N. 109 - Gennaio 2017
(CXL)
la
cultura
dell’ambiente
nel mondo antico
le rane, lo
stagno, la terra - parte iII
di Paola Scollo
L’influenza
esercitata
dall’ambiente
sull’uomo
è
tema
vitale
del
trattato
dal
titolo
Sulle
acque,
le
arie
e i
luoghi,
oggi
attribuito
a
Ippocrate
e,
dunque,
parte
integrante
della
raccolta
definita
Corpus
Hippocraticum.
All’interno
di
questo
scritto
sono
infatti
presenti
numerose
riflessioni
geografico-climatiche
e
geografico-etnologiche,
evidenti
richiami
alla
cultura
ionica
dell’epoca.
Osserviamolo
puntualmente.
L’autore
del
trattato
esordisce
chiarendo
che
in
medicina
chiunque
desideri
condurre
indagini
corrette
deve,
dapprima,
«porre
mente
alle
stagioni
dell’anno:
quali
effetti
ognuna
ha
potere
di
operare;
perché
non
sono
tra
di
loro
per
niente
simili,
ma
molto
differiscono
tra
sé e
nei
loro
cambiamenti.
Poi
i
venti:
quelli
caldi
e
quelli
freddi,
soprattutto
quelli
comuni
a
tutti
gli
uomini,
e
poi
anche
quelli
a
carattere
locale
nelle
singole
aree».
In
tale
orizzonte
di
indagine
va
poi
segnalata
l’attenzione
da
parte
dell’autore
per
lo
stato
delle
acque.
Un
elemento,
questo,
di
assoluta
novità.
Scrive
infatti:
«Bisogna
poi
anche,
quanto
alle
acque,
porre
mente
ai
loro
poteri,
perché,
come
differiscono
nel
gusto
e
nel
peso,
così
anche
differisce
molto
il
potere
di
ognuna».
In
seguito,
riguardo
all’analisi
dello
stato
delle
acque,
specifica:
«[e]
se
fanno
uso
d’acque
palustri
e
molli
o
dure
e
d’alte
e
rocciose
sorgenti,
o se
di
salse
e
crude.
E la
terra:
se
spoglia
e
senz’acqua
o
boscosa
e
ricca
d’acqua,
e se
incavata
ed
afosa
o se
alta
e
fredda.
Ed
il
regime
di
vita
degli
uomini,
di
quale
godono:
se
amanti
del
bere
e
soliti
alla
colazione
e
indolenti,
o
amanti
dell’esercizio
fisico,
della
fatica
e
mangiatori
e
non
bevitori».
L’analisi
di
questi
aspetti
è
funzionale
alla
conoscenza
e,
di
conseguenza,
alla
prevenzione
sia
delle
malattie
a
carattere
comune
da
cui
sono
colpite
le
città
d’estate
e
d’inverno
sia
delle
malattie
particolari
che
affliggono
il
singolo
individuo
in
base
al
cambiamento
di
regime.
«Così,
riflettendovi
e
preventivamente
conoscendo
le
opportunità,
al
meglio
si
saprebbe
riguardo
a
ogni
singola
evenienza
e,
nella
grandissima
parte
dei
casi,
si
arriverebbe
–
conclude
– a
ottenere
la
sanità
e si
riporterebbero
correttamente
non
minimi
successi
nell’arte».
Emerge
da
queste
riflessioni
la
consapevolezza
di
come
le
caratteristiche
di
un
luogo
possano
incidere
sulle
abitudini
di
vita
dell’individuo,
condizionandone
anche
in
modo
irreversibile
il
grado
di
salute.
Procedendo
oltre,
l’autore
del
trattato
spiega
che
nelle
città
esposte
a
venti
caldi
le
acque
sono
numerose,
poco
salse,
superficiali,
calde
d’estate
e
fredde
in
inverno.
Di
necessità
gli
uomini
che
vivono
in
queste
zone
hanno
la
testa
umida
e
flegmatica
e
non
sono
né
buoni
mangiatori
né
buoni
bevitori.
Malattie
frequenti
sono
qui
convulsioni,
asma,
dissenteria,
febbre
e
oftalmia.
In
seguito
l’autore
si
sofferma
sulle
differenze
tra
Asia
ed
Europa,
osservando
che:
«In
effetti,
molto
più
belli
e
più
grandi
sono
tutti
i
fenomeni
nell’Asia
e
una
regione
è
più
adatta
alla
coltivazione
dell’altra,
e i
caratteri
degli
uomini
sono
più
calmi
e di
indole
migliore».
All’origine
di
tale
differenza
è da
individuare
la
posizione
dell’Asia
a
est,
«in
mezzo
alle
levate
del
sole,
più
discosta
dal
freddo».
La
regione
posta
in
mezzo
tra
il
caldo
e il
freddo
è,
infatti,
«la
più
ricca
dei
migliori
frutti,
alberi
e
clima,
e
vanta
le
acque
più
belle,
quelle
che
vengono
dal
cielo
come
dalla
terra;
perché
né è
troppo
bruciata
dal
caldo
né è
disseccata
da
arsure
e
mancanza
d’acqua
né
subisce
la
violenza
del
freddo
né è
intrisa
di
umidità
per
le
molte
piogge
e
nevi».
Di
conseguenza
molti
sono
i
prodotti
dell’agricoltura,
gli
animali
allevati
sono
prolifici,
gli
uomini
sono
floridi,
forti,
grandi
e di
bell’aspetto.
Di
contro,
nelle
zone
caratterizzate
da
netti
e
frequenti
cambiamenti
stagionali
anche
la
natura
si
presenta
selvaggia
e
difforme
con
monti,
boscaglie
e
praterie.
Le
regioni
più
uniformi
sono
quelle
in
cui
anche
i
cambiamenti
climatici
sono
impercettibili.
È
curioso
notare
come
l’autore
del
trattato
instauri
poi
un
nesso
anche
tra
clima
e
indole
umana.
Spiega
infatti,
nella
sezione
conclusiva
dello
scritto,
che
nei
luoghi
in
cui
i
cambiamenti
climatici
sono
di
portata
limitata
anche
la
mente
rimane
immobile
e
passiva:
«Per
queste
ragioni
a me
sembra
che
sia
fiacca
la
razza
asiatica,
e
oltre
a
ciò
per
le
loro
usanze.
Il
fatto
è
che
la
gran
parte
dell’Asia
è
sotto
i
re;
e
dove
gli
uomini
non
sono
loro
ad
avere
forza
su
di
sé e
non
sono
autonomi,
ma
sotto
un
signore,
non
vale
per
loro
il
discorso
di
come
possano
darsi
agli
esercizi
bellici,
ma
di
come
possano
non
sembrare
di
essere
combattivi.
Perché
i
pericoli
non
sono
gli
stessi:
loro
in
effetti
devono
evidentemente
per
forza
partir
soldati,
faticare
e
morire
per
i
loro
signori,
lontani
dai
figli,
dalla
moglie
e
dal
resto
dei
cari.
E
quante
imprese
valenti
e
virili
compiano,
sono
i
signori
a
ingrandirsi
e ad
accrescersi
per
esse,
ma a
loro
fruttano
pericoli
e
morti.
E
ancora,
oltre
a
ciò
la
terra
di
uomini
tali
è
per
forza
abbandonata,
perché
non
lavorata
per
le
vicende
belliche».
Ma
l’affermazione
che
indubbiamente
desta
maggiore
stupore
nel
lettore
è
quella
secondo
cui
il
grado
di
malvagità
di
un
individuo
sia
diretta
conseguenza
del
cambiamento
delle
stagioni.
È
una
consapevolezza
a
cui
l’autore
dice
di
esser
giunto
grazie
a
rilievi
personali
e
che,
a
ben
vedere,
trova
un
parallelo
anche
in
Erodoto.
A
conclusione
della
sua
opera,
lo
storico
di
Alicarnasso
attribuisce
a
Ciro
il
Grande
le
seguenti
affermazioni:
«Da
regioni
molli
nascono
di
solito
uomini
molli;
non
è
possibile,
infatti,
che
uno
stesso
paese
produca
frutti
meravigliosi
e
uomini
forti
in
guerra»
(IX
122).