N. 108 - Dicembre 2016
(CXXXIX)
LA
CULTURA DELL’AMBIENTE NEL MONDO ANTICO
LE RANE, LO STAGNO E LA TERRA - PARTE II
di Paola
Scollo
Almeno fino alla
rivoluzione
neolitica
i
Greci
operarono
in
un
contesto
ambientale
che
non
esigeva
particolare
sensibilità
ecologica.
Di
qui
una
limitata
attenzione
agli
eventuali
danni
ambientali
legati
allo
sfruttamento
del
territorio.
In seguito all’introduzione
di
attività
quali
agricoltura
e
pastorizia
vennero
avviate
opere
di
raccolta
e di
predazione,
che
determinarono
un
graduale
processo
di
deforestazione
e
una
selezione
di
specie
vegetali
e
animali.
In
tal
modo
cominciò
a
emergere
una
vera
e
propria
dicotomia
tra
spazio
selvaggio
e
spazio
antropizzato.
Durante l’età
arcaica
l’economia
ellenica
fu
spiccatamente
agricola.
Nel
complesso
si
trattava
di
un
tipo
di
agricoltura
condotta
con
forme
primitive.
Basti
pensare
che
Esiodo
non
conosceva
il
vomere
di
ferro.
Predominante
era
il
metodo
della
rotazione
in
base
al
quale
una
porzione
alquanto
vasta
di
terreno
veniva
lasciata
incolta.
L’utilizzo della
moneta
nel
corso
del
VII
secolo
a.C.
dapprima
nella
Ionia
e,
successivamente,
ad
Atene,
Corinto
ed
Egina
non
riuscì
a
incidere
profondamente
sul
carattere
prettamente
agricolo
di
tale
economia.
L’assenza
di
monete
di
piccolo
taglio
rappresentò
infatti
un
notevole
ostacolo
alla
diffusione
del
commercio.
Fu
proprio
in
tale
contesto
che
dilagò
il
fenomeno
della
schiavitù
per
debiti.
A determinare un
decisivo
cambiamento
ambientale
fu,
piuttosto,
il
processo
di
colonizzazione.
Mediante
la
diffusione
di
nuove
colture
e la
creazione
di
centri
cittadini,
spesso
in
competizione
con
la
madrepatria,
la
colonizzazione
greca
è da
porre
all’origine
di
tre
importanti
processi
gravidi
di
conseguenze
per
il
futuro,
ovvero
l’incremento
demografico,
l’urbanizzazione
e lo
squilibrio
ecologico
nella
penisola
greca.
Il
cambiamento
fu
tale
che
oggi
soltanto
aree
molto
ristrette
custodiscono
tracce
della
vegetazione
originaria.
In Grecia la pressione
demografica
impose
anzitutto
un
eccessivo
sfruttamento
delle
risorse
ambientali.
A
conferma
di
ciò
l’accelerazione
di
fenomeni
alluvionali
nella
piana
fra
Argo
e
Tirinto,
che
necessitò
della
realizzazione
di
opere
di
canalizzazione.
Ma
l’aumento
demografico
richiese
anche
una
riorganizzazione
della
polis,
dunque
la
pianificazione
di
una
struttura
urbana
basata
su
assi
ortogonali,
l’ampliamento
dell’agorà
e
l’edificazione
di
templi
in
onore
di
Era,
Apollo
e
Atena.
Al fine di intensificare
lo
sfruttamento
agricolo
del
territorio
furono
poi
disboscati
i
terrazzamenti
naturali
dell’interno,
quindi
spianati
e
ripartiti
in
appezzamenti
regolari.
Tale
modus
operandi
determinò
l’erosione
del
terreno,
rendendo
più
irregolare
il
corso
dei
fiumi
che
spesso
uscivano
dall’alveo
e
invadevano
le
aree
circostanti.
Col
trascorrere
del
tempo
si
verificò
infine
un
avanzamento
della
linea
di
costa
e la
città
di
Metaponto
fu
circondata
da
paludi.
Ma
c’è
di
più.
Fortemente condizionata
da
fattori
climatici
e
ambientali,
la
colonizzazione
modificò
il
paesaggio.
Nei
luoghi
su
cui
si
insediarono
i
Greci
introdussero
la
cosiddetta
“triade
mediterranea”:
grano,
ulivo
e
vite.
A
partire
da
tale
momento
il
paesaggio
mediterraneo
fu
segnato
dai
diversi
sistemi
di
coltivazione:
terrazzamenti
e
filari,
viti
sorrette
da
pali
o
coltivate
senza
sostegno.
Nel corso del IV
secolo
a.C.
si
infittirono
le
riflessioni
sull’incidenza
dell’ambiente
nelle
abitudini
e
nei
comportamenti
degli
uomini.
In
particolar
modo,
il
rapporto
tra
uomo
e
ambiente
divenne
oggetto
di
interesse
per
scienziati
e
medici,
fra
cui
spicca
il
nome
di
Eudosso
di
Cnido,
noto
per
aver
fondato
una
scuola
matematica
a
Cizico
ma
soprattutto
per
gli
studi
di
astronomia,
nel
solco
della
tradizione
pitagorica
e
platonica,
volti
a
definire
la
latitudine
dei
luoghi
tramite
le
stelle
fisse
e a
misurare
la
circonferenza
del
globo
terrestre.
Per
tali
studi
è
stato
considerato
un
precursore
degli
astronomi
ellenistici,
come
Erastostene
e
Ipparco.
Tentativi di legittimare
tali
intereventi
di
depauperamento
dell’ambiente
ricorrono
in
Aristotele
e in
Senofonte.
Di
contro,
Teofrasto
mostrò
di
non
accogliere
l’idea
aristotelica
secondo
cui
animali
e
piante
siano
stati
creati
in
“vista
di
qualcosa”,
ossia
di
un’utilità
per
l’uomo
(Metaph. IX
34).
È bene tuttavia
ricordare
che
di
tali
discussioni
abbiamo
testimonianza
già
in
epoca
precedente.
Basti
pensare,
per
esempio,
al
trattato
pseudoippocrateo
Sulle
arie,
le
acque
e i
luoghi
della
metà
circa
del
V
secolo
a.C.,
in
cui
si
riflette
sull’influenza
che
le
differenze
ambientali
determinano
nell’aspetto
fisico,
nel
temperamento
e
nei
costumi
dei
popoli.
Di notevole interesse
sono
soprattutto
le
pagine
dedicate
al
confronto
tra
Asia
ed
Europa.
Da
tale
comparazione
risulta
vincitrice
l’Asia,
sia
perché
posta
«al
centro
dei
due
punti
estremi
in
cui
sorge
il
sole,
e
più
lontana
dal
freddo»
sia
perché
«la
parte
che
si
trova
a
uguale
distanza
dal
caldo
e
dal
freddo
è la
più
ricca
di
piante
e di
frutti,
ha
un
ottimo
clima
e le
acque
sono
buonissime,
sia
quelle
piovane
che
quelle
di
sorgente»
(12).
A
conclusione
Ippocrate
ribadisce:
«Troverai
infatti
che,
in
generale,
l’aspetto
e il
costume
degli
uomini
sono
conformi
alla
natura
del
luogo.
[…]
E
troverai
anche
che
tutto
il
resto
che
vive
in
quella
terra
sarà
simile
a
quella
terra»
(34).