[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

190 / OTTOBRE 2023 (CCXXI)


arte

A PROPOSITO DI AMEDEO MODIGLIANI
DA LIVORNO A PARIGI

di Maria Grazia Fontani

 

La città di Livorno annovera fra i suoi figli molti pittori di tutto rispetto, ma fra loro un posto speciale lo occupa sicuramente Amedeo Modigliani, Amedeo Modigliani, il pittore di cui Parigi va orgogliosa. Molte informazioni sulle famiglie di origine, sia quella materna dei Garsin, ricchi e colti marrani francesi, che quella dei Modigliani, ebrei sefarditi venuti a Livorno da Roma, ce le fornisce la figlia di Amedeo, Jeanne, nella biografia del padre, nella quale si attinge agli scritti lasciati dalla nonna Eugénie Garsin.
 
Jeanne, che alla nascita prese il cognome materno Hébuterne, e che fu cresciuta a Livorno dalla zia Margherita che la accolse dopo la tragica morte dei genitori, racconta molti particolari dei primi anni di vita di Amedeo, a partire dalla sua burrascosa nascita. La famiglia Modigliani di ricchi imprenditori era caduta in disgrazia dato che il padre Gershom Arturo, detto Flaminio, ne aveva dilapidato tutte le ricchezze ma anche, come afferma Meryle Secrest, perché tutta la famiglia si era fatta garante della dote della sorella di Flaminio, Olimpia, data in sposa a Giacomo Lumbroso, rampollo di una ricca famiglia.
 
Jeanne racconta il famosissimo aneddoto della nascita di Amedeo: il 12 luglio 1884, Eugenìe, una donna dall’intelligenza vivace che si dilettava di letteratura e che addirittura terrà una scuola privata nella sua casa, era in travaglio quando nella bella palazzina in Via della Barriera Maremmana, ora Via Roma, comparve l’ufficiale giudiziario a pignorare tutto quanto di valore fosse rimasto. A qualcuno venne in mente che al tempo era impossibile pignorare gli oggetti che si trovavano sul letto di una partoriente, ed ecco che sul letto di Eugenìe urlante vennero accatastate suppellettili di ogni genere per sottrarle al sequestro. La madre di Amedeo ravvisò un triste auspicio per le strane condizioni in cui aveva messo al mondo il figlio, cui dette il nome di Amedeo Clemente, proprio come i suoi fratelli minori Amedeo e Clementina, quest’ultima morta a soli 16 anni.
 
Ultimo di quattro fratelli, il maggiore dei quali fu il deputato socialista Giuseppe Emanuele, Amedeo fu incoraggiato dalla famiglia a esercitare le sue doti artistiche: dopo la frequenza in accademie d’arte italiane molto prestigiose, nel 1906 partì per Parigi in cerca di fortuna.
 
I primi venti anni di Amedeo, il cui nome in famiglia era diventato Dedo, furono vissuti in una Livorno molto attiva culturalmente, a contatto con grandi maestri che seppero indirizzarlo nello studio dal vero, come Guglielmo Micheli, un allievo di Giovanni Fattori. Non ho riscontri certi, ma mi piace pensare che Amedeo avesse ammirato La Rotonda dei bagni Palmieri, il famoso capolavoro di Fattori, prima di partire per Parigi, dove avrebbe frequentato La Rotonde, il locale sull’angolo di Boulevard Montparnasse, ritrovo di quegli artisti immortalati in molte foto da Jean Cocteau nel dicembre 1916.



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Modigliani, Picasso e André Salmon a Parigi, davanti a La Rotonde nel 1916
 

Come ricorda Gastone Razzaguta: «Dedo era un giovanetto distinto, disciplinato e studioso alla scuola del Micheli, non faceva che disegnare con molta cura e senza la benché minima deformazione. Disegnò sempre e mai o quasi mai dipinse pur sognando di accingersi a farlo».



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Ritratto di Aristide Sommati, 1909


Negli anni livornesi fu grande amico del pittore Aristide Sommati, anch’egli allievo di Micheli, col quale prese in affitto uno studio. Al Museo Fattori di Livorno è conservato un incarto del Caffè Bardi, il ritrovo degli artisti livornesi, dove Modigliani, di passaggio a Livorno, usava pagare con uno schizzo alla maniera parigina. Esso riporta un piccolo ritratto che si dice rappresenti Sommati, ma sotto al quale è scritto “Benvenuti” con una grafia che credo di poter di attribuire al maestro. Probabilmente la persona ritratta veramente non coincide con il titolo dello schizzo, ma questo è anche comprensibile: Modigliani era assente da anni e inoltre Sommati e il pittore Benvenuto Benvenuti avevano delle caratteristiche somatiche abbastanza simili. Vediamo i tre pittori ritratti in una famosa fotografia nello studio di Gino Romiti negli anni della formazione di Dedo.



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Livorno, 1900. Da sinistra: Benvenuto Benvenuti, Gino Romiti, Aristide Sommati, Amedeo Modigliani e Lando Bartoli


Dal bel libro di Jeanne si vengono a conoscere molti aspetti interessanti delle famiglie Garsin e Modigliani che aiutano a tracciare un ritratto preciso e veritiero della sfaccettata personalità di Amedeo. Nella famiglia della nonna paterna Jeanne riscontra “intelligenza acuta ma spesso disordinata e sterile, difficoltà di adattamento sociale” e ci racconta del delirio psicotico del bisnonno Isacco, padre di Eugénie, del suicidio della zia Gabriella e delle manie patologiche della zia Laura, entrambe sorelle di Eugénie. La biografia della figlia di Amedeo ci racconta di una famiglia Modigliani con svariate problematiche di tipo economico: da ricchi imprenditori nel campo dell’estrazione di minerali a modesti rappresentanti, così modesti che Eugénie fu costretta a tenere una scuola privata per mantenere la famiglia.
 
Pur non avendo concluso un regolare corso di studi, anche a causa della salute estremamente cagionevole (giovanissimo si ammalò di tifo e successivamente della tubercolosi che lo portò alla morte), Amedeo possedeva una grande cultura: lo stereotipo di pittore maledetto che gli si attaccò addosso a Parigi forse non era poi del tutto azzeccato dato che i soggiorni di studio nella sua adolescenza a Firenze (dove frequentò Fattori e l’Accademia di Nudo) e a Venezia, dove si iscrisse all’Istituto per le Belle Arti, forse finanziato dallo zio Amedeo Garsin (anch’egli morto giovane di tisi) avevano affinato il suo gusto artistico, mentre la visione dei grandi del Rinascimento (ma anche dei Macchiaioli) aveva indirizzato le sue scelte stilistiche nell’arte figurativa.
 
Dissertava con piacere anche di letteratura e di filosofia, coltivate da autodidatta: fin da bambino le lunghe conversazioni con il nonno Isacco, uomo colto e amante della filosofia, e con la zia Laura, resero Amedeo un animo profondo e dotato di un grande bagaglio di conoscenze storiche, filosofiche e letterarie. Sappiamo che la scultura fu fin dagli anni giovanili la sua grande passione, ma purtroppo dovette rinunciare alla pietra scolpita (l’unica che concepiva) a causa della poca forza fisica che la malattia gli concedeva.
 
Purtroppo la città di Livorno rimarrà per sempre collegata a Modigliani dalla famosa burla del 1984, quando si dette credito a una diceria che voleva che l’artista avesse gettato nel Fosso Reale alcune sue sculture che erano state derise dagli amici, in un suo ritorno in città nel 1909. Le si cercarono con ostinazione, trovandole. La figlia Jeanne, che morirà pochi giorni dopo il ritrovamento, si mostrò da subito molto scettica e poco propensa a giudicarle autentiche, e infatti il tutto si rivelò essere lo scherzo, geniale quanto iconoclasta, di alcuni buontemponi, che riuscirono a mettere in scacco grandi critici del tempo facendo ritrovare delle teste scolpite grossolanamente.
 
In realtà la città natale di Modigliani già molto prima aveva preso coscienza del valore dell’illustre concittadino e non sarebbe giusto associare Livorno solo a questo episodio: già nel lontano 1947 a Livorno esisteva la Scuola d’Arte intitolata proprio ad Amedeo Modigliani ideata e diretta dal pittore Voltolino Fontani e dal 1955 era stata istituita la Mostra nazionale di pittura “Premio Amedeo Modigliani-Città di Livorno”. Da parecchi anni in città sono molto attive diverse associazioni, fondate proprio con lo scopo di studiare e diffondere l’arte e la figura del pittore, anche se purtroppo l’idea di Jeanne di trasferire con una donazione alla città di Livorno gli archivi personali di Modigliani non ha mai visto la realizzazione a causa della morte precoce della stessa.
 
Una volta a Parigi, Modì (che con il cognome abbreviato in modo che fosse assonante con maudit, ossia maledetto, diventò forse suo malgrado il “pittore maledetto” per antonomasia, nel gruppo degli altri artisti di Montparnasse così denominati) prese uno stile di vita assolutamente deprecabile. Dal punto di vista sentimentale la sua attività, data anche la appurata avvenenza, fu intensa. Negli ultimi anni della sua breve esistenza conobbe la giovanissima pittrice e modella Jeanne Hébuterne, la quale, in aperto contrasto con la famiglia ebrea, ma convertita al cattolicesimo che non vedeva di buon occhio Amedeo, non seppe resistergli e si annullò in lui.
 
Certo è che quei turbolenti anni della vita di Amedeo, uniti alle circostanze drammatiche della sua morte, avvenuta fra atroci sofferenze per una meningite tubercolare e seguita nel giro di poche ore dal suicidio di Jeanne in avanzato stato di gravidanza, hanno innescato un proliferare di biografie non sempre basate su studi accurati, ma piuttosto su fantasie. Ad esempio nel romanzo Les Montparnos di Michel George-Michel, che ispirò il film di Jacques Becker Montparnasse 19 del 1958, nel quale non si fa nessun riferimento al periodo livornese, la figura di un Modigliani bohemienne non viene certo dipinta con particolare empatia: donnaiolo, alcolista, drogato e violento.
 
Purtroppo c’è un fondo di verità, ma il fattore determinante di tali comportamenti è sicuramente da ricercarsi, oltre che in predisposizioni familiari, nella malattia che lo perseguitava, se pur fra alti e bassi, fin dall’adolescenza. A quel tempo non c’era facilità di diagnosi e tanto meno di terapia: una tubercolosi pregressa trasformatasi in meningite tubercolare poteva essere veramente devastante e dare per anni sintomi, anche comportamentali, eclatanti. Ecco che forse gli eccessi di droga e di alcol si possono, se non giustificare, almeno comprendere, come pure gli episodi di violenza e di delirio.
 
Amedeo Modigliani muore all’Hôpital de la Charité, all’alba del 24 gennaio 1920 circondato dagli amici più stretti. La compagna, incinta di quasi nove mesi del secondo figlio, fu alloggiata in albergo lontano dall’appartamento di Montparnasse, ma il giorno successivo alla morte, ossia il 25 gennaio, volle essere accompagnata in ospedale per vedere Amedeo per un’ultima volta. Fu poi condotta a casa dei genitori e tenuta sempre sotto controllo. Forse il dolore per la tragica perdita, ma forse anche una scarsa fiducia nel futuro con due figli da crescere senza essere sposata (anche se Amedeo si era impegnato per scritto a farlo con una scrittura privata del 1919 controfirmata da Jeanne e da due testimoni) e senza il supporto della famiglia, o forse anche il terrore della malattia tremenda che aveva stroncato Amedeo, tutto questo la rese incapace di continuare la sua vita, tanto che nelle prime ore dell’alba del giorno successivo, ossia il 26 gennaio, eludendo il controllo del fratello che la sorvegliava perché aveva dato chiari segnali delle sue intenzioni suicide, si gettò dalla finestra nel cortile del palazzo della casa paterna.
 
La modalità di sepoltura della giovane fu complessa, dato che il corpo pare che abbai vagato un giorno intero prima di essere riportato al suo domicilio, in Rue de la Grande Chaumière (vicino all’Académie Colarossi dove aveva incontrato Amedeo nel 1917) per poi essere sepolto lontano dal suo amato,al cimitero di Bagneux.
 
Sulla lapide della tomba al Cimetière du Père Lachaise, dove ora Jeanne riposa con Amedeo dal 1930, è indicato il 25 gennaio come data della morte ma sull’atto di decesso si legge chiaramente che accadde il 26 gennaio alle ore tre del mattino al 8 bis di rue  Amyot, ossia all’indirizzo della casa paterna. Vi si legge anche “artiste paintre… celibataire”. In queste due scarne informazioni si legge la vita della giovane e sfortunata Jeanne: la pittura la unì indissolubilmente ad Amedeo, l’uomo che non la sposò mai nonostante le promesse. E sulla lapide si legge: “di AMEDEO MODIGLIANI compagna devota fino all’estremo sacrifizio”.
 
L’arte di Modigliani, così unica e non inseribile in nessun movimento, si ritiene che fino ad allora non avesse riscosso molta fortuna, ma non è del tutto vero. Sul Corriere della Sera del 27 gennaio 1920 si trova un necrologio che recita: “Parigi, 26 gennaio, notte. È morto all’Ospedale della carità il pittore Amedeo Modigliani. Il Modigliani si spegne in pieno rigoglio all’indomani di un grande successo avuto al Salone d’Autunno e quando più si affermavano le speranze riposte in lui. Lascia la moglie e tre figli. Il fratello ON. Modigliani, e la madre non poterono giungere in tempo dall’Italia a cagione dello sciopero ferroviario per vederlo prima che morisse”. Da notare la omessa notizia della morte di Jeanne già avvenuta e il dato errato dei tre figli (in effetti Modigliani aveva un altro figlio illegittimo di poco più di due anni oltre alla figlioletta Jeanne di appena quattordici mesi, ma comunque l’ultimo non nacque mai); inoltre lo sciopero dei treni non sappiamo se possa essere stato il vero motivo per cui la madre e il fratello non parteciparono al funerale, che si svolse in forma solenne il 27 gennaio grazie a una sottoscrizione degli amici.
 
In effetti, nonostante la chiusura prima ancora dell’inaugurazione della sua prima mostra personale, prevista per il 3 dicembre 1917 alla galleria di Berthe Weill di Parigi, perché ritenuta scandalosa da un solerte e bigotto commissario di polizia, Modigliani aveva con successo partecipato a mostre collettive con illustri esponenti delle avanguardie pittoriche del tempo al Salon d’Automne, un salone situato nel Petit Palais des Champs-Elysée che dal 1903 raccoglieva gli artisti “rifiutati” per la loro eccessiva modernità come Gauguin, Cézanne, Manet, Ingres, i Fauvisti e i Cubisti.
 
Modigliani vi partecipò con successo di critica e di pubblico nel 1908, nel 1910, nel 1911 e nel 1912 (con sette teste scolpite praticamente senza titolo, indicate tutte come Tête, ensemble décoratif) e alla fine del 1919, e proprio a questa esposizione si riferisce il trafiletto riportato.



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Sculture di Modì al Salon d’Automne, Sala XI, Grand Palais des Champs-Élysées, Parigi, 1912


Sulla Gazzetta Livornese del 27-28 gennaio 1920 invece si legge una notizia di altro tenore, in pratica si annuncia la morte del fratello dell’onorevole Giuseppe Emanuele Modigliani: “Pietosa fine del fratello dell’on. Modigliani. La moglie di lui si getta dal 5° piano”. Nell’articolo si definisce Amedeo “un artista di grande talento” mentre Jeanne, “valente pittrice”, madre di un bambino e in attesa di un secondo, che “giunta a casa apriva una finestra del suo appartamento e … si gettava nel sottostante cortile”. Anche questa volta la notizia è riportata in modo inesatto, e il pezzo si conclude con le condoglianze finali “di avversari leali” al fratello Giuseppe Emanuele e alla famiglia.
 
Mi risulta naturale pensare che la figura dell’artista Modigliani arrivata a noi sia il riflesso della persona che era, un giovane uomo con le fragilità e i molti problemi che la sua condizione sia fisica che psichica gli procuravano, ma che ha comunque regalato all’umanità opere di straordinario spessore. Ma ipotizzando una vita più lunga e serena dell’artista, chissà quali strade avrebbe imboccato la sua meravigliosa creatività, la sua sensibilità estetica, la sua ricerca stilistica così erudita. Nello scenario più sereno della Costa Azzurra si era cimentato in alcuni bellissimi e luminosi paesaggi, pochi mesi prima della scomparsa, preludio forse a un imminente cambiamento stilistico, sempre che avesse avuto la possibilità di vivere in modo meno tormentato la sua esistenza, magari restando accanto alla donna che lo aveva adorato.
 
 
Riferimenti bibliografici:
 
G. Razzaguta, Virtù degli artisti labronici, Nuova Fortezza, Livorno 1985.
J. Modigliani, Modigliani, mio padre, a cura di Christian Parisot, Abscondita, Milano 2005.
M. Secrest, Modigliani. L’uomo e il mito, Mondadori, Milano.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]