A PROPOSITO DI AMEDEO MODIGLIANI
DA LIVORNO A PARIGI
di Maria Grazia Fontani
La città di Livorno annovera fra i
suoi figli molti pittori di tutto
rispetto, ma fra loro un posto
speciale lo occupa sicuramente
Amedeo Modigliani, Amedeo
Modigliani, il pittore di cui Parigi
va orgogliosa. Molte informazioni
sulle famiglie di origine, sia
quella materna dei Garsin, ricchi e
colti marrani francesi, che quella
dei Modigliani, ebrei sefarditi
venuti a Livorno da Roma, ce le
fornisce la figlia di Amedeo,
Jeanne, nella biografia del padre,
nella quale si attinge agli scritti
lasciati dalla nonna Eugénie Garsin.
Jeanne, che alla nascita prese il
cognome materno Hébuterne, e che fu
cresciuta a Livorno dalla zia
Margherita che la accolse dopo la
tragica morte dei genitori, racconta
molti particolari dei primi anni di
vita di Amedeo, a partire dalla sua
burrascosa nascita. La famiglia
Modigliani di ricchi imprenditori
era caduta in disgrazia dato che il
padre Gershom Arturo, detto
Flaminio, ne aveva dilapidato tutte
le ricchezze ma anche, come afferma
Meryle Secrest, perché tutta la
famiglia si era fatta garante della
dote della sorella di Flaminio,
Olimpia, data in sposa a Giacomo
Lumbroso, rampollo di una ricca
famiglia.
Jeanne racconta il famosissimo
aneddoto della nascita di Amedeo: il
12 luglio 1884, Eugenìe, una donna
dall’intelligenza vivace che si
dilettava di letteratura e che
addirittura terrà una scuola privata
nella sua casa, era in travaglio
quando nella bella palazzina in Via
della Barriera Maremmana, ora Via
Roma, comparve l’ufficiale
giudiziario a pignorare tutto quanto
di valore fosse rimasto. A qualcuno
venne in mente che al tempo era
impossibile pignorare gli oggetti
che si trovavano sul letto di una
partoriente, ed ecco che sul letto
di Eugenìe urlante vennero
accatastate suppellettili di ogni
genere per sottrarle al sequestro.
La madre di Amedeo ravvisò un triste
auspicio per le strane condizioni in
cui aveva messo al mondo il figlio,
cui dette il nome di Amedeo
Clemente, proprio come i suoi
fratelli minori Amedeo e Clementina,
quest’ultima morta a soli 16 anni.
Ultimo di quattro fratelli, il
maggiore dei quali fu il deputato
socialista Giuseppe Emanuele, Amedeo
fu incoraggiato dalla famiglia a
esercitare le sue doti artistiche:
dopo la frequenza in accademie
d’arte italiane molto prestigiose,
nel 1906 partì per Parigi in cerca
di fortuna.
I primi venti anni di Amedeo, il cui
nome in famiglia era diventato Dedo,
furono vissuti in una Livorno molto
attiva culturalmente, a contatto con
grandi maestri che seppero
indirizzarlo nello studio dal vero,
come Guglielmo Micheli, un allievo
di Giovanni Fattori. Non ho
riscontri certi, ma mi piace pensare
che Amedeo avesse ammirato La
Rotonda dei bagni Palmieri, il
famoso capolavoro di Fattori, prima
di partire per Parigi, dove avrebbe
frequentato La Rotonde, il
locale sull’angolo di Boulevard
Montparnasse, ritrovo di quegli
artisti immortalati in molte foto da
Jean Cocteau nel dicembre 1916.
.
Modigliani, Picasso e André Salmon a
Parigi, davanti a La Rotonde nel
1916
Come ricorda Gastone Razzaguta: «Dedo
era un giovanetto distinto,
disciplinato e studioso alla scuola
del Micheli, non faceva che
disegnare con molta cura e senza la
benché minima deformazione. Disegnò
sempre e mai o quasi mai dipinse pur
sognando di accingersi a farlo».
.
Ritratto di Aristide Sommati, 1909
Negli anni livornesi fu grande amico
del pittore Aristide Sommati,
anch’egli allievo di Micheli, col
quale prese in affitto uno studio.
Al Museo Fattori di Livorno è
conservato un incarto del Caffè
Bardi, il ritrovo degli artisti
livornesi, dove Modigliani, di
passaggio a Livorno, usava pagare
con uno schizzo alla maniera
parigina. Esso riporta un piccolo
ritratto che si dice rappresenti
Sommati, ma sotto al quale è scritto
“Benvenuti” con una grafia che credo
di poter di attribuire al maestro.
Probabilmente la persona ritratta
veramente non coincide con il titolo
dello schizzo, ma questo è anche
comprensibile: Modigliani era
assente da anni e inoltre Sommati e
il pittore Benvenuto Benvenuti
avevano delle caratteristiche
somatiche abbastanza simili. Vediamo
i tre pittori ritratti in una famosa
fotografia nello studio di Gino
Romiti negli anni della formazione
di Dedo.
.
Livorno, 1900. Da sinistra:
Benvenuto Benvenuti, Gino Romiti,
Aristide Sommati, Amedeo Modigliani
e Lando Bartoli
Dal bel libro di Jeanne si vengono a
conoscere molti aspetti interessanti
delle famiglie Garsin e Modigliani
che aiutano a tracciare un ritratto
preciso e veritiero della
sfaccettata personalità di Amedeo.
Nella famiglia della nonna paterna
Jeanne riscontra “intelligenza acuta
ma spesso disordinata e sterile,
difficoltà di adattamento sociale” e
ci racconta del delirio psicotico
del bisnonno Isacco, padre di
Eugénie, del suicidio della zia
Gabriella e delle manie patologiche
della zia Laura, entrambe sorelle di
Eugénie. La biografia della figlia
di Amedeo ci racconta di una
famiglia Modigliani con svariate
problematiche di tipo economico: da
ricchi imprenditori nel campo
dell’estrazione di minerali a
modesti rappresentanti, così modesti
che Eugénie fu costretta a tenere
una scuola privata per mantenere la
famiglia.
Pur non avendo concluso un regolare
corso di studi, anche a causa della
salute estremamente cagionevole
(giovanissimo si ammalò di tifo e
successivamente della tubercolosi
che lo portò alla morte), Amedeo
possedeva una grande cultura: lo
stereotipo di pittore maledetto che
gli si attaccò addosso a Parigi
forse non era poi del tutto
azzeccato dato che i soggiorni di
studio nella sua adolescenza a
Firenze (dove frequentò Fattori e
l’Accademia di Nudo) e a Venezia,
dove si iscrisse all’Istituto per le
Belle Arti, forse finanziato dallo
zio Amedeo Garsin (anch’egli morto
giovane di tisi) avevano affinato il
suo gusto artistico, mentre la
visione dei grandi del Rinascimento
(ma anche dei Macchiaioli) aveva
indirizzato le sue scelte
stilistiche nell’arte figurativa.
Dissertava con piacere anche di
letteratura e di filosofia,
coltivate da autodidatta: fin da
bambino le lunghe conversazioni con
il nonno Isacco, uomo colto e amante
della filosofia, e con la zia Laura,
resero Amedeo un animo profondo e
dotato di un grande bagaglio di
conoscenze storiche, filosofiche e
letterarie. Sappiamo che la scultura
fu fin dagli anni giovanili la sua
grande passione, ma purtroppo
dovette rinunciare alla pietra
scolpita (l’unica che concepiva) a
causa della poca forza fisica che la
malattia gli concedeva.
Purtroppo la città di Livorno
rimarrà per sempre collegata a
Modigliani dalla famosa burla del
1984, quando si dette credito a una
diceria che voleva che l’artista
avesse gettato nel Fosso Reale
alcune sue sculture che erano state
derise dagli amici, in un suo
ritorno in città nel 1909. Le si
cercarono con ostinazione,
trovandole. La figlia Jeanne, che
morirà pochi giorni dopo il
ritrovamento, si mostrò da subito
molto scettica e poco propensa a
giudicarle autentiche, e infatti il
tutto si rivelò essere lo scherzo,
geniale quanto iconoclasta, di
alcuni buontemponi, che riuscirono a
mettere in scacco grandi critici del
tempo facendo ritrovare delle teste
scolpite grossolanamente.
In realtà la città natale di
Modigliani già molto prima aveva
preso coscienza del valore
dell’illustre concittadino e non
sarebbe giusto associare Livorno
solo a questo episodio: già nel
lontano 1947 a Livorno esisteva la
Scuola d’Arte intitolata proprio ad
Amedeo Modigliani ideata e diretta
dal pittore Voltolino Fontani e dal
1955 era stata istituita la Mostra
nazionale di pittura “Premio Amedeo
Modigliani-Città di Livorno”. Da
parecchi anni in città sono molto
attive diverse associazioni, fondate
proprio con lo scopo di studiare e
diffondere l’arte e la figura del
pittore, anche se purtroppo l’idea
di Jeanne di trasferire con una
donazione alla città di Livorno gli
archivi personali di Modigliani non
ha mai visto la realizzazione a
causa della morte precoce della
stessa.
Una volta a Parigi, Modì (che con il
cognome abbreviato in modo che fosse
assonante con maudit, ossia
maledetto, diventò forse suo
malgrado il “pittore maledetto” per
antonomasia, nel gruppo degli altri
artisti di Montparnasse così
denominati) prese uno stile di vita
assolutamente deprecabile. Dal punto
di vista sentimentale la sua
attività, data anche la appurata
avvenenza, fu intensa. Negli ultimi
anni della sua breve esistenza
conobbe la giovanissima pittrice e
modella Jeanne Hébuterne, la quale,
in aperto contrasto con la famiglia
ebrea, ma convertita al
cattolicesimo che non vedeva di buon
occhio Amedeo, non seppe resistergli
e si annullò in lui.
Certo è che quei turbolenti anni
della vita di Amedeo, uniti alle
circostanze drammatiche della sua
morte, avvenuta fra atroci
sofferenze per una meningite
tubercolare e seguita nel giro di
poche ore dal suicidio di Jeanne in
avanzato stato di gravidanza, hanno
innescato un proliferare di
biografie non sempre basate su studi
accurati, ma piuttosto su fantasie.
Ad esempio nel romanzo Les
Montparnos di Michel
George-Michel, che ispirò il film di
Jacques Becker Montparnasse
19 del 1958, nel quale non si fa
nessun riferimento al periodo
livornese, la figura di un
Modigliani bohemienne non viene
certo dipinta con particolare
empatia: donnaiolo, alcolista,
drogato e violento.
Purtroppo c’è un fondo di verità, ma
il fattore determinante di tali
comportamenti è sicuramente da
ricercarsi, oltre che in
predisposizioni familiari, nella
malattia che lo perseguitava, se pur
fra alti e bassi, fin
dall’adolescenza. A quel tempo non
c’era facilità di diagnosi e tanto
meno di terapia: una tubercolosi
pregressa trasformatasi in meningite
tubercolare poteva essere veramente
devastante e dare per anni sintomi,
anche comportamentali, eclatanti.
Ecco che forse gli eccessi di droga
e di alcol si possono, se non
giustificare, almeno comprendere,
come pure gli episodi di violenza e
di delirio.
Amedeo Modigliani muore all’Hôpital
de la Charité, all’alba del 24
gennaio 1920 circondato dagli amici
più stretti. La compagna, incinta di
quasi nove mesi del secondo figlio,
fu alloggiata in albergo lontano
dall’appartamento di Montparnasse,
ma il giorno successivo alla morte,
ossia il 25 gennaio, volle essere
accompagnata in ospedale per vedere
Amedeo per un’ultima volta. Fu poi
condotta a casa dei genitori e
tenuta sempre sotto controllo. Forse
il dolore per la tragica perdita, ma
forse anche una scarsa fiducia nel
futuro con due figli da crescere
senza essere sposata (anche se
Amedeo si era impegnato per scritto
a farlo con una scrittura privata
del 1919 controfirmata da Jeanne e
da due testimoni) e senza il
supporto della famiglia, o forse
anche il terrore della malattia
tremenda che aveva stroncato Amedeo,
tutto questo la rese incapace di
continuare la sua vita, tanto che
nelle prime ore dell’alba del giorno
successivo, ossia il 26 gennaio,
eludendo il controllo del fratello
che la sorvegliava perché aveva dato
chiari segnali delle sue intenzioni
suicide, si gettò dalla finestra nel
cortile del palazzo della casa
paterna.
La modalità di sepoltura della
giovane fu complessa, dato che il
corpo pare che abbai vagato un
giorno intero prima di essere
riportato al suo domicilio, in Rue
de la Grande Chaumière (vicino all’Académie
Colarossi dove aveva incontrato
Amedeo nel 1917) per poi essere
sepolto lontano dal suo amato,al
cimitero di Bagneux.
Sulla lapide della tomba al
Cimetière du Père Lachaise, dove ora
Jeanne riposa con Amedeo dal 1930, è
indicato il 25 gennaio come data
della morte ma sull’atto di decesso
si legge chiaramente che accadde il
26 gennaio alle ore tre del mattino
al 8 bis di rue Amyot, ossia
all’indirizzo della casa paterna. Vi
si legge anche “artiste paintre…
celibataire”. In queste due scarne
informazioni si legge la vita della
giovane e sfortunata Jeanne: la
pittura la unì indissolubilmente ad
Amedeo, l’uomo che non la sposò mai
nonostante le promesse. E sulla
lapide si legge: “di AMEDEO
MODIGLIANI compagna devota fino
all’estremo sacrifizio”.
L’arte di Modigliani, così unica e
non inseribile in nessun movimento,
si ritiene che fino ad allora non
avesse riscosso molta fortuna, ma
non è del tutto vero. Sul Corriere
della Sera del 27 gennaio 1920 si
trova un necrologio che recita:
“Parigi, 26 gennaio, notte. È morto
all’Ospedale della carità il pittore
Amedeo Modigliani. Il Modigliani si
spegne in pieno rigoglio
all’indomani di un grande successo
avuto al Salone d’Autunno e quando
più si affermavano le speranze
riposte in lui. Lascia la moglie e
tre figli. Il fratello ON.
Modigliani, e la madre non poterono
giungere in tempo dall’Italia a
cagione dello sciopero ferroviario
per vederlo prima che morisse”. Da
notare la omessa notizia della morte
di Jeanne già avvenuta e il dato
errato dei tre figli (in effetti
Modigliani aveva un altro figlio
illegittimo di poco più di due anni
oltre alla figlioletta Jeanne di
appena quattordici mesi, ma comunque
l’ultimo non nacque mai); inoltre lo
sciopero dei treni non sappiamo se
possa essere stato il vero motivo
per cui la madre e il fratello non
parteciparono al funerale, che si
svolse in forma solenne il 27
gennaio grazie a una sottoscrizione
degli amici.
In effetti, nonostante la chiusura
prima ancora dell’inaugurazione
della sua prima mostra personale,
prevista per il 3 dicembre 1917 alla
galleria di Berthe Weill di Parigi,
perché ritenuta scandalosa da un
solerte e bigotto commissario di
polizia, Modigliani aveva con
successo partecipato a mostre
collettive con illustri esponenti
delle avanguardie pittoriche del
tempo al Salon d’Automne, un salone
situato nel Petit Palais des
Champs-Elysée che dal 1903
raccoglieva gli artisti “rifiutati”
per la loro eccessiva modernità come
Gauguin, Cézanne, Manet, Ingres, i
Fauvisti e i Cubisti.
Modigliani vi partecipò con successo
di critica e di pubblico nel 1908,
nel 1910, nel 1911 e nel 1912 (con
sette teste scolpite praticamente
senza titolo, indicate tutte come
Tête, ensemble décoratif) e alla
fine del 1919, e proprio a questa
esposizione si riferisce il
trafiletto riportato.
.
Sculture di Modì al Salon d’Automne,
Sala XI, Grand Palais des
Champs-Élysées, Parigi, 1912
Sulla Gazzetta Livornese del 27-28
gennaio 1920 invece si legge una
notizia di altro tenore, in pratica
si annuncia la morte del fratello
dell’onorevole Giuseppe Emanuele
Modigliani: “Pietosa fine del
fratello dell’on. Modigliani. La
moglie di lui si getta dal 5°
piano”. Nell’articolo si definisce
Amedeo “un artista di grande
talento” mentre Jeanne, “valente
pittrice”, madre di un bambino e in
attesa di un secondo, che “giunta a
casa apriva una finestra del suo
appartamento e … si gettava nel
sottostante cortile”. Anche questa
volta la notizia è riportata in modo
inesatto, e il pezzo si conclude con
le condoglianze finali “di avversari
leali” al fratello Giuseppe Emanuele
e alla famiglia.
Mi risulta naturale pensare che la
figura dell’artista Modigliani
arrivata a noi sia il riflesso della
persona che era, un giovane uomo con
le fragilità e i molti problemi che
la sua condizione sia fisica che
psichica gli procuravano, ma che ha
comunque regalato all’umanità opere
di straordinario spessore. Ma
ipotizzando una vita più lunga e
serena dell’artista, chissà quali
strade avrebbe imboccato la sua
meravigliosa creatività, la sua
sensibilità estetica, la sua ricerca
stilistica così erudita. Nello
scenario più sereno della Costa
Azzurra si era cimentato in alcuni
bellissimi e luminosi paesaggi,
pochi mesi prima della scomparsa,
preludio forse a un imminente
cambiamento stilistico, sempre che
avesse avuto la possibilità di
vivere in modo meno tormentato la
sua esistenza, magari restando
accanto alla donna che lo aveva
adorato.
Riferimenti bibliografici:
G. Razzaguta, Virtù degli artisti
labronici, Nuova Fortezza,
Livorno 1985.
J. Modigliani, Modigliani, mio
padre, a cura di Christian
Parisot, Abscondita, Milano 2005.
M. Secrest, Modigliani. L’uomo e
il mito, Mondadori, Milano.