[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

188 / AGOSTO 2023 (CCXIX)


contemporanea

RICORDANDO INIGO CAMPIONI

QUANDO LA REPUBBLICA SOCIALE FUCILò GLI AMMIRAGLI

di Francesco Caldari

 

All’alba di quel mercoledì 24 maggio 1944, al poligono di tiro di Parma, l’Ammiraglio di Squadra Inigo Campioni guardò i componenti del plotone di esecuzione schierati davanti a lui e al Contrammiraglio Luigi Mascherpa. Erano tutti così giovani, e stranamente euforici. Forse avevano dato loro da bere. L’ultimo sgarbo era stato quello di giungere in ritardo sul luogo dove si sarebbe dovuto compiere l’atto finale della vita militare e terrena dei due alti ufficiali della Regia Marina.

 

Li avevano dovuti attendere una buona mezz’ora. Di indossare l’uniforme per loro due non se ne parlava; sin dall’incarcerazione nel campo di prigionia a Schokken erano stati costretti a vestire abiti borghesi. Almeno la sentenza aveva risparmiato l’onta della fucilazione alle spalle. L’Ammiraglio Campioni al pari del suo collega Mascherpa rifiutò la sedia. Volle rimanere in piedi ad attendere la scarica di fucileria, mirando negli occhi i suoi carnefici.

 

Dicono che, quando si è a pochi istanti dalla morte, nella mente passano come in un attimo tutte le immagini della propria vita. Quelle dell’Ammiraglio Campioni lo devono aver riportato ai colori intensi azzurro e verde dell’isola di Rodi. Al periodo vissuto, solo pochi anni prima, nell’insolita per lui funzione di Governatore Civile e Militare del Possedimento delle Isole Italiane dell’Egeo. Era giunto al castello dei Cavalieri Gran Maestri degli Ospedalieri il 24 luglio del 1941 in quella che i greci chiamano non a caso “isola del sole”, dopo essere stato richiamato in servizio – avendo raggiunto i previsti limiti di età – per “esigenze eccezionali dovute allo stato di guerra”.

 

Certo sarà rimasto anche lui abbagliato dalla bellezza di quei luoghi. Chissà se gli ricordavano almeno un po’ la sua Viareggio, dove era nato il 14 novembre del 1878 e cresciuto fino ai 15 anni, prima di varcare il portone dell’Accademia Navale della vicina Livorno, da cui era uscito nel 1898, primo del suo corso, in vista una brillante carriera. E tale era stata, in verità: nel 1912 la partecipazione alla guerra italo-turca a bordo di Nave Amalfi quale direttore di tiro, gli frutta il Cavalierato dei SS. Maurizio e Lazzaro, mentre durante il Primo Conflitto Mondiale imbarca sulle navi Cavour e Andrea Doria.

 

Poi da comandante del cacciatorpediniere Ardito merita una Croce di Guerra per l’impegno in alto Adriatico e una Medaglia di Bronzo al Valor Militare per una azione di contrasto a navi austriache di supporto a una incursione aerea. Dopo la guerra, ormai capitano di vascello, l’incarico di addetto navale a Parigi, in un periodo in cui le relazioni italo-francesi sono quanto mai delicate. Il percorso dello stimato Campioni prosegue con cadenza regolare: passa da incarichi ministeriali ad altri operativi, fino a giungere alla responsabilità di Sottocapo di Stato Maggiore della propria Forza Armata e alla nomina di Senatore del Regno. Già prima del giugno 1940, che segna l’ingresso in guerra dell’Italia, torna a comandare sul mare: da responsabile della I Squadra Navale porta le navi italiane a combattere a Punta Stilo (9 luglio 1940) e Capo Teulada (27 novembre successivo), in due storici scontri contro la Royal Navy-Mediterranean Fleet britannica dell’Ammiraglio Cunningham.

 

Nel suo nuovo ruolo di Governatore, Campioni prosegue la dominazione italiana sulle isole del Dodecaneso, l’arcipelago tra la costa turca e Creta che l’Italia aveva annesso nel 1912, dopo aver combattuto quella guerra italo-turca (ovvero guerra di Libia, figlia delle nostre velleità coloniali) cui aveva partecipato, da tenente di vascello imbarcato sull’Amalfi, proprio il futuro Governatore. Nel complesso circa 140 mila abitanti – 60mila nella sola Rodi, il capoluogo – dei quali 16mila italiani. La posizione ordinamentale del Possedimento è elevata: dipende dagli Esteri, e non dal Ministero delle Colonie; il Governatore può promulgare propri decreti, ha una ampia autonomia amministrativa, ha alle dipendenze quale Comandante Superiore le tre forze armate (identificate dalla sigla telegrafica EGEOMIL) massicciamente presenti sulle isole, in primis la Divisione Regina, con i suoi 34.000 fanti.

 

La guerra, vista da Rodi, appare lontana, e il blocco navale e talune incursioni aeree degli Alleati intaccanoil giusto la vita dei rodensi indigeni e dei loro “padroni di casa” italiani. Altri ospiti però presto si affacciano a turbare l’ambiente complessivamente sereno, nonostante tutto. Questi sono alleati, certo, ma hanno evidenti mire strategiche, avendo annusato la possibile uscita dal conflitto dell’Italia e volendo ben presidiare un sito di massima importanza per lo sviluppo della guerra nel Mediterraneo. A partire dalla fine del 1942 e via via con maggiore insistenza giungono nelle isole truppe tedesche, con la falsa prospettazione di fornire ausilio e cooperazione. Ciò infastidisce naturalmente Campioni e il suo Staff.

 

L’Ammiraglio ne ha modo di lamentarsi, scrivendo in una lettera informale al Sotto Capo di Stato Maggiore della Marina, a Roma: «è iniziata da un po’ una invasione di tedeschi” – salvo poi concludere – «auff! Scusa il piccolo sfogo». Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesserling, comandante in capo tedesco dello scacchiere Sude delle operazioni nel Mediterraneo, nel corso di una visita nel maggio del 1943, forse per saggiare la reazione di Campioni, nel constatare come nel registro dei visitatori del Castello vi sia una numerosa lista di suoi connazionali, sbotta: «Questa è una vera invasione germanica!».

 

E se non bastano gli uomini, sulle isole arrivano anche armamento e munizioni. Ma il Comando Supremo Italiano, a Roma, pur portato a conoscenza della situazione di disagio che si sta creando per la continua richiesta degli alleati tedeschi di sapere forza, armi e piani operativi dei nostri connazionali, fa spallucce. Anche qualche comandante italiano sull’isola – evidentemente consapevole di una certa riluttanza dei suoi alla collaborazione – non manca di richiamare affinché vengano lasciate ai tedeschi massima libertà di movimento e fornito un chiaro quadro di situazione.   

 

Questi intanto hanno consolidato le proprie posizioni; hanno costituito una Sturmdivision (divisione d’assalto), dotata di mezzi blindo e corazzati, denominandola Rhodos e ponendo fisicamente non senza motivo il comando del colonnello Ulrich Kleemann (nel corso dei successivi avvenimenti promosso generale) nelle vicinanze di quello della italiana Divisione Regina.

 

Presto arriva il 25 luglio 1943, con la destituzione di Mussolini, e quindi il fatidico 8 settembre e la situazione non tarda a precipitare: solo dal giorno prima, grazie alla intercettazione di comunicazioni radio, Campioni e i suoi collaboratori apprendono della avvenuta (il 3 precedente) firma dell’Armistizio a Cassibile con gli anglo-americani. Ad acquisire la notizia sono però anche i tedeschi, che intanto cominciano a piazzare le proprie truppe nelle posizioni strategiche dell’isola. L’annuncio ufficiale dell’armistizio giunge prima da Radio Algeri dal generale americano Eisenhower e quindi dall’Italia da Badoglio, riportante la ben nota enigmatica disposizione «(…) ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse, però, reagiranno a eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».

 

Se i soldati festeggiano, giubilanti, intravedendo la fine della guerra, e attendendo ordini sul da farsi nei riguardi degli ormai ex alleati tedeschi, Campioni chiede che venga convocato Kleemann. Il colonnello (secondo alcune fonti al cospetto dell’Ammiraglio, secondo altre invece trattando con un delegato di questi, il Generale di Corpo d’Armata Forgiero) finge di essere a sua volta rimasto sorpreso della notizia e ritiene che sia opportuno evitare incidenti. L’accordo è di mantenere le rispettive posizioni, in buona sostanza senza battagliare, seppure Kleemann ottenga 24 ore per “raccogliere le poche migliaia di uomini intorno al suo quartier generale”. Salvo poi procedere alla determinante occupazione dell’aeroporto di Maritza, il principale, e quello di Gadurrà. In questo teso contesto, non manca qualche patriota greco isolano che issa la bandiera ellenica sul pennone destinato a ospitare il vessillo degli “oppressori” italiani.

 

Intanto, giunge da Roma altro dispaccio (il n. 24292-90) con indicazioni specifiche per il Comando dell’Egeo “libero (di) assumere verso (i) germanici (l’) atteggiamento che riterrà più conforme alla situazione. Qualora però fossero prevedibili atti di forza da parte germanica procedere at disarmo immediato unità tedesche nell’arcipelago”, concludendosi con un contraddittorio “non deve però essere presa iniziativa di atti ostili contro germanici”. Fatto che sta che alle 7:10 del 9 settembre il colonnello tedesco può telegrafare a Berlino: «Aeroporti Maritza e Gadurrà saldamente in nostre mani».

 

Quella stessa mattina giungono gli stukas tedeschi provenienti da Creta a bombardare il porto di Rodi, evidentemente per non consentire sbarchi anglo-americani, e gli uomini di Kleemann procedono a disarmare le truppe della Regina. Al diniego del Comandante, Generale Scaorina, gli ex alleati non indugiano a far fuoco: rimangono uccisi in sedici e una quarantina sono feriti, mentre il Comandante e il suo staff sono fatti prigionieri. Il colloquio successivo tra Campioni e Kleeman è teso: il secondo chiede la resa delle truppe italiane oppure farà distruggere indiscriminatamente Rodi con bombardamenti aerei.

 

Presto ancora un colpo di scena: nelle primissime ore del mattino del 10 settembre riescono ad arrivareal Castello tre paracadutisti inglesi, giunti sull’isola la sera precedente. Li invia il Comandante britannico del Medio Oriente, il Generale Henry M. Wilson, che vuole dar corso a quel piano di conquista di Rodi, nodo strategico secondo gli inglesi per attaccare la Germania attraverso Grecia e Balcani, studiato da tempo (ma poi messo in un cassetto a favore del fronte siciliano e di quello della Normandia) e inizialmente appoggiato anche da Churchill, che visto l’evolversi della situazione proprio il 9 settembre gli telegrafa: «Questo è il momento di giocare forte. Improvvisate e osate».

 

La delegazione britannica conviene sull’invio, intanto, di almeno duecento paracadutisti, promettendo di poter fornire rinforzi entro il 15 successivo, e riparte con una nota di Campioni a Wilson, che nel segnalare “ho immediatamente iniziato il fuoco sulle truppe tedesche ovunque mi è stato possibile”, richiede urgentemente mezzi navali a sud dell’isola, per attirare ivi le truppe tedesche e diminuire la pressione su Rodi città. Intanto le scaramucce armate divampano tra italiani e tedeschi, e vedono i nostri avere la meglio.

 

Il mattino dell’11 settembre il Generale Scaorina, comandante della Divisione dell’Esercito, prigioniero, invia un biglietto al Governatore, chiedendogli “allo scopo di evitare ulteriore inutile spargimento di sangue” di consentire “la cessazione delle ostilità” da parte dei capisaldi a sud dell’isola, richiesta reiterata da un suo delegato in un incontro diretto con l’Ammiraglio, stante la minaccia dei tedeschi di passare per le armi 3.000 fanti italiani. I tedeschi lasciano mezz’ora di tempo a Campioni per decidere: la confusione è molta, le comunicazioni sono state interrotte, lo Stato Maggiore dell’Ammiraglio e i Comandanti da lui dipendenti non hanno conoscenza dei locali successi italiani negli scontri con gli ex alleati, talché il Governatore – concordi gli ufficiali generali suoi collaboratori – accetta la capitolazione e ordina la resa: il bluff di Kleemann è riuscito. Egli propone ora a Campioni, quale garanzia, di rimanere Governatore dell’Isola, mentre si continua a combattere a Coo e Lero, dove il contrammiraglio Luigi Mascherpa, qui sì aiutato dai britannici, resisterà sino a metà novembre.

 

La resa di Rodi è una pagina incerta della storia militare: seppure gli italiani fossero preponderanti come forza, mancavano di mezzi blindati e corazzati, la cattura del Comandante e dello Stato Maggiore della Divisione dell’Esercito privò della possibilità di coordinamento, il minacciato bombardamento indiscriminato da parte di Kleemann avrebbe significato una carneficina anche di civili isolani, il promesso aiuto degli inglesi sarebbe arrivato troppo tardi. Certo si consentì ai tedeschi – già preordinati – di prendere e mantenere l’iniziativa, e la capitolazione fu vissuta dalla maggioranza dei militari italiani come un’umiliazione.

 

La pressante richiesta dei tedeschi a Campioni di accettare anche la resa delle altre isole del Possedimento viene respinta: obbligato a rimanere internato nel Castello, il 18 firma le dimissioni da Governatore civile. Ve ne è a sufficienza perché venga condotto prima ad Atene e poi nel campo di Schokken, nel lager 64/Z, numero di matricola 137, dove è raggiunto dal difensore di Lero, l’altro internato Contrammiraglio Mascherpa.

 

Intanto nella costituita Repubblica di Salò nel dicembre 1943 viene ripristinato il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato: a Vincenzo Cersosimo viene dato l’incarico di istruire prima il processo di Verona, a carico di sei gerarchi che avevano votato l’ordine del giorno Grandi che aveva di fatto destituito Mussolini, e quindi quello che passerà alla storia come “il processo agli Ammiragli”, che si tiene a Parma nel maggio del 1944. Quattro gli imputati: Campioni e Mascherpa, trasferiti dai campi germanici e detenuti dall’8 aprile nella IV sezione di quel carcere, paradossalmente intitolato a San Francesco, del quale Campioni è devoto, e i contumaci Pavesi e Leonardi.

 

Per Campioni l’accusa è di aver aderito all’ordine di Badoglio, ritenuto dall’accusa “palesemente criminoso”, e di non aver evitato che i possedimenti affidatigli “venissero distaccati dalla madre Patria come era intendimento dei traditori del comando superiore”. La mattina del 22 maggio inizia la seduta avanti alla giuria, presieduta dal Generale della Milizia Griffini. A poco valgono la lunga dichiarazione dell’ex Governatore, una lettera di apprezzamento scritta dal sottosegretario alla Marina della RSI, Ammiraglio Sparzani, le dichiarazioni dell’unico testimone a favore, l’industriale Giovanni Caproni, costruttore di aerei da combattimento, e la puntuale e giuridicamente dotta arringa del suo avvocato difensore Gustavo Ghidini.

 

Il processo si svolge in una giornata. La camera di consiglio prende 15 minuti. La sentenza di morte per i due ammiragli presenti e per i contumaciera è scritta. Inutile la richiesta di ripensamento sollecitata nella notte dal Ministro della Giustizia della RSI, Pisenti, respinta da Mussolini che vuole una esemplare punizione per presunto tradimento nella condotta della guerra da parte delle Forze Armate italiane, e in particolare della Regia Marina: “pena di morte mediante fucilazione al petto”.

 

Se vi trovate a passare da Assisi, fate una passeggiata al cimitero monumentale. Magari siete fortunati e potete scambiare qualche parola con il professore del luogo che si prende volontariamente cura della tomba dell’Ammiraglio Campioni, per la parte che compete all’Associazione dei Marinai in congedo. Vi racconterà la storia del Governatore di Rodi, fucilato per aver obbedito al giuramento prestato, ucciso per un barbaro castigo. E vi svelerà che l’Ammiraglio era un terziario francescano, un laico, cioè, chiamato a compiere il suo cammino terreno aderendo alla spiritualità francescana, e che aveva chiesto di riposare nella terra di San Francesco, dove i suoi resti ebbero dimora nell’ottobre del 1945.

 

 

Troverete anche una targa che riporta la motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare concessagli alla memoria dalla Repubblica Italiana il 9 novembre 1947, dove è scritto: “processato e condannato da un tribunale straordinario per aver eseguito gli ordini ricevuti dalle Autorità legittime e per aver tenuto fede al suo giuramento di soldato, manteneva contegno fiero e fermo – rifiutando di firmare la domanda di grazia e di dare adesione anche formale alla Repubblica Sociale Italiana – fino al supremo sacrificio della vita”.

 

Riferimenti bibliografici:

 

E. Fintz Menascé, Buio nell’isola del sole: Rodi 1943-1945, Giuntina, Firenze 2005.

M. Gabriele, Il dovere e la memoria, Supplemento a Rivista Marittima, 2001.

G. Rocca, Fucilate gli ammiragli, Mondadori, Milano 1987.

M. Zubboli, Una finestra sul mare, Minerva, Assisi 2002.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]