N. 46 - Ottobre 2011
(LXXVII)
L’anaffettività delle società evolute
la denuncia vien dal festival
di Leila Tavi
A un computer si può sempre sostituire il processore o estendere la memoria e la struttura resta sempre la stessa. Noi invece abbiamo ibernato il cervello e ci preoccupiamo solo di protesi di nuova generazione, prima per rigonfiare mammelle e peni avvizziti e poi forse per aiutare chi è menomato.
Delle macchine c’interessa migliorare le capacità di elaborazione perché ci sostituiscano in azione e pensiero; domani pretenderemo anche che le macchine provino emozioni e sentimenti, perché sarà meno scomodo confrontarci con un surrogato dell’essere umano che avremo l’illusione di controllare.
Se pensiamo che sia più comodo delegare a una macchina il fare e il pensare, allora ci stiamo perdendo, ognuno per sé, il senso della vita; come quando abbiamo le nostre migliaia di contatti nei social network, con cui condividiamo osmoticamente ogni scatto della loro vita e rifiutiamo disgustati i contatti umani. Soffriamo di anosmia e il nostro cervello degenera spaventosamente.
In attesa che le portentose macchine saranno sul mercato abbiamo i nuovi schiavi in casa, gente che, senza altra scelta, pulisce il nostro sporco quotidiano, mentre noi giacciamo come morti sul lettino solare o davanti al quiz televisivo della sera.
Puntiamo sui processi della cibernetica per risolvere i grandi e i piccoli problemi del mondo, intanto agiamo su impulso degli istinti e solo la loro veloce soddisfazione ci appaga. Abbiamo smesso di credere nell’evoluzione umana e nessuna multinazionale vuole più investire in capitale umano.
Abbiamo meno dignità degli animali, l’alienazione sociale ci rende come polli in batteria dalla carne stoppacciosa, buona solo per le friggitrici dei fast food.
Teniamo i vecchi a vegetare sulla sedia a rotelle per non perdere la pensione, la pensione d’anzianità, la pensione di reversibilità, mentre non ci accorgiamo che sono stanchi di vivere, intanto prestiamo più cure e conforto al nostro cane con la zampa rotta.
Non vediamo l’ora di preparare lo zaino ai nostri figli che vanno a dormire dal padre per uscire con gli amici. Scene di parricidio o matricidio sullo schermo non ci sconvolgono più, troppe volte ne abbiamo sentito parlare in cronaca nera, non siamo come Baudelaire che rabbrividiva davanti a quella che considerava una macabra pratica: leggere il giornale a colazione.
Il macabro è diventato una consuetudine nei rapporti umani; dobbiamo essere grati ad alcuni dei registi a Venezia, che quest’anno hanno tentato di farci riflettere su questo terribile nuovo male della nostra società, l’anaffettività.