N. 107 - Novembre 2016
(CXXXVIII)
La
cultura
dell’ambiente
nel
mondo
antico
Le
rane,
lo
stagno
e la
terra
-
Parte
I
di
Paola
Scollo
Il
cammino
della
ricerca
sul
complesso
rapporto
tra
uomo
e
ambiente
è
stato
segnato,
soprattutto
di
recente,
da
una
rilevante
quantità
di
studi
di
notevole
spessore
che,
a
partire
dalle
testimonianze
offerte
dalla
tradizione
letteraria
e
documentaria
antica,
hanno
delineato
una
vera
e
propria
storia
dell’ecologia.
Da
un
primo
sguardo
a
tale
produzione
emerge
un
dato
particolarmente
significativo:
il
predominio
di
una
prospettiva
diacronica.
Meno
battuto
è
stato,
invece,
il
sentiero
volto
a
individuare
la
presenza
di
una
qualsivoglia
“sensibilità
ecologica”
già
nel
mondo
antico.
Va
da
sé
che
si
tratta
di
un’operazione
di
ampio
respiro,
in
quanto
investe
categorie
di
pensiero
che
traggono
origine
dalla
necessità
umana
-
peraltro
ben
espressa
dall’antitesi
tra
Polifemo
e
Odisseo
nel
IX
canto
dell’Odissea
- di
ridurre
il
mondo
a
spazio,
ossia
di
superare
il
chaos
del
pensiero
illogico
per
tracciare
uno
spazio
e un
ordine
-
quello
del
kosmos
appunto
- e
riconquistare
libertà
e
luce.
Nell’orizzonte
degli
studi
sul
rapporto
tra
uomo
e
ambiente,
un
primo
interessante
contributo
finalizzato
a
scandagliare
la
sensibilità
dell’uomo
per
la
natura
è
rappresentato
dal
volume
di
Hughes
dal
titolo
Ecology
in
Ancient
Civilizations
del
1975.
Nel
1991
Sallares,
nella
monografia
dal
titolo The
Ecology
of
the
Ancient
Greek
World,
ha
poi
analizzato
il
rapporto
tra
uomo,
animali
e
piante
nella
Grecia
continentale
del
primo
millennio
a.C.
allo
scopo
di
cogliere
relazioni
tra
crescita
demografica
e
produttività
del
sistema
agricolo.
Dopo
il
lavoro
di
Sallares
vanno
segnalati
altri
due
contributi:
quello
di
Gallant,
sul
senso
di
precarietà
proprio
dell’esistenza
del
contadino, e
quello
di
Rackham,
un’indagine
su
singole
e
minori
realtà
come,
per
esempio,
quella
beotica. In
particolare,
nel
mondo
antico
la
Beozia
è
sempre
stata
ritenuta
una
terra
molto
fertile.
In
epoca
micenea
la
pianura
che
si
estendeva
tra
le
città
di
Tebe
e di
Orcomeno
ospitava
il
lago-palude
Copaide,
la
cui
portata
veniva
alimentata
dalle
acque
di
fiumi
di
carattere
stagionale.
Periodicamente
la
pioggia
o
l’ostruzione
di
tali
canali
sotterranei
erano
all’origine
di
alluvioni
che
devastavano
i
campi.
Di
contro,
durante
le
stagioni
secche
il
lago
si
prosciugava,
ponendo
seri
problemi
per
l’irrigazione.
La
Beozia
fu
pertanto
una
terra
al
centro
di
un
difficile
rapporto
tra
uomo
e
condizioni
ambientali.
Di
tale
scontro
di
forze
abbiamo
tracce
dall’epoca
micenea
sino
al
IV
secolo
a.C.,
quando
Alessandro
Magno
ordinò
lavori
di
canalizzazione.
Alla
fine
dell’Ottocento
il
lago
fu
prosciugato.
Nel
mondo
greco
l’equilibrio
fra
ambiente,
risorse
e
popolazione
fu
spesso
complesso
e
precario.
Per
questa
ragione
qualsivoglia
analisi
in
tal
senso
non
può
esimersi
da
considerazioni
preliminari
sulle
nozioni
di
“mondo”,
“Terra”,
“luogo”
e
“spazio”
a
partire
dai
miti
definiti
“teogonici”
in
cui
vengono
narrate
la
nascita
degli
dèi
e la
complessa
storia
delle
generazioni
divine.
Superfluo
sottolineare
il
valore
di
questi
racconti,
peraltro
al
centro
di
importanti
dibattiti
storiografici.
Al
di
là
delle
considerazioni
letterarie,
non
si
può
mancare
di
osservare
come,
nell’immagine
dei
Greci,
il
“mondo”
appaia
una
gerarchia,
ossia
un
complesso
di
relazioni
sociali,
economiche,
politiche
e
culturali
al
cui
interno
si
sviluppa
la
vita
umana.
Ben più complessa da definire, in quanto sottintende
più
personali
punti
di
vista,
è la
nozione
di
“Terra”
che,
nella
geografia
classica,
ha
spesso
assunto
il
nome
di
“ecumene”,
il
mondo
noto
e
abitato.
Basti
pensare
al
pensiero
di
Strabone,
peraltro
accolto
e
interpretato
in
prospettiva
religiosa
agli
inizi
dell’Ottocento
da
Carl
Ritter,
secondo
cui
la
Terra
è la
“casa
dell’educazione
dell’umanità”,
espressione
di
un
vero
e
proprio
progetto
divino
finalizzato
a
guidare
gli
uomini
verso
la
salvezza.