N. 110 - Febbraio 2017
(CXLI)
LA CULTURA DELL’AMBIENTE NEL MONDO ANTICO
Le RANE, LO STAGNO, LA TERRA -
PARTE IV
di Paola Scollo
La
cultura
romana,
per
il
tramite
di
Posidonio,
mostra
di
aver
recepito
l’idea
greca
secondo
cui
l’ambiente
esercita
una
forte
influenza
sull’uomo.
Già
in
Varrone,
Virgilio
e
Properzio
è
racchiusa
efficacemente
l’idea
secondo
cui
la
superiorità
dei
Romani
scaturisca
sia
dalla
qualità
dell’ambiente
sia
dall’azione
consapevole
dell’uomo
su
di
esso.
E
tra
le
molteplici
attività
di
intervento
è
bene
ricordare:
centuriazione,
irrigazione,
realizzazione
di
acquedotti,
di
un
sistema
viario
e
del
limes.
Di
contro,
solitudines e silvae delimitano
lo
spazio
non
antropizzato,
ossia
selvaggio
e
barbarico.
A
Roma
uno
dei
fattori
di
massimo
impatto
ambientale
è
rappresentato
dalla
deforestazione.
All’epoca
del
grande
sviluppo
demografico
si
verifica
un
vero
e
proprio
assalto
generale
alla
foresta
per
la
necessità
di
“terre
vergini”.
A
ben
vedere,
si
tratta
di
una
problematica
presente
anche
nel
mondo
greco.
Illuminante,
a
tal
proposito,
è il
riferimento
alle
parole
di
Platone
che,
nel
Crizia
(110
d
ss.),
individua
nel
dilavamento
del
suolo,
nel
disboscamento
e
nella
contrazione
delle
risorse
idriche
le
cause
che
hanno
reso
arida
l’Attica,
terra
un
tempo
ricca
di
fertili
pianure
e di
imponenti
montagne
coperte
di
foreste,
di
acque
e di
pascoli
abbondanti.
La
distruzione
indiscriminata
degli
alberi
favorisce
l’erosione
che
diviene,
in
alcuni
casi,
irreversibile.
Nonostante
ciò,
i
Romani
mostrano
maggiore
sensibilità
verso
i
problemi
ambientali:
avvertono,
infatti,
una
forte
preoccupazione
per
la
salubrità
dell’ambiente,
per
esempio
nella
scelta
di
luoghi
per
la
costruzione
di
città,
case,
fattorie,
edifici
pubblici.
Anche
qui,
sull’esempio
ellenistico,
è
viva
la
contrapposizione
tra
città
e
campagna,
con
la
tipica
idealizzazione
del locus
amoenus.
In
ogni
caso,
occorre
notare
che
lo
sviluppo
di
una
adeguata
sensibilità
ambientale
è
ostacolata
dalla
frequenza
delle
guerre,
dall’inquinamento
di
aree
agricole
e
delle
acque,
ma
soprattutto
dall’urbanizzazione.
In
Grecia
erano
le
grandi
metropoli,
come
Atene
e
Corinto,
a
porre
seri
problemi
ambientali,
in
quanto
afflitte
da
fenomeni
di
affollamento,
traffico,
inquinamento
di
acqua
e
aria,
criticità
del
sistema
fognario
e
dello
smaltimento
dei
rifiuti.
Nell’impero
romano,
in
seguito
alla
conquista
delle
Gallie
da
parte
di
Cesare,
prende
avvio
un
processo
di
“romanizzazione”,
incentivato
dall’evoluzione
di
preesistenti
insediamenti
gallici,
i
cosiddetti
oppida,
in
villaggi
e
città
in
cui
vivevano
sia
Galli
sia
Romani.
Fra
le
colonie
-
non
numerose,
a
dire
il
vero
-
fondate
dai
Romani
un
ruolo
preminente
è
esercitato
da
Lione,
Lugdunum,
sita
in
un
luogo
strategico,
alla
confluenza
del
Rodano
e
della
Saône.
In
epoca
augustea
Agrippa,
il
più
stretto
collaboratore
di
Augusto,
ne
avrebbe
fatto
il
centro
vitale
del
sistema
stradale
delle
Gallie.
Lione
riesce
custodire
la
propria
importanza
durante
tutta
l’età
imperiale.
In
epoca
augustea
Roma
è la
città
più
estesa
e
popolosa
dell’Occidente.
Intorno
al 2
a.C.
sembrerebbe
che
abbia
raggiunto
il
milione
di
abitanti.
Di
questi
però
godono
di
condizione
libera
circa
600.000
persone;
la
restante
porzione
è
costituita
di
stranieri
e
schiavi.
Occorre
tuttavia
ricordare
che,
quando
Augusto
conquista
il
potere,
la
città
vive
un
periodo
di
profonda
crisi:
presenta
numerose
zone
degradate
ed è
soggetta
non
solo
a
frequenti
incendi
ma
anche
alle
alluvioni
del
Tevere.
Augusto
riesce
sfruttare
tale
stato
di
incuria
e di
abbandono,
facendone
strumento
di
propaganda
per
un
ambizioso
progetto
di
rinnovamento
urbanistico
al
termine
del
quale
Roma
avrebbe
“indossato
una
veste
di
marmo”.
Risale
a
questo
periodo
la
restaurazione
del
tempio
di
Giove,
Giunone,
Minerva,
dell’antico
tempio
in
onore
di
Vesta,
della
Basilica
Emilia
e
del
tempio
di
Saturno.
Vengono
inoltre
costruiti
una
nuova
sede
per
il
senato
e il
Pantheon,
nel
Campo
Marzio.
Infine
viene
inaugurato
il
tempio
di
Marte
Ultore.
Il
successore
di
Augusto,
l’imperatore
Tiberio,
pone
attenzione
alla
pulizia
del
Tevere
istituendo
una
magistratura
affidata
a
cinque
senatori
impegnati
a
vigilare
affinché
i
privati
non
prelevino
acqua
e
invadano
in
modo
abusivo
le
sponde
del
fiume.
Questi
cinque
senatori
hanno
anche
il
compito
di
controllare
la
portata
del
fiume,
mentre
l’approvvigionamento
e la
distribuzione
delle
acque
sono
affidati
a
un’altra
magistratura.
A
duecento
anni
dal
principato
di
Augusto
Roma
può
così
vantare
ben
undici
acquedotti.
Stando
alla
testimonianza
di
Frontino,
curator
aquarum
alla
fine
del
I
secolo,
poco
meno
del
20%
dell’acqua
prodotta
è
destinata
alla
casa
imperiale,
poco
meno
del
40%
ad
alcuni
privati,
su
autorizzazione
del
princeps,
mentre
la
restante
parte
alle
fontane
pubbliche.
Tra
le
più
importanti
opere
realizzate
in
età
giulio-claudia
va
poi
ricordato
l’intervento
di
bonifica
del
Fucino,
in
Abruzzo,
voluto
da
Claudio.
Per
dimensioni,
il
lago
del
Fucino
è al
terzo
posto,
subito
dopo
il
lago
di
Garda
e il
lago
Maggiore.
Prima
della
bonifica
si
presenta
come
un
vastissimo
avvallamento
in
cui
confluiscono
le
acque
di
un’estesa
regione
di
montagne.
A
causa
di
frequenti
esondamenti
con
conseguenti
danni
a
colture
e
villaggi,
Claudio
dispone
di
scavare
un
canale
dapprima
superficiale,
poi
sotterraneo,
al
fine
di
dirigere
le
acque
del
Fucino
verso
il
fiume
Liri.
Il
canale
viene
di
fatto
inaugurato
nel
52.
Nonostante
raggiunga
una
lunghezza
di
5,6
chilometri,
la
galleria
si
rivela
ben
presto
insufficiente,
pertanto
è
indispensabile
un
ulteriore
ampliamento.
In
tal
modo
si
riesce,
alla
fine,
a
prosciugare
quasi
completamente
il
lago.
Durante
tutte
le
fasi
dell’impero,
il
canale
necessita
di
frequenti
interventi
di
manutenzione,
soprattutto
sotto
Traiano
e
Adriano.
Col
trascorrere
del
tempo,
a
causa
del
progressivo
abbandono,
il
canale
non
è
più
in
grado
di
arginare
le
acque
del
lago
che,
dunque,
torna
a
riempirsi.
Solo
nella
seconda
metà
del
XIX
secolo,
a
seguito
di
nuovi
interventi
di
bonifica,
il
lago
viene
definitivamente
prosciugato.