, riesce a stoppare, sotto la foggia del moderatismo e dell’anticomunismo, questo tipo di impostazione infra-legem, ristabilendo quella extra-legem della Prima Repubblica.

 

Alla vigilia delle amministrative del 1993, Berlusconi asseconda difatti la candidatura del neofascista Fini a sindaco di Roma, con la quale è apodittica la forte increspatura tra la sua discesa in campo e l’istituto della certezza della legge. La preferenza per il missino esplica in tal modo il disinteresse per qualsivoglia forma di insindacabile costituzionalità e, al contrario, l’estensione dell’area di legittimità ad Alleanza Nazionale e a Bossi proietta la Seconda Repubblica ad un’apparente cambio di passo dal passato. Cambio di passo, purtroppo, mai avvenuto.

 

La novità di Forza Italia si palesa comunque in un secondo punto: la struttura. “Essa – secondo Maraffi – è certamente priva di un apparato simile a quello dei tradizionali partiti di massa. Tuttavia un apparato ce l’ha”. E quest’ultimo non nasce sulle macerie di un vecchio partito, si pensi al Pp o al Pds. Promana invece dalla collaborazione di “suoi dipendenti personali.

 

Dipendenti affidabili, prevedibili, obbedienti, che a lui devono tutto”. Un’intera azienda, o meglio, un intero impero economico si impossessa insomma dello Stato. E lo fa partitocizzandosi, attraverso una forza che di politico non avrà mai nulla. E che ancora oggi è l’antipolitica per antonomasia. “Si tratta- afferma Maraffi – di un gruppo ristretto di persone, estraneo ai circuiti politico-partitici, giovane e dinamico”. Ecco l’elenco dei soggetti endemicamente attivi nella macchina organizzativa di Forza Italia:

 

Fininvest : holding finanziaria di cui Berlusconi è azionista di maggioranza; Publitalia: concessionaria pubblicitaria della Fininvest, di cui Marcello Dell’Utri (cofondatore di Forza Italia) è amministratore della società; Programma Italia: società della Fininvest che vende prodotti assicurativi e finanziari; Diakron: istituto di ricerche di FI.

 

Il coordinamento delle attività politico-elettorali viene affidato a Roberto Spingardi, direttore generale delle relazioni interne ed esterne della Fininvest.

 

Il presidente e l’amministratore delegato della Diakron sono rispettivamente Mario Valducci, in Finivest nel settore della finanza, e Gianni Pilo, responsabile del marketing. Angelo Cosignoni, presidente dell’Associazione nazionale dei club Forza Italia (Anfi), è stato inoltre presidente della Cinq, canale televisivo del “Cavaliere”.

 

Tra il maggio ed il giugno del 1994 viene così a formarsi un comitato di presidenza di 11 persone: il presidente (Berlusconi), un coordinatore, i presidenti dei due gruppi parlamentari ed altri sette membri.

 

Vero asse decisionale è però un comitato di coordinamento di cinque membri: Angelo Codignoni (coordinatore territoriale di FI e dei club), Alessandro Gorla (comunicazione ed immagine), Roberto Spingardi (organizzazione interna e rapporti interni con enti, associazioni e sindacati), Mario Valducci (responsabile dei collegamenti con deputati e senatori) e Paolo Del Debbio (responsabile della formazione, del programma e del centro studi). Nell’ottobre 1994 diviene inoltre coordinatore nazionale del comitato di presidenza Cesare Previti, avvocato di Berlusconi e ministro della Difesa.

 

In tal senso, sono emblematiche le asserzioni di Maraffi: “Ciò ribadisce il carattere patrimoniale della leadership di Forza Italia. Il metodo non è neanche quello della cooptazione entro una cerchia ristretta, consolidato entro tutte le organizzazioni politiche, ma di una scelta del tutto discrezionale del capo indiscusso del movimento. Siffatto apparato costituisce l’ossatura, l’impalcatura, l’organizzazione centrale vera e propria, basata sulla dipendenza personale del suo leader. Il suo più autentico tratto distintivo è la subordinazione alla persona del capo, alle sue scelte ed al suo favore. I componenti di esso sono scelti dal vertice e al vertice rispondono in toto. è questo il cosiddetto partito-azienda”.

 

Forza Italia, comunque, vede ufficialmente la luce agli albori del 1994, ma la sua gestazione avviene all’indomani delle politiche del 1992, quando la Dc dimezza il suo elettorato e viene coinvolta nelle procellose vicende di Mani pulite, le destre avanzano con la Lega e l’Msi e le sinistre vincono le amministrative dell’anno seguente.

 

Il berlusconismo promana non allora da un repentino attivismo di un imprenditore milanese. Al contrario, nel cuore del liberalismo-democratico urge la volontà profonda di un radicamento di siffatti valori, improntabili ad una palizzata contro il post-comunismo.

 

Nel luglio 1993, infatti, Giuliano Urbani, ex consulente del Partito liberale e di Confindustria, animatore del Centro Einaudi, opinionista de Il Giornale e professore di Scienza della politica presso l’Università Bocconi, si allarma, in un’intervista al “Corriere della Sera”, circa la prospettiva di una andamento speculare alle elezioni amministrative del 1993 di quelle politiche del 1994.

 

Da quel momento, Urbani, alla maniera berlusconiana, incontra imprenditori, intellettuali e filo-liberali per caldeggiare l’idea della promozione di una rinnovata cultura alternativa a quella democratica di sinistra. Lo stesso giorno, Berlusconi invoca a La Repubblica una nuova classe dirigente, aliena dalla corruzione e dal clientelarismo.

 

Quando, allora, il primo fonda a Milano, nel novembre del ’93, l’associazione Alla Ricerca del Buongoverno, il libretto di Urbani, dal titolo Alla Ricerca del Buongoverno. Appello per la costruzione di un’Italia vincente, diviene il riferimento ideologico di Forza Italia stessa.

 

Esso si appella, non a caso, alle medesime istanze del thatcherismo britannico e del reaganismo americano: ridimensionamento del ruolo dello Stato, ammodernamento e semplificazione della burocrazia pubblica, la deregulation economica, la riduzione del debito, i tagli fiscali, agevolazioni ed incentivi all’industria in vista di una maggiore competitività internazionale.

 

Ivi, è palese la ricusazione di un’impronta interventista delle istituzioni nel mercato: il soffocamento dell’economia dei governi Ciampi ed Amato spingono pertanto il neo-partito ad un riassestamento verso posizioni più liberiste, capaci di un accurato instradamento degli orientamenti individualistici, sopiti dalla crisi e da un possibile successo delle sinistre.

 

D’altra parte, Forza Italia coagula le forze moderate che avevano sconfessato la Dc e che avevano sterzato verso la soluzione meno estremista alle elezioni amministrative del 1993: il Pds. Berlusconi, prima del successo delle politiche, è difatti conscio e sicuro della propensione assiologica dell’elettorato verso destra. Occorre soltanto colmare quel vuoto creatosi con Tangentopoli.

 

“Convinto che la maggioranza degli italiani non fosse di sinistra – spiega a tal proposito Emanuela Poli, Forza Italia. Strutture, leadership e radicamento territoriale  – egli aveva intuito che anche l’ampio elettorato moderato era allarmato. Se alle elezioni amministrative una parte del voto moderato era andato ai partiti di sinistra, ciò andava imputato al fatto che la sinistra avesse rappresentato in quel momento l’offerta migliore. Se la proposta del centrodestra fosse stata riformulata, gli elettori avrebbero risposto positivamente alla novità (…). L’essenza del suo progetto politico consistette proprio nella composizione di una nuova proposta politica di centro, fermamente opposta alla sinistra, capace di un recupero del voto cattolico e, allo stesso tempo, dei principi della tradizione liberale”.

 

Le teorie sinistre sull’exploit berlusconiano alle elezioni del 1994 collimano, d’altra parte, con una vera e propria reductio di foggia politologica.

 

La discesa in campo dell’imprenditore milanese non rispecchia infatti la semplice aleatorietà, come formulato da alcune frange degli addetti ai lavori circa la vittoria di Forza Italia e dei dilettanti della politica. Ma tale apparente incompetenza rivela in realtà un’accorta dimestichezza con il vero politichese. Con il vero fare politica.

 

Non a caso, l’insufficienza della disponibilità di un ampissimo impero imprenditoriale, per il conseguimento di vastissimi suffragi, è ipostatizzata dal crack elettorale di altri uomini di affari.

 

Non basta, infatti, un'azienda finanziaria di immense dimensioni alle proprie spalle, per ottenere come risultante una consolidata, almeno numericamente, maggioranza parlamentare.

 

Avrebbero riscosso i medesimi consensi imprenditori come Giovanni Agnelli o Luca Cordero di Montezemolo? La risposta è negativa, soprattutto se il riferimento assiologico del discorso è ancorato al modello di Downs.

 

Quest’ultimo difatti struttura l’elettorato italiano, alla vigilia delle elezioni politiche del 1994, secondo una distribuzione degli orientamenti politici di stampo post-centrista. In altre parole, essi avrebbero operato una loro traslazione verso i lati estremisti dello spettro ideologico di Downs.

 

La sedimentazione dei seggi, fino al 1992, verso la parte mediana del Parlamento si sarebbe così spezzata dopo Tangentopoli. E la sfiducia verso la partitocrazia avrebbe proiettato l’elettorato verso il “nuovo”.

 

Il merito berlusconiano non è perciò la mera surrogazione del voto moderato in senso anticomunista. O, meglio, non è il solo.

 

Viceversa esso è rintracciabile nella capacità del gruppo di Forza Italia e, soprattutto, dei tecnici della Diakron di una tangibile intuizione di tale spostamento centrifugo. “Mentre l’alleanza di destra del Polo delle libertà – ammette Bufacchi in L’Italia contesa – assume posizioni più radicali, attirando tanto la destra che la sinistra, l’Alleanza progressista sembra convergere verso l’elettore mediano, in un momento in cui gli elettori abbandonano il centro”. E congedano un’epoca politica in tutta la sua interezza.

 

Lo fanno con un voto di protesta antitetico alle elezioni amministrative di un anno prima, quest'ultime illusorie di un panorama ideologico non più immobilizzato verso soluzioni passatiste. Gli scenari infatti trasmutano.

 

Trasmutano attraverso la proliferazione di opzioni concretamente più estremiste. Certo, anticomunismo è sinonimo di moderatismo.

 

Ma quando quest’ultimo si correla all’indipendentismo padano ed al neofascismo, automaticamente si trasfigura in apodittico anti-moderatismo. In antipartitismo. Insomma nell’”inconsueto”.

 

E questo inconsueto si configura nella figura di Berlusconi. “Le sue capacità imprenditoriali – spiega infine Bufacchi – gli hanno consentito di cogliere che si stesse aprendo il mercato elettorale, mentre i partiti di sinistra ci sono arrivati più tardi”.



 

 

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