N. 106 - Ottobre 2016
(CXXXVII)
LE
AMAZZONI
NEL
MEDIOEVO
OCCIDENTALE
Figure
dell’immaginario
-
PARTE
I
di
Stefano
Andres
Artificiosi
sono
molti
degli
schemi
mentali
per
mezzo
dei
quali
siamo
abituati
ad
avvicinarci
alle
figure
dell’immaginario.
In
ogni
modo,
con
riferimento
alle
Amazzoni,
non
si
può
non
constatare
che,
fin
dall’età
greca
arcaica,
esse
si
sono
così
radicate
in
quello
occidentale
che
almeno
alcuni
dei
caratteri
distintivi
che
le
contraddistinguono
risultano
ormai
universalmente
noti:
bellicosità
e
dedizione
all’arte
militare,
cinegetica,
uso
del
cavallo,
ablazione
del
seno,
governo
monarchico
femminile,
antagonismo
con
gli
uomini,
culto
fervente
nei
confronti
delle
divinità
patrone
della
guerra
e
della
caccia
(Ares
e
Artemide).
Meno
noto
è il
fatto
che
la
mitologia
greca
propriamente
detta
si
occupò
esclusivamente
dello
sfaldamento
dell’impero
amazzonico:
gli
antichi
miti
celebrano
le
vittorie
sulle
Amazzoni
di
eroi
prototipi
della
fallocrazia
e
del
patriarcato
come
Bellerofonte,
Eracle,
Teseo,
Achille,
chiamati
a
ripristinare
l’ordine
infranto
da
queste
donne
che
derogavano
dalla
natura
femminile.
Fu
solo
in
epoca
più
recente
(almeno
a
partire
dal
VI-V
sec.
a.C.)
che
gli
scrittori
di
lingua
greca
cominciarono
a
ricostruire
ex
post
la
parabola
e le
gesta
amazzoniche,
saldando
nuovi
episodi
all’apparato
mitico
più
antico,
con
il
fine
di
completare
un
quadro
frammentario.
Si
diffuse
quindi
la
convinzione
secondo
cui,
in
un’epoca
remota
precedente
alla
guerra
di
Troia,
le
Amazzoni
avrebbero
creato
un
vasto
impero
tra
Asia
ed
Europa.
Per
un
periodo
indefinito,
forse
un
secolo,
quelle
donne
avrebbero
imposto
con
le
armi
un
matriarcato
esasperato,
per
poi
continuare
a
sopravvivere
a
lungo.
L’esistenza
storica
delle
Amazzoni
verrà
accettata,
spesso
non
senza
un’operazione
di
depurazione
degli
elementi
più
irrazionali
e
favolistici.
Parallelamente
alla
storicizzazione
delle
vicende
relative
alle
Amazzoni,
nell’antichità
si
diffuse
verso
di
loro
anche
un
interesse
di
carattere
geografico
ed
etnografico.
Esse
erano
catalogate
tra
i
popoli
più
esotici,
confinate
in
regioni
sempre
più
lontane,
ai
margini
del
mondo
conosciuto,
tra
la
Scizia
(vasto
contenitore
geografico
nordico
dagli
incerti
confini),
il
Caucaso,
il
cuore
dell’Asia.
Se
in
alcuni
casi
la
loro
localizzazione
geografica
è
spia
di
regioni
in
cui
la
donna
godeva
di
uno
status
giuridico
molto
elevato
rispetto
a
quello
riconosciuto
dagli
ordinamenti
a
cui
appartenevano
coloro
che
ne
scrivevano
(scoperte
archeologiche
recenti
hanno
tra
l’altro
confermato
la
presenza
di
femmine
guerriere
tra
i
popoli
delle
steppe),
in
altri
casi
l’ubicazione
remota
serve
essenzialmente
a
sottolineare
la
lontananza
rispetto
al
mondo
civile
di
queste
donne
che
derogano
alla
natura
umana.
Ciò
nell’ambito
di
una
scala
gerarchica
antropo-zoomorfa
che
parte
dall’uomo
civilizzato
e,
attraverso
il
barbaro,
arriva
fino
al
mostro
e
alla
bestia.
Ma
in
fondo
nell’antichità
l’immaginario
occidentale
guardava
le
Amazzoni
sotto
una
doppia
lente,
giudicandole
da
un
lato
come
un
popolo
non
solo
alieno
per
usi
e
costumi,
ma
addirittura
ferino;
dall’altro,
viceversa,
come
un
popolo
estraneo
da
sé,
benché
in
fondo
civilizzato
e
per
certi
aspetti
portatore
di
civiltà,
capace
di
inventare
strumenti,
costruire
palazzi
e
città,
istituire
nuovi
culti
religiosi.
Si
tratta
di
un
atteggiamento
diffuso
nell’ambito
dell’etnografia
antica,
dove
la
consapevolezza
delle
differenze
profonde
non
esclude
l’apprezzamento
delle
qualità
dell’altro.
Conclusosi
l’evo
antico,
la
saga
amazzonica
non
sparì
mai
dall’orizzonte
culturale
(al
contrario,
salvo
eccezioni,
da
quello
iconografico),
ma
rimase
viva
nell’età
di
mezzo,
tanto
in
Occidente
quanto
-
forse
in
misura
minore
-
nel
mondo
bizantino.
Anche
nei
cosiddetti
“secoli
bui”,
non
solo
si
continuò
a
tramandare
le
notizie
attestate
dalle
antiche
auctoritates,
ma
anche
nelle
fonti
più
disparate,
si
cominciò
a
introdurre
a
getto
continuo
nuove
informazioni
e
differenti
interpretazioni,
iniettando
così
nuova
linfa.
FEDELTà
ALLA
TRADIZIONE
A
partire
dall’Alto
Medioevo
almeno
qualche
particolare
della
storia
delle
donne
guerriere,
nelle
sue
linee
essenziali,
sopravvive
nelle
pagine
di
numerosi
storici,
lessicografi,
poeti,
grammatici
ed
enciclopedisti;
questo
avviene
tuttavia
non
senza
fraintendimenti,
omissioni,
imprecisioni
che
- a
loro
volta
-
trasmigreranno
in
opere
posteriori.
A
tal
proposito,
proprio
nel
genere
enciclopedico
possiamo
notare
un
esempio
significativo.
Alcuni
particolari
della
saga
amazzonica
vennero
infatti
raccolti
in
uno
dei
più
famosi
testi
altomedievali,
le
Etimologie
di
Isidoro
di
Siviglia
(sec.
VII).
Isidoro
indugia
sull’etimo
ma
soprattutto
colpisce
la
notizia
secondo
cui
le
Amazzoni
sarebbero
state
interamente
sterminate
da
Eracle,
da
Achille
e da
Alessandro
Magno
(che
in
realtà
secondo
la
tradizione
antica
le
aveva
sottomesse
senza
combatterle)
e da
allora
avevano
cessato
di
esistere
(Etym.,
IX
2,
64).
Poco
tempo
dopo
Remigio
di
Auxerre
(+
908),
mal
interpretando
l’oscura
notizia
di
Isidoro,
afferma
invece
che
esse
furono
sterminate
da
Eracle,
Alessandro
e
Ciro
(anziché
Achille),
primo
re
persiano
che
nemmeno
le
tradizioni
più
romanzesche
avevano
mai
accostato
alle
Amazzoni,
seppur
fosse
nota
la
sconfitta
da
lui
patita
ad
opera
della
regina
guerriera
dei
Massageti
di
nome
Tomiri
(Comm.
in
Mart.
Cap.,
IX
491,
20).
Se
inizialmente
i
lessicografi
e
gli
enciclopedisti
insistono
sull’etimologia
e si
limitano
a
riportare
poche
altre
notizie
essenziali
- si
pensi
alla
voce
Amazones
contenuta
nell’Elementarium
di
Papias
(sec.
XI)
nelle
Derivationes
di
Obserno
di
Gloucester
(+1210)
e
nel
Liber
derivationum
di
Uguccione
da
Pisa
(+1210),
ovvero
ai
più
vaghi
accenni
che
troviamo
nelle
enciclopedie
di
Rabano
Mauro
(+
856,
De
Universo,
XII
4) e
Onorio
di
Autun
(+
1154,
De
imagine
mundi,
I
24)
-,
procedendo
nel
tempo,
si
nota
che
le
rubriche
dedicate
alle
Amazzoni
sono
sempre
più
dettagliate
di
particolari
attinti
principalmente
dalla
tradizione
trogiana,
cioè
a
quelli
storici
che
ebbero
come
fonte
(diretta
o
indiretta)
le
perdute
Storie
filippiche
di
Pompeo
Trogo,
scritte
nel
I
secolo
d.C..
Questa
monumentale
opera,
che
dalle
più
remote
origini
del
mondo
arrivava
fino
ai
tempi
dell’autore,
non
è
giunta
fino
a
noi.
In
base
a
ciò
che
si
evince
leggendo
l’epitome
che
pochi
decenni
dopo
ne
fece
Giustino,
la
saga
amazzonica
veniva
qui
ripercorsa
in
tutti
i
suoi
aspetti
essenziali:
dalle
presunte
origini
scitiche,
alle
gesta
delle
più
celebri
regine:
Marpesia,
Lampeto,
Orizia,
Ippolita,
Antiope,
Pentesilea,
alle
guerre
contro
gli
eroi
greci,
fino
alla
descrizione
degli
usi
e
costumi
e
alla
localizzazione
geografica.
Oltre
che
l’epitome
di
Giustino
nel
Medioevo
ebbero
inoltre
grande
fortuna
anche
le
Storie
di
Orosio,
che,
a
proposito
delle
Amazzoni,
si
pongono
sulla
medesima
linea
narrativa.
Per
avere
un
saggio
di
tale
incremento
di
informazioni
amazzoniche
nelle
più
tarde
rubriche
enciclopediche
è
sufficiente
rinviare
allo
Speculum
Historiale
di
Vincenzo
di
Beauvais
(+
1264),
in
cui
si
cita
quasi
alla
lettera
la
corposa
storia
delle
Amazzoni
che
troviamo
in
Giustino
(I
96;
II
63),
al
contemporaneo
De
rerum
proprietatibus
di
Bartolomeo
Anglico,
il
quale
però
non
disdegna
di
rivolgersi
anche
ad
altre
fonti
con
disinvoltura
e
senso
critico
(XV
12,
20)
e a
Li
livres
dou
Tresor
del
toscano
Brunetto
Latini
(+
1294)
nel
quale
l’excursus
amazzonico
di
Giustino
è
integrato
con
altre
notizie
in
gran
parte
ricavate
dal
Roman
de
Troie
su
cui
torneremo
(I
30).
Le
fonti
di
origine
trogiana
sono
quelle
a
cui
ovviamente
più
si
attinse
anche
tra
storici
e
cronografi
quando
si
voleva
ripercorrere
la
saga
amazzonica:
l’origine
scitica
delle
Amazzoni,
l’etimologia,
i
costumi,
la
successione
delle
regine,
le
guerre
di
conquista
e
quelle
di
sopravvivenza
contro
gli
eroi
greci,
da
Freculfo
(+
851,
Chronicorum
tomi
duo,
PL
CVI,
t. I
lib.
II
c.
XVI,
coll.
960-961)
a
Frutolfo
di
Michelsberg
(+
1101,
Chronicon
Universale,
PL
CLIV,
§
De
Amazonibus,
coll.
730-731)
attraverso
Ottone
di
Frisiglia
(+
1158,
Chronica
sive
historia
de
duabus
civitatibus,
I
23;
II
25),
Orderico
Vitale
(+1142,
Historia
Ecclesiastica,
PL
CLXXXVIII,
Pars
III
L.VIII,
col.
597),
fino
ad
arrivare
a
Ricobaldo
da
Ferrara
(+
1318
c.a.
Compendium
Romanae
Historiae,
I
21;
I
134;
III
69)
e a
Giovanni
di
Victring
(+1347
c.a.,
Liber
cert.
hist.,
I
9,25).
Sulla
base
di
queste
informazioni,
si
continua
ad
assicurare
al
popolo
amazzonico
un
posto
nelle
vicende
storiche
del
mondo
ormai
ordinate
in
prospettiva
cristiana.
Degni
di
nota
appaiono
alcune
sviste
e
amplificazioni
che
emergono
nel
corso
dell’opera
di
riassemblaggio
delle
notizie
estrapolate
da
fonti
più
antiche.
Leggiamo
ad
esempio
in
Frutolfo
di
Michelsberg
(Chron.
univ.,
PL
CLIV,
col.
731)
e in
Rodrigo
Jiménez
de
Rada
(Hist.
Goth.,
I
12,
1)
che
il
regno
delle
Amazzoni
sarebbe
prosperato
addirittura
fino
ai
tempi
di
Giulio
Cesare,
mentre
invece
le
fonti
antiche
evidenziavano
la
sua
debolezza
già
ai
tempi
di
Alessandro
Magno.
A
questo
proposito
si
evidenzia
anche
l’asserzione
di
Brunetto
Latini,
secondo
cui
le
donne
guerriere
erano
contemporanee
e
nemiche
dei
Romani
(Li
livres
dou
Tresor,
I
30).
Sempre
Frutolfo,
a
proposito
della
guerra
di
Troia,
ricorda
che
la
regina
Pentesilea
vi
avrebbe
partecipato
alla
guida
addirittura
di
settantamila
guerriere,
gran
parte
delle
quali
non
sarebbero
sopravvissute
all’impresa
militare.
Inoltre,
da
alcuni
piccoli
particolari
possiamo
forse
intuire
quanto
le
Amazzoni,
ancora
nell’Alto
Medioevo,
almeno
in
certi
contesti
culturali,
in
un
situazione
di “crisi
della
memoria
collettiva”,
continuassero
ad
alimentare
l’immaginario.
Nell’ambito
della
raffinata
rinascita
culturale
di
età
carolingia
del
IX
secolo,
si
nota
che
alcuni
versificatori
attingevano
dal
patrimonio
poetico
antico
certe
immagini
amazzoniche
e se
ne
servivano
come
tessuto
connettivo
al
fine
di
abbellire
con
richiami
mitici
le
proprie
composizioni.
Così
Valafrido
Strabone,
per
impreziosire
un
verso
di
un
proprio
poema
agiografico
(De
vita
et
fine
Mammae
monachi,
v.
4,
in
MGH
poetae
2,
p.
277),
inserisce
l’emistichio
“campus
Amazonidum”
ispirato
a
Aen.,
I
490,
che
solo
un
cultore
di
Virgilio
sufficientemente
esperto
della
mitologia
delle
donne
guerriere
avrebbe
potuto
comprendere.
Ancor
più
significativo
appare
in
tal
senso
un
passo
della
Antapodosis
dello
storico
Liutprando
da
Cremona
(+
972).
Una
donna
(evidentemente
colta),
nel
corso
di
una
supplica
indirizzata
nei
confronti
di
un
conte
che
stava
per
far
evirare
il
di
lei
marito
prigioniero
di
guerra,
afferma
che
tra
la
popolazione
femminile
nessuna
“trae
origine
dal
sangue
delle
Amazzoni”
ed è
capace
di
usare
le
armi
e
nessun
guerriero
di
sesso
maschile,
da
quell’epoca,
le
ha
mai
più
rivolte
contro
le
femmine
(IV
10).
Il
sospetto
è
che
tutto
il
discorso,
di
cui
questo
è
solo
un
passaggio
estrapolato,
sia
una
creazione
letteraria
dello
storico
e
non
coincida
con
le
effettive
parole
pronunciate
dal
personaggio
nel
contesto
(aneddotico
ma
pur
sempre
veritiero).
Anche
così
fosse,
le
sottili
allusioni
alla
bellicosità
delle
Amazzoni
e
alla
loro
implacabile
contrapposizione
al
sesso
maschile
e
l’evidente
capacità
di
percepirle
da
parte
degli
uditori
dimostrano
un
forte
livello
di
penetrazione
del
mito
e la
sua
facile
riconoscibilità.
AMAZZONI
E
GOTI.
AMAZZONI
E
LONGOBARDI
Le
invasioni
barbariche
e la
conseguente
comparsa
di
nuovi
popoli
nel
mondo
romano
comportò,
da
un
punto
di
vista
etnografico-culturale,
un
aggiornamento
delle
tradizioni
fino
a
quel
momento
note.
Lo
sforzo
di
ricollegare
le
nuove
etnie
alle
vecchie
affiora
in
modo
quasi
ossessivo.
Nell’ambito
di
un
siffatto
contesto,
anche
le
Amazzoni
-
popolo
barbaro
per
antonomasia
-
vennero
recuperate
e
collegate
con
la
storia
più
remota
di
alcune
di
tali
popolazioni.
Seguendo
questo
filone
avremo
modo
di
accostarci
ad
alcune
sensibili
innovazioni
medievali
della
saga
degne
di
particolare
interesse.
Agganciandosi
alla
teoria
saldamente
attestata
nella
letteratura
antica
che
voleva
le
Amazzoni
legate
al
mondo
scitico
(in
quanto
ubicante
in
Scizia,
a
nord
del
mar
Nero,
o
comunque
imparentate
con
stirpi
scitiche),
a
partire
dal
IV
secolo
d.C.
si
diffuse
una
versione
che
le
accostava
ai
Goti.
Secondo
la
tradizione,
quest’ultima
popolazione
nel
I
secolo
d.C.
partendo
dalla
Scandinavia
era
migrata
verso
sud,
occupando
parte
di
quelle
regioni
in
cui
si
credeva
abitassero
o
avessero
abitato
le
Amazzoni.
La
sottomissione
delle
popolazioni
‘scitiche’
ad
opera
dei
Goti
venne
descritta
erroneamente
come
una
sovrapposizione
di
questi
popoli,
e
così
anche
le
Amazzoni,
proprio
alla
luce
dell’origine
‘scitica’,
vennero
ascritte
alla
stirpe
gotica.
Tale
legame
affiora
in
modo
ancor
più
esplicito
che
nel
passato
nel
VI
secolo,
a
seguito
dell’invasione
della
penisola
italica
ad
opera
degli
Ostrogoti
di
Teodorico.
Il
tema
era
affrontato
nella
perduta
storia
dei
Goti
di
Cassiodoro
ma
che
leggiamo
nel
compendio
che
di
essa
fu
redatto
a
pochi
anni
di
distanza
dall’originale
dal
goto
Jordanes
(Get.,
7-8).
Gli
Sciti
vengono
identificati
con
i
Goti:
avi,
parenti
o
eredi
di
tutte
le
razze
leggendarie
o
storiche
legate
a
questa
vasta
regione.
I
Goti,
originari
della
Scandinavia,
sarebbero
migrati
in
Scizia,
e
perciò
avrebbero
assunto
il
nome
di
Sciti.
Sul
presupposto
di
questa
identificazione,
vengono
quindi
rilette
e
interpretate
le
antiche
vicende
delle
Amazzoni
scitiche.
Nel
Basso
Medioevo
il
collegamento
tra
Goti
e
Amazzoni
non
andò
dimenticato.
Riaffiora
ad
esempio
nell’Elementarium
di
Papias,
nel
Chronicon
universale
di
Frutolfo
di
Michelsberg
e
nella
Historia
de
rebus
Hispaniae
sive
historia
Gothica
di
Rodrigo
Jiménez.
Spostandoci
nella
Toscana
del
secolo
XIV,
in
una
delle
opere
geografiche
più
significative
del
periodo,
il
Dittamondo
di
Fazio
degli
Uberti,
in
ossequio
alla
tradizione
precedente
la
Scizia
viene
descritta
come
un
enorme
territorio
che
dal
mar
Nero
arriva
al
mar
Baltico.
Le
Amazzoni
vengono
quindi
collocate
nella
parte
meridionale
della
regione,
alle
foci
del
fiume
Tanai.
Allo
stesso
tempo
si
dice
che
la
Gozia
(Götaland)
anticamente
era
abitata
dai
Goti,
i
quali
a
loro
volta
sono
collegati
alle
Amazzoni
(de
le
Amazone
funno,
al
tempo
strano,/
mariti)
e al
mitico
re
Magog,
lasciando
intendere
che
il
popolo
delle
donne
era
ormai
estinto
ai
tempi
del
poeta
(Ditt.,
I
10,
7-11;
IV
10,
25-27;
IV
11,
74-77).
A
prescindere
dall’attuale
esistenza
o
sopravvivenza
della
comunità
di
guerriere,
il
presunto
collegamento
storico
tra
loro
e i
Goti,
popolo
di
incontestabile
origine
‘settentrionale’,
continuò
a
mantenere
un
certo
valore,
se
non
altro
sotto
il
profilo
storico
e
ideologico.
Proprio
a
partire
dalla
prima
età
moderna
negli
ambienti
politici
e
culturali
svedesi
si
sviluppò
il
mito
del
‘goticismo’,
ossia
delle
presunte
gote
origini
patrie,
e in
tale
contesto
trovarono
un
loro
spazio
le
Amazzoni,
in
qualità
di
progenitrici
o
mogli
dei
Goti.
Parallelamente,
durante
l’era
volgare,
si
era
fatto
largo
un
filone
che,
prescindendo
dal
legame
con
gli
Sciti
e i
Goti,
colloca
le
Amazzoni
in
Germania,
o
comunque
le
collega
a
popolazioni
di
area
germanica.
Secondo
un’oscura
notizia
già
attestata
in
età
imperiale,
la
popolazione
dei
Vindelici
(di
origine
germanica,
o
forse
celtica
o
illirica,
stanziata
nell’antichità
tra
la
Svizzera
e
l’altopiano
svevo
e
bavarese)
era
stata
costretta
a
trasferirsi
nelle
sue
sedi
storiche
dopo
essere
stata
sconfitta
dalle
Amazzoni
in
luoghi
peraltro
non
meglio
precisati,
ma
di
certo
non
molto
lontani
(Orazio,
Od.,
IV
4,
18-21;
Porfirione,
Comm.,
IV
4).
Altre
fonti
avevano
invece
sottolineato
il
carattere
virile
delle
donne
germaniche,
senza
peraltro
collegarlo
alla
saga
amazzonica
(Tacito,
Ger.,
45).
È
tuttavia
nella
Historia
Langobardorum
di
Paolo
Diacono
(sec.
VIII)
che
troviamo
un’esplicita
quanto
esaurente
testimonianza
della
localizzazione
germanica
delle
Amazzoni.
Lo
storico
friulano
introduce
le
donne
guerriere
trattando
di
un
episodio
della
storia
mitica
dei
Longobardi,
quando
gli
stessi
ancora
vivevano,
senza
avere
ancora
sedi
stabili,
nel
cuore
di
questa
regione.
Un
giorno
il
re
Lamissione,
impedito
nel
passaggio
di
un
fiume
proprio
dalle
Amazzoni,
si
sarebbe
inoltrato
nella
corrente
per
combattere
con
una
di
esse.
I
due
popoli
infatti
avevano
stabilito
che
se
avesse
vinto
il
re i
Longobardi
avrebbero
potuto
attraversare
il
fiume,
mentre
in
caso
contrario
si
sarebbero
allontanati.
Fu
Lamissione
a
trionfare
nel
duello,
procurando
così
gloria
a sé
e al
suo
popolo
(Hist.
Lang.,
I
15).
La
prova
eroica
di
Lamissione
rappresenta
un
motivo
fiabesco
universalmente
diffuso,
che
richiama
il
certamen
archetipico
tra
due
capi,
cui,
davanti
agli
eserciti,
spetta
definire
una
contesa.
Paolo
dubita
della
veridicità
del
racconto,
in
origine
probabilmente
patrimonio
dell’epica
orale
longobarda.
Egli
è
ben
consapevole
dell’incongruenza
esistente
tra
queste
Amazzoni
germaniche
e
quelle
della
tradizione
classica.
Aggiunge
però
un’acuta
osservazione
per
tentare
di
risolvere
l’aporia:
“Tutti
coloro
che
conoscono
le
storie
antiche
sanno
che
la
stirpe
delle
Amazzoni
era
stata
distrutta
molto
tempo
prima
che
questi
fatti
potessero
avvenire.
A
meno
che,
essendo
i
luoghi
in
cui
queste
vicende
si
riferiscono
mal
noti
agli
storici
e
appena
menzionati
da
qualcuno
di
essi,
non
sia
potuto
succedere
che
tale
schiatta
di
donne
vi
si
trovasse
a
vivere
fino
a
quel
tempo.
Anch’io
del
resto
ho
sentito
dire
che
nelle
regioni
più
interne
della
Germania
vive
tuttora
un
popolo
di
tali
donne”.
Dunque
lo
scrittore
ritiene
che
le
Amazzoni
‘classiche’
di
cui
si
narrano
le
gesta
nei
miti
antichi
dovrebbero
essere
da
tempo
estinte;
tuttavia
egli
aveva
notizie
di
tribù
femminili
ancora
esistenti
ai
suoi
tempi
nel
cuore
della
Germania.
Non
spiega
chiaramente
che
vincolo
potesse
esserci
tra
queste
due
società
amazzoniche,
ma
ipotizza
che
una
parte
di
quelle
antiche
fosse
finita
in
quei
luoghi
e
questa
migrazione
giustificherebbe
il
presunto
incontro
con
i
Longobardi.