filosofia & religione
SUl concetto di mare
pensare l'ambiente marino Nel CORSO DELla storia
di Francesca Trapè
Il mare evoca, nell’immaginario collettivo, momenti
di tranquillità, di divertimento e di socialità.
Eppure, non sempre ha rappresentato un luogo di
piacere in cui poter trascorrere le proprie vacanze.
Ripercorriamo in breve l’evoluzione della concezione
del mare nella storia della mentalità.
La paura del mare
Fino al Settecento il mare, in quanto elemento che
sfugge al controllo dell’uomo, era considerato
spazio di morte. In virtù di ciò suscitava
nell’immaginario popolare suggestioni e timori,
espressi con proverbi rimasti in uso ancora oggi:
“se vuoi imparare a pregare va per mare”.
L’idea, ereditata dal Medioevo cristiano, del mare
come campo di battaglia tra Dio e Satana, si
convertì in epoca moderna in immagini simboliche di
sciagura, di disordine e di precarietà della vita
umana. Addirittura, le popolazioni costiere della
Bretagna lo paragonavano a un cavallo imbizzarrito e
senza cavaliere quando infuriava.
Il mare in tempesta era spesso associato alla
condizione di pazzia nell’uomo, proprio per via
dell’impossibilità di riuscire a prevedere e
controllare il suo comportamento. Mentre la figura
del marinaio, dalla condotta lasciva se non
criminale, come nel caso dei pirati, fece sorgere la
concezione per cui la furia del mare imperversava in
qualità di punizione divina proprio per quei cattivi
cristiani sulle imbarcazioni.
.
La grande onda di Kanagawa,
K. Hokusai (1830)
In generale, fino alle applicazioni dell’acciaio e
del vapore alla tecnica navale moderna, il mare è a
ragione considerato luogo di morte, tanto che i
naviganti che riuscivano a raggiungere la
destinazione senza incorrere in tempeste e derive, o
se, ancor più fortunati, attraccavano alla banchina
dopo aver superato indenni un pericoloso fortunale,
si recavano subito nei diversi santuari della costa
per ringraziare la Madonna (Nostra Signora di
Bonaria a Cagliari, la Madonna dell’Arco a Napoli,
la Madonna del Monte a Genova), con la certezza di
aver espiato i propri peccati, e aver ricevuto per
questo la grazia.
.
Incisione di Gustave Doré per La ballata del
vecchio marinaio di S.T. Coleridge (1798)
Inoltre i litorali, a differenza di oggi, erano
scarsamente popolati perché particolarmente esposti,
e gli abitanti principali di quei luoghi erano
solitamente persone emarginate, come nel caso della
città di Fano che nel 1475 emanò una disposizione
che obbligava le prostitute a stabilirsi in
abitazioni lungo la costa, con la scusante che
avrebbero potuto usufruire più facilmente dell’acqua
salata per la propria igiene personale (Sorcinelli
2016, p. 159).
La cura del mare
L’acqua di mare, se non incuteva timore, era
comunque lontana dal rappresentare una qualsiasi
forma di attrattiva, e anche il semplice bagnarsi
risultava praticamente inconcepibile. Le uniche
occasioni di bagno in mare, a parte per chi svolgeva
l’attività della pesca, rimasero a lungo quelle
legate a tradizioni mistico-religiose: le madri
portavano i figli sulla spiaggia la mattina del 24
giugno a San Giovanni, o il 10 agosto a San Lorenzo,
immergendo i piccoli per sette volte in acqua nella
convinzione che fosse un gesto di buon auspicio e
anche curativo.
In Inghilterra e Francia, dalla fine del Settecento,
si sviluppa un movimento culturale che teorizza
l’effetto benefico e salutare dell’acqua di mare. In
Italia la diffusione di tali idee e studi
scientifici avverrà qualche decennio più tardi, così
i bagni in mare di Luigi Bonaparte durante il
soggiorno a Rimini nel 1817 susciteranno non poco
scalpore tra la gente del luogo.
A partire dagli anni Trenta dell’Ottocento, però,
sorsero anche in Italia i primi stabilimenti per
bagni marini, che vennero affidati alla guida di
illustri medici. Occorre ricordare la figura del
professor Paolo Mantegazza, igienista e senatore del
Regno, che sancì definitivamente la moda della
villeggiatura al mare, e sfatò la credenza per cui
le donne con le mestruazioni non potessero bagnarsi
neanche i piedi. Successivamente, nella direzione
del centro idroterapico di Rimini, subentrò il
fermano Augusto Murri, a cui ancora oggi è
intitolato il lungomare riminese, proprio grazie al
successo dello stabilimento sotto la sua guida.
Il mare e la morale
Nonostante gli austeri indumenti da bagno, in uso
quasi fino all’arrivo del bikini (1935 ca.),
ovviamente l’acqua riusciva a far aderire al corpo
anche i numerosi strati di tessuto, e quindi a
mettere in evidenza le forme e le rotondità procaci
delle bagnanti. Se da un lato queste situazioni
venivano aspramente giudicate, e si provava a
evitarle consigliando di far spogliare la gente in
prossimità della riva, proprio un attimo prima di
tuffarsi, dall’altro si faceva leva maliziosamente
sull’immagine del corpo femminile per pubblicizzare
gli stabilimenti balneari, e attirare così più
clientela.
La relazione, sempre evocata e mai raffigurata
esplicitamente, tra il mare e la nudità femminile
trovò espressione concreta nei manifesti della
riviera romagnola nel 1925: Giovanni Guerrini
realizzò una “sirena incantata” completamente nuda,
cullata dalle onde del mare di Cesenatico.
.
Giovanni Guerrini, manifesto per la riviera
romagnola (1925)
Tintarella di luna
Con l’inizio del Novecento, ormai, a fungere da
richiamo non erano più le virtù terapeutiche
dell’acqua salata: la villeggiatura al mare acquistò
una connotazione edonistica, anche a seguito della
“scoperta” tutta italiana della tintarella. Infatti,
la valorizzazione dei raggi solari, all’inizio
sempre per scopi curativi e solo più tardi per
motivi estetici, nacque proprio in Italia, complice
la posizione geografica più favorevole rispetto alle
cittadine costiere della Gran Bretagna (Sorcinelli
2016, pp. 181-182).
Con l’aggiunta poi dello svago, dell’idea della fuga
dalla città, e perché no anche della possibile
occasione per trovare l’anima gemella, la vacanza al
mare conquistò definitivamente la classe borghese e
impiegatizia degli anni Trenta e, dopo la pausa
della Seconda guerra mondiale, si affermò come
costume della società di massa.
Insomma, ecco perché ancora oggi, con la scusa dei
benefici terapeutici, ci si abbandona volentieri a
momenti rilassanti in riva al mare, molto meglio se
in compagnia degli affetti o di un buon libro.
Riferimenti bibliografici:
Paolo Sorcinelli, Storia sociale dell’acqua. Riti
e culture, Odoya, Città di Castello (PG)
2016. |