N. 71 - Novembre 2013
(CII)
TRA Guerre Mondiali e Fascismi
Le semplificazioni di Ernst Nolte
di Mattia Zenoni
L'analisi
di
Ernst
Nolte
cerca
di
inserire
sociologicamente
il
fascismo
come
elemento
determinante
durante
gli
anni
delle
guerre
mondiali.
Lo
studio
può
sembrare
a
prima
vista
banale,
ma
bisogna
considerare
la
differenza
di
periodo
tra
quest'articolo
e la
pubblicazione
dell'opera
originale,
datata
1963.
Nolte
è
uno
dei
primi
a
definire
i
tre
fascismi
più
importanti
come
forma
di
resistenza
e
reazione
alla
modernità,
quindi
alla
borghesia,
al
comunismo
e
anche
al
capitalismo.
Nel
suo
studio,
utilizzando
la
classica
dialettica
hegeliana
definisce
l'Action
Française
come
tesi,
il
Fascismo
come
antitesi
e il
Nazionalismo
come
sintesi.
“Che
un
fenomeno
storico
possa
esser
compreso
solo
in
rapporto
alla
sua
epoca
costituisce
una
verità
anche
troppo
evidente”.
Cosa
però
sia
quest'epoca
e
come
vi
si
inserisca
il
fenomeno
particolare
è un
problema
assai
dibattuto,
cui
di
rado
si
sono
date
tante
e
così
contraddittorie
risposte
come
nel
caso
del
fascismo.
Per
“epoca”
si
intende
l'unità
di
tempo
storica
più
piccola
delimitata
da
eventi
per
l'appunto
“epocali”.
I
quali
la
differenziano
nelle
profondità
dell'esistenza
dal
periodo
di
tempo
precedente
e da
quello
successivo.
Il
legame
tra
l'uomo
e la
sua
epoca
è
quindi
di
una
reciprocità
ineliminabile
e di
conseguenza
per
la
scienza
la
suddivisione
in
periodi
è
uno
dei
problemi
più
vetusti
e
mai
definitivamente
risolti.
Porsi
il
problema
del
“fascismo
nella
sua
epoca”
significa
dunque
aggiungere
difficoltà
a
difficoltà.
Si
tratta
di
un
doppio
impedimento
che
è
però
al
tempo
stesso
una
necessità,
ma
in
cui
è
implicita
una
soccorrevole
limitazione.
Se
tutt'oggi
si
ha
ancora
fascismo
in
grado
di
provocare
aspre
diaspore,
gli
si
può
ascrivere
un
significato
solo
orientativo
ai
fini
dell'immagine
dell'epoca,
a
meno
che
non
si
spogli
il
concetto
del
contenuto
tradizionale.
A
tale
limitazione,
tuttavia,
si
accompagna
un
vantaggio.
La
storia
contemporanea
rispetto
alle
precedenti
dispone
di
una
suddivisione
in
epoche
in
maniera
assoluta.
Il
fatto
che
si
possa
parlare
di
un'“epoca
delle
guerre
mondiali”
rende
il
1°
agosto
1914
e
l'8
maggio
1945
avvenimenti
così
profondamente
incisivi,
che
finora
mai
ne è
stato
negato
il
carattere
epocale.
Oggetto
di
discussione
è
quindi
il
nesso
in
cui
inserire
l'epoca
e la
sua
diversità
dalle
concezioni
seguenti:
1.
L'epoca
delle
guerre
mondiali
si
situa
in
un
periodo
di
rivoluzioni
e di
profondi
mutamenti
sociali,
che
inizia
con
la
Rivoluzione
Francese.
2.
La
radice
immediata
di
quest'epoca
è
l'imperialismo,
nel
quale
si
cristallizzano
tutti
i
conflitti
che,
con
lo
scoppio
della
guerra,
hanno
semplicemente
toccato
il
culmine.
3.
Solo
nel
1917
la
prima
guerra
mondiale
cessa
d'essere
un
mero
scontro
di
Stati
nazionali.
Con
l'ingresso
dell'America
e
con
la
rivoluzione
bolscevica,
l'interesse
diviene
universale
determinando
una
situazione
di
guerra
civile
generale
e la
futura
divisione
in
due
del
mondo.
Nessuno
ha
mai
seriamente
proposto
un
termine
diverso
da
“fascismo”
per
indicare
il
fenomeno
e
l'epoca.
Tale
termine
presenta
lo
svantaggio
di
esibire
insieme
nome
e
concetto.
Tuttavia
presenta
il
vantaggio
di
non
esibire
alcun
contenuto
concreto
e di
non
presentarsi,
come
il
termine
“Nationalsozialismus”,
con
una
pretesa
contenutistica
non
giustificabile.
Se
dunque
il
fascismo
si
lascia
dedurre
proprio
dai
più
validi
tentativi
di
periodizzazione,
è
logico
interpretarlo
come
la
tendenza
politica
caratteristica
dell'epoca.
In
seguito
all'arretramento
delle
“potenze
periferiche”,
l'Europa
è
nuovamente
il
centro
del
mondo.
In
quest'Europa
due
delle
maggiori
quattro
potenze,
nel
giro
di
un
decennio,
divengono
fasciste
e,
dopo
un
altro
decennio,
un
continente,
in
apparenza,
quasi
totalmente
fascistizzato
strappa
le
due
potenze
periferiche
stesse
dal
proprio
isolamento.
Se
si
deve
denominare
un'epoca
sulla
scorta
di
quello
che
costituisce
il
fenomeno
più
nuovo,
è
inevitabile
chiamare
“l'epoca
delle
guerre
mondiali
epoca
del
fascismo”,
per
quanto
oggi
sia
morto
solo
come
manifestazione
storica
e
non
nelle
sue
forme
fenomeniche.
Nel
momento
culminante
della
sua
autorità
e
del
suo
potere
personale
Mussolini
afferma
che
le
idee
fasciste
sono
le
idee
del
secolo
e
che
in
breve
tempo
l'intera
Europa
sarebbe
fascista.
Dappertutto
egli
scorge
“fermenti
fascisti
del
rinnovamento
politico
e
spirituale
del
mondo”
e
definisce
il
fascismo
quale
“democrazia
organizzata,
concentrata,
autoritaria,
su
base
nazionale”,
come
rafforzamento
dell'autorità
statale
e
interventi
nella
sfera
economica.
La
tesi
mussoliniana
può
apparire
insensata,
ma
ciò
che
Thomas
Mann
scrive
nella
sua
opera
“Questa
pace”
offre
una
lettura
assai
simile,
seppure
in
chiave
diversa.
Egli
constata
la
“completa
vittoria”
delle
“rozze
tendenze
dell'epoca,
che
si
sintetizzano
nel
nome
di
fascismo”,
e la
riconduce
alla
“predisposizione
psicologica
dell'Europa
all'infiltrazione
fascista”.
Successivamente
egli
definisce
il
fascismo
“una
malattia
del
nostro
tempo,
che
è di
casa
dappertutto
e
dalla
quale
nessun
paese
può
dirsi
immune”.
Una
riprova
non
meno
convincente
del
carattere
epocale
del
fascismo
è l'
influenza
fortissima
esercitata
sui
suoi
avversari.
Il
fascismo
obbliga
generazioni
di
propri
avversari
al
più
doloroso
ripensamento,
dal
momento
che
proprio
nei
suoi
confronti
essi
incorrono
nei
loro
più
gravi
errori
ed
equivoci.
Analizzando
il
comportamento
delle
potenze
periferiche,
si
tende
a
istituire
una
netta
ed
essenziale
differenza
tra
lo
stalinismo
e il
fascismo.
Tuttavia
la
tesi
di
Franz
Borkenau,
per
cui
la
Russia
dal
1929
si
schiera
“tra
le
potenze
totalitarie
e
fasciste”
resta
pur
sempre
degna
di
attenzione
e di
considerazione.
Senza
dubbio
la
questione
dell'atteggiamento
nei
confronti
del
fascismo
condiziona,
come
nessun'altra,
la
politica
sovietica.
Neppure
l'America
si
sottrae
a
rimproveri
del
genere.
Dorothy
Thompson
tenta
di
scoprire
tendenze
fascistiche
nel
New
Deal.
Già
nel
1934
v'è
chi
paragona
Roosvelt
a
Mussolini
e
nel
1940
molti
americani
si
muovono
appassionatamente
contro
il
“cesarismo”
e il
“principio
del
capo”.
Lo
stesso
Roosvelt
ritiene
molto
grave
l'accusa
di
fascismo.
Tutte
queste
considerazioni
servono
a
ritenere
fondata
la
tesi
dell'epoca
delle
guerre
mondiali
come
l'epoca
dei
fascismi.
Per
quanto
i
movimenti
fascisti
siano
meno
uniti
rispetto
a
quelli
comunisti,
hanno
anche
loro
un'innegabile
unità.
Questa
è
visibile
nella
sensibilità
degli
stessi
fascisti
verso
i
legami
di
parentela
reciproci,
inseriti
quasi
in
un
rapporto
reciproca
influenza.
Sono
noti
l'ammirazione
e il
rispetto
di
Hitler
nei
confronti
di
Mussolini
come
primo
scissionista
del
marxismo.
Se
nel
1930
il
Führer
fosse
morto,
nessuno
storico
esiterebbe
a
definirlo
seguace
e
imitatore
di
Mussolini.
La
fratellanza
sopra
descritta
è
magnificamente
riscontrabile
inoltre
nell'aiuto
dato
dal
Duce
e
dal
Führer
al
Generalissimo
Franco.
Più
volte
tra
i
diversi
movimenti
“fascistici”
i
sentimenti
di
simpatia
reciproca
servono
a
superare
le
divergenze
concrete.
Tuttavia
sarebbe
impensabile
credere
che
non
vi
siano
anche
concordanze
positive,
come
il
principio
gerarchico,
la
volontà
di
creare
un
“nuovo
mondo”,
la
coscienza
dell'élite
e
l'efficacia
sulle
masse.
Non
è
infatti
un
caso
se
gli
sforzi
per
addivenire
ad
un'Internazionale
Fascista
comincino
assai
presto,
nonostante
non
si
concretizzino
mai.
Le
considerazioni
sin
qui
fatte
delimitano
il
terreno
sul
quale
è
rinvenibile
il
fascismo.
Tale
terreno
richiede
ora
una
descrizione,
che
presti
però
attenzione
all'importanza
dell'oggetto.
Nessun
oggetto
diviene
comprensibile
senza
il
suo
ambiente
e
quello
del
fascismo
è il
legame
stretto
e
originario
con
gli
alleati
di
parte
conservatrice.
Per
quel
che
riguarda
la
questione
italiana,
l'impresa
fiumana
di
D'Annunzio
costituisce
una
tappa
importante
lungo
la
strada
del
giovane
fascismo.
È a
Fiume
infatti,
non
a
Milano,
che
si
sviluppano
i
tratti
fondamentali
dello
stile
e
della
simbologia
fascista.
Che
il
1919
sia
fondamentale
nella
genesi
dei
fenomeni
fascisti
si
spiega
col
fatto
che
a
quei
tempi
in
Europa
guerra
e
rivoluzione
toccano
il
maggior
punto
di
vicinanza
reciproca,
creando
una
tappa
decisiva
per
gli
anni
1922
–
1923.
In
tale
biennio
i
primi
due
fascismi
compaiono
alla
luce
della
storia,
divenendo
oggetto
di
interesse
universale.
Sullo
scorcio
dell'ottobre
1922,
Mussolini
fa
occupare
Roma
dalle
sue
camicie
nere
e
poco
più
tardi,
l'impaziente
Hitler
“si
infila
sulla
spada,
tratta
controvoglia,
di
un
governo
fino
a
quel
momento
alleato
e
amico”.
Ma
un
terzo
avvenimento
di
quel
periodo
è
degno
di
menzione,
sebbene
avvenuto
in
un
angolo
secondario
d'Europa.
Il 9
giugno
1923,
a
Sofia,
il
governo
costituito
dal
capo
del
partito
dei
contadini,
Alexander
Stambulijski
viene
rovesciato
con
la
violenza.
Nel
frattempo
il
nuovo
governo
Zankoff
contribuisce
alle
repressioni
contro
il
partito
comunista,
tanto
che
il
Comintern
gli
da
l'appellativo
di
“vittoriosa
cricca
di
fascisti
bulgari”.
Sicché
per
la
prima
volta
appare
quello
studio
critico
comune
e
polemico
così
importante
per
gli
sviluppi
ulteriori
del
fascismo.
A
partire
da
quel
momento,
in
Europa,
i
movimenti
fascisti
“sorgono
come
funghi”.
Tuttavia
soltanto
il
fascismo
italiano
e il
nazionalsocialismo
tedesco
vedono
la
vittoria
di
un
vero
e
proprio
movimento
popolare,
il
quale
riesce
a
portare
i
capi
al
vertice
dello
Stato.
Solo
qui
si
giunge
a
duri
scontri
con
le
forze
conservatrici.
Scontri
che,
in
futuro,
si
acuiscono
fino
a
diventare
aperta
ostilità
e
reciproca
volontà
di
distruzione.
È
però
utile
ricordare
che
per
Nolte
in
nessuno
dei
due
casi
si
tratta
si
vittoria
totalitaria,
bensì
autoritaria.
Mussolini
infatti
deve,
da
repubblicano,
farsi
monarchico
prima
del
permesso
per
la
marcia
su
Roma.
Neppure
al
culmine
della
propria
potenza
può
pensare
a
una
liquidazione
delle
istituzioni.
Forse
ancora
più
evidente
però,
è la
limitazione
subita
dal
dominio
di
Hitler,
in
quanto
questi
deve
rassegnarsi
a
concedere
alla
principale
delle
forze
conservatrici,
l'esercito,
una
certa
autonomia,
della
quale
si
hanno
rinnovate
e
sistematiche
prove
sino
al
20
luglio.
Anche
il
nazionalsocialismo
quindi
è
sempre
stato
una
forza
solo
tendenzialmente
assolutistica.
Questa
tendenza
costituisce
l'elemento
comune
dei
fascismi,
mentre
non
lo è
la
misura
della
loro
affermazione,
pur
sempre
dipendente
anche
da
numerosi
fattori
casuali.
In
questa
prima
analisi
Nolte
si
chiede
anche
“come
fare
per
unire
l'esattezza
della
descrizione
con
la
puntualità
concettuale,
che
deve
risultare
dall'attento
scrutinio
di
tutte
le
concezioni”.
La
migliore
possibilità
è la
storia.
Dal
momento
che
si
da
una
“storia
del
comunismo
europeo”,
si
dovrebbe
poter
scrivere
anche
una
“storia
del
fascismo”.
Certo,
la
storiografia
corre
sempre
il
pericolo
di
cercare
di
far
dimenticare
l'accettazione
di
una
determinata
concezione.
Tuttavia
non
è
detto
che
ciò
debba
essere
una
necessità
e la
storiografia
di
un
certo
rilievo
è
sempre
qualcosa
di
diverso
rispetto
a un
mero
racconto
di
avvenimenti
basato
sulla
critica
delle
fonti.
Esistono
però
altre
difficoltà
che
escludono
il
ricorso
a
tale
metodo
per
quel
che
concerne
il
fascismo.
La
sua
unità
infatti
non
è
paragonabile
a
quella
del
comunismo,
non
essendo
il
frutto
né
di
un
centro
gerarchico
né
di
una
dottrina
riconosciuta.
Ma
anzi
si
appoggia
sull'analogia
delle
situazioni,
sulla
simpatia
sentimentale
e
sulla
comparabilità
di
una
tendenza.
Una
“storia
dei
movimenti
fascistici”
si
potrebbe
comunque
scrivere.
Questa,
però,
dovrebbe
presupporre
il
concetto
di
fascismo
e
approfondire
i
rapporti
dei
singoli
paesi
nei
quali
il
fascismo,
come
nazionalismo,
rimane
molto
più
forte
rispetto
al
comunismo,
così
da
avere
una
“Storia
dell'Europa
nell'epoca
del
fascismo”.
La
storia
come
metodo
però
ci
dice
che
caratteristica
di
ogni
fascismo
è la
combinazione
di
un
motivo
“nazionalistico”
con
uno
“socialistico”.
Inoltre
nel
fascismo
italiano,
almeno
ufficialmente,
non
si
ha
“antisemitismo”
fino
agli
anni
'30.
Ma
la
sua
esistenza
potenziale
può,
anche
in
Mussolini,
essere
constatata
già
da
prima
ed è
presente
in
ogni
fascismo.
La
“posizione
normale”
è
assunta
da
paesi
in
cui,
come
la
Romania,
esiste
una
questione
ebraica
quale
problema
sociale.
In
ogni
movimento
fascista
si
rende
manifesta
una
straordinaria
mescolanza
di
una
tendenza
particolare
e di
una
universale.
Di
conseguenza
nel
progredire
verso
la
sua
forma
estrema
risulta
evidente
il
crescente
paradosso
della
loro
fusione.
Accade
quindi
che
il
pensiero
di
Codreanu
sia
rivolto
sì
alla
Romania
ma
che
inoltre
dichiari
necessario
anche
un
piano
internazionale.
Nel
fascismo
di
Mussolini,
d'altra
parte,
sono
presenti
tendenze
universali,
come
testimonia
il
perdurare
delle
convinzioni
internazionalistiche
della
sua
giovinezza.
Ma
quando
Mussolini
riesce
finalmente
a
portare
al
potere
a
Zagabria
il
suo
amico
Ante
Pavelić,
“ben
scarse
tracce
restavano,
nel
regolamento
delle
questioni
di
fondo,
della
solidarietà
fascistica
internazionale”.
La
riprova
dell'universalismo
fascista
risulta
dal
rapporto
con
gli
altri
fascismi.
Ciò
perché
la
simpatia
per
coloro
che
negli
altri
paesi
nutrono
la
stessa
fede
mai
riesce
a
sopprimere
il
fatto
che
gli
amici,
proprio
perché
rappresentanti
di
un
avverso
nazionalismo,
costituiscono
i
nemici
più
implacabili.
Un'interessante
visione
dice:
“Il
fascismo
è
antimarxismo
che
tenta
di
distruggere
l'avversario
mediante
l'elaborazione
di
un'ideologia
radicalmente
contrapposta
eppure
limitrofa
e
l'impiego
di
metodi
quasi
identici
eppure
dalle
caratteristiche
proprie,
sempre
però
nei
limiti
insuperabili
dell'autoaffermazione
e
dell'autonomia
nazionali”.
Questa
definizione
implica
non
solo
che
senza
marxismo
non
si
ha
fascismo,
ma
al
tempo
stesso
anche
che
il
fascismo
è,
in
pari
tempo,
più
lontano
e
più
vicino
al
comunismo
di
quanto
lo
sia
l'anticomunismo
di
marca
liberale.
Infine
offre
come
ulteriore
conclusione
che
non
dovrebbe
esser
lecito
parlare
di
fascismo
laddove
non
sussistano
perlomeno
i
rudimenti
di
un'organizzazione
e di
una
propaganda
paragonabile
a
quelle
“marxistiche”.