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N. 106 - Ottobre 2016 (CXXXVII)

LE AMAZZONI NEL MEDIOEVO OCCIDENTALE

Figure dell’immaginario - PARTE I
di Stefano Andres

 

Artificiosi sono molti degli schemi mentali per mezzo dei quali siamo abituati ad avvicinarci alle figure dell’immaginario. In ogni modo, con riferimento alle Amazzoni, non si può non constatare che, fin dall’età greca arcaica, esse si sono così radicate in quello occidentale che almeno alcuni dei caratteri distintivi che le contraddistinguono risultano ormai universalmente noti: bellicosità e dedizione all’arte militare, cinegetica, uso del cavallo, ablazione del seno, governo monarchico femminile, antagonismo con gli uomini, culto fervente nei confronti delle divinità patrone della guerra e della caccia (Ares e Artemide).

 

Meno noto è il fatto che la mitologia greca propriamente detta si occupò esclusivamente dello sfaldamento dell’impero amazzonico: gli antichi miti celebrano le vittorie sulle Amazzoni di eroi prototipi della fallocrazia e del patriarcato come Bellerofonte, Eracle, Teseo, Achille, chiamati a ripristinare l’ordine infranto da queste donne che derogavano dalla natura femminile.

 

Fu solo in epoca più recente (almeno a partire dal VI-V sec. a.C.) che gli scrittori di lingua greca cominciarono a ricostruire ex post la parabola e le gesta amazzoniche, saldando nuovi episodi all’apparato mitico più antico, con il fine di completare un quadro frammentario.

 

Si diffuse quindi la convinzione secondo cui, in un’epoca remota precedente alla guerra di Troia, le Amazzoni avrebbero creato un vasto impero tra Asia ed Europa. Per un periodo indefinito, forse un secolo, quelle donne avrebbero imposto con le armi un matriarcato esasperato, per poi continuare a sopravvivere a lungo. L’esistenza storica delle Amazzoni verrà accettata, spesso non senza un’operazione di depurazione degli elementi più irrazionali e favolistici.

 

Parallelamente alla storicizzazione delle vicende relative alle Amazzoni, nell’antichità si diffuse verso di loro anche un interesse di carattere geografico ed etnografico. Esse erano catalogate tra i popoli più esotici, confinate in regioni sempre più lontane, ai margini del mondo conosciuto, tra la Scizia (vasto contenitore geografico nordico dagli incerti confini), il Caucaso, il cuore dell’Asia.

 

Se in alcuni casi la loro localizzazione geografica è spia di regioni in cui la donna godeva di uno status giuridico molto elevato rispetto a quello riconosciuto dagli ordinamenti a cui appartenevano coloro che ne scrivevano (scoperte archeologiche recenti hanno tra l’altro confermato la presenza di femmine guerriere tra i popoli delle steppe), in altri casi l’ubicazione remota serve essenzialmente a sottolineare la lontananza rispetto al mondo civile di queste donne che derogano alla natura umana. Ciò nell’ambito di una scala gerarchica antropo-zoomorfa che parte dall’uomo civilizzato e, attraverso il barbaro, arriva fino al mostro e alla bestia.

 

Ma in fondo nell’antichità l’immaginario occidentale guardava le Amazzoni sotto una doppia lente, giudicandole da un lato come un popolo non solo alieno per usi e costumi, ma addirittura ferino; dall’altro, viceversa, come un popolo estraneo da sé, benché in fondo civilizzato e per certi aspetti portatore di civiltà, capace di inventare strumenti, costruire palazzi e città, istituire nuovi culti religiosi. Si tratta di un atteggiamento diffuso nell’ambito dell’etnografia antica, dove la consapevolezza delle differenze profonde non esclude l’apprezzamento delle qualità dell’altro.

 

Conclusosi l’evo antico, la saga amazzonica non sparì mai dall’orizzonte culturale (al contrario, salvo eccezioni, da quello iconografico), ma rimase viva nell’età di mezzo, tanto in Occidente quanto - forse in misura minore - nel mondo bizantino. Anche nei cosiddetti “secoli bui”, non solo si continuò a tramandare le notizie attestate dalle antiche auctoritates, ma anche nelle fonti più disparate, si cominciò a introdurre a getto continuo nuove informazioni e differenti interpretazioni, iniettando così nuova linfa.

 

FEDELTà ALLA TRADIZIONE

A partire dall’Alto Medioevo almeno qualche particolare della storia delle donne guerriere, nelle sue linee essenziali, sopravvive nelle pagine di numerosi storici, lessicografi, poeti, grammatici ed enciclopedisti; questo avviene tuttavia non senza fraintendimenti, omissioni, imprecisioni che - a loro volta - trasmigreranno in opere posteriori.

 

A tal proposito, proprio nel genere enciclopedico possiamo notare un esempio significativo. Alcuni particolari della saga amazzonica vennero infatti raccolti in uno dei più famosi testi altomedievali, le Etimologie di Isidoro di Siviglia (sec. VII). Isidoro indugia sull’etimo ma soprattutto colpisce la notizia secondo cui le Amazzoni sarebbero state interamente sterminate da Eracle, da Achille e da Alessandro Magno (che in realtà secondo la tradizione antica le aveva sottomesse senza combatterle) e da allora avevano cessato di esistere (Etym., IX 2, 64).

 

Poco tempo dopo Remigio di Auxerre (+ 908), mal interpretando l’oscura notizia di Isidoro, afferma invece che esse furono sterminate da Eracle, Alessandro e Ciro (anziché Achille), primo re persiano che nemmeno le tradizioni più romanzesche avevano mai accostato alle Amazzoni, seppur fosse nota la sconfitta da lui patita ad opera della regina guerriera dei Massageti di nome Tomiri (Comm. in Mart. Cap., IX 491, 20).

 

Se inizialmente i lessicografi e gli enciclopedisti insistono sull’etimologia e si limitano a riportare poche altre notizie essenziali - si pensi alla voce Amazones contenuta nell’Elementarium di Papias (sec. XI) nelle Derivationes di Obserno di Gloucester (+1210) e nel Liber derivationum di Uguccione da Pisa (+1210), ovvero ai più vaghi accenni che troviamo nelle enciclopedie di Rabano Mauro (+ 856, De Universo, XII 4) e Onorio di Autun (+ 1154, De imagine mundi, I 24) -, procedendo nel tempo, si nota che le rubriche dedicate alle Amazzoni sono sempre più dettagliate di particolari attinti principalmente dalla tradizione trogiana, cioè a quelli storici che ebbero come fonte (diretta o indiretta) le perdute Storie filippiche di Pompeo Trogo, scritte nel I secolo d.C.. Questa monumentale opera, che dalle più remote origini del mondo arrivava fino ai tempi dell’autore, non è giunta fino a noi. In base a ciò che si evince leggendo l’epitome che pochi decenni dopo ne fece Giustino, la saga amazzonica veniva qui ripercorsa in tutti i suoi aspetti essenziali: dalle presunte origini scitiche, alle gesta delle più celebri regine: Marpesia, Lampeto, Orizia, Ippolita, Antiope, Pentesilea, alle guerre contro gli eroi greci, fino alla descrizione degli usi e costumi e alla localizzazione geografica. Oltre che l’epitome di Giustino nel Medioevo ebbero inoltre grande fortuna anche le Storie di Orosio, che, a proposito delle Amazzoni, si pongono sulla medesima linea narrativa.

 

Per avere un saggio di tale incremento di informazioni amazzoniche nelle più tarde rubriche enciclopediche è sufficiente rinviare allo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais (+ 1264), in cui si cita quasi alla lettera la corposa storia delle Amazzoni che troviamo in Giustino (I 96; II 63), al contemporaneo De rerum proprietatibus di Bartolomeo Anglico, il quale però non disdegna di rivolgersi anche ad altre fonti con disinvoltura e senso critico (XV 12, 20) e a Li livres dou Tresor del toscano Brunetto Latini (+ 1294) nel quale l’excursus amazzonico di Giustino è integrato con altre notizie in gran parte ricavate dal Roman de Troie su cui torneremo (I 30).

 

Le fonti di origine trogiana sono quelle a cui ovviamente più si attinse anche tra storici e cronografi quando si voleva ripercorrere la saga amazzonica: l’origine scitica delle Amazzoni, l’etimologia, i costumi, la successione delle regine, le guerre di conquista e quelle di sopravvivenza contro gli eroi greci, da Freculfo (+ 851, Chronicorum tomi duo, PL CVI, t. I lib. II c. XVI, coll. 960-961) a Frutolfo di Michelsberg (+ 1101, Chronicon Universale, PL CLIV, § De Amazonibus, coll. 730-731) attraverso Ottone di Frisiglia (+ 1158, Chronica sive historia de duabus civitatibus, I 23; II 25), Orderico Vitale (+1142, Historia Ecclesiastica, PL CLXXXVIII, Pars III L.VIII, col. 597), fino ad arrivare a Ricobaldo da Ferrara (+ 1318 c.a. Compendium Romanae Historiae, I 21; I 134; III 69) e a Giovanni di Victring (+1347 c.a., Liber cert. hist., I 9,25). Sulla base di queste informazioni, si continua ad assicurare al popolo amazzonico un posto nelle vicende storiche del mondo ormai ordinate in prospettiva cristiana.

 

Degni di nota appaiono alcune sviste e amplificazioni che emergono nel corso dell’opera di riassemblaggio delle notizie estrapolate da fonti più antiche. Leggiamo ad esempio in Frutolfo di Michelsberg (Chron. univ., PL CLIV, col. 731) e in Rodrigo Jiménez de Rada (Hist. Goth., I 12, 1) che il regno delle Amazzoni sarebbe prosperato addirittura fino ai tempi di Giulio Cesare, mentre invece le fonti antiche evidenziavano la sua debolezza già ai tempi di Alessandro Magno. A questo proposito si evidenzia anche l’asserzione di Brunetto Latini, secondo cui le donne guerriere erano contemporanee e nemiche dei Romani (Li livres dou Tresor, I 30). Sempre Frutolfo, a proposito della guerra di Troia, ricorda che la regina Pentesilea vi avrebbe partecipato alla guida addirittura di settantamila guerriere, gran parte delle quali non sarebbero sopravvissute all’impresa militare.

 

Inoltre, da alcuni piccoli particolari possiamo forse intuire quanto le Amazzoni, ancora nell’Alto Medioevo, almeno in certi contesti culturali, in un situazione di “crisi della memoria collettiva”, continuassero ad alimentare l’immaginario.

 

Nell’ambito della raffinata rinascita culturale di età carolingia del IX secolo, si nota che alcuni versificatori attingevano dal patrimonio poetico antico certe immagini amazzoniche e se ne servivano come tessuto connettivo al fine di abbellire con richiami mitici le proprie composizioni. Così Valafrido Strabone, per impreziosire un verso di un proprio poema agiografico (De vita et fine Mammae monachi, v. 4, in MGH poetae 2, p. 277), inserisce l’emistichio “campus Amazonidum” ispirato a Aen., I 490, che solo un cultore di Virgilio sufficientemente esperto della mitologia delle donne guerriere avrebbe potuto comprendere.

 

Ancor più significativo appare in tal senso un passo della Antapodosis dello storico Liutprando da Cremona (+ 972). Una donna (evidentemente colta), nel corso di una supplica indirizzata nei confronti di un conte che stava per far evirare il di lei marito prigioniero di guerra, afferma che tra la popolazione femminile nessuna “trae origine dal sangue delle Amazzoni” ed è capace di usare le armi e nessun guerriero di sesso maschile, da quell’epoca, le ha mai più rivolte contro le femmine (IV 10). Il sospetto è che tutto il discorso, di cui questo è solo un passaggio estrapolato, sia una creazione letteraria dello storico e non coincida con le effettive parole pronunciate dal personaggio nel contesto (aneddotico ma pur sempre veritiero). Anche così fosse, le sottili allusioni alla bellicosità delle Amazzoni e alla loro implacabile contrapposizione al sesso maschile e l’evidente capacità di percepirle da parte degli uditori dimostrano un forte livello di penetrazione del mito e la sua facile riconoscibilità.

 

AMAZZONI E GOTI. AMAZZONI E LONGOBARDI

Le invasioni barbariche e la conseguente comparsa di nuovi popoli nel mondo romano comportò, da un punto di vista etnografico-culturale, un aggiornamento delle tradizioni fino a quel momento note. Lo sforzo di ricollegare le nuove etnie alle vecchie affiora in modo quasi ossessivo. Nell’ambito di un siffatto contesto, anche le Amazzoni - popolo barbaro per antonomasia - vennero recuperate e collegate con la storia più remota di alcune di tali popolazioni. Seguendo questo filone avremo modo di accostarci ad alcune sensibili innovazioni medievali della saga degne di particolare interesse.

 

Agganciandosi alla teoria saldamente attestata nella letteratura antica che voleva le Amazzoni legate al mondo scitico (in quanto ubicante in Scizia, a nord del mar Nero, o comunque imparentate con stirpi scitiche), a partire dal IV secolo d.C. si diffuse una versione che le accostava ai Goti.

 

Secondo la tradizione, quest’ultima popolazione nel I secolo d.C. partendo dalla Scandinavia era migrata verso sud, occupando parte di quelle regioni in cui si credeva abitassero o avessero abitato le Amazzoni.

La sottomissione delle popolazioni ‘scitiche’ ad opera dei Goti venne descritta erroneamente come una sovrapposizione di questi popoli, e così anche le Amazzoni, proprio alla luce dell’origine ‘scitica’, vennero ascritte alla stirpe gotica.

Tale legame affiora in modo ancor più esplicito che nel passato nel VI secolo, a seguito dell’invasione della penisola italica ad opera degli Ostrogoti di Teodorico. Il tema era affrontato nella perduta storia dei Goti di Cassiodoro ma che leggiamo nel compendio che di essa fu redatto a pochi anni di distanza dall’originale dal goto Jordanes (Get., 7-8). Gli Sciti vengono identificati con i Goti: avi, parenti o eredi di tutte le razze leggendarie o storiche legate a questa vasta regione. I Goti, originari della Scandinavia, sarebbero migrati in Scizia, e perciò avrebbero assunto il nome di Sciti. Sul presupposto di questa identificazione, vengono quindi rilette e interpretate le antiche vicende delle Amazzoni scitiche.

 

Nel Basso Medioevo il collegamento tra Goti e Amazzoni non andò dimenticato. Riaffiora ad esempio nell’Elementarium di Papias, nel Chronicon universale di Frutolfo di Michelsberg e nella Historia de rebus Hispaniae sive historia Gothica di Rodrigo Jiménez.

 

Spostandoci nella Toscana del secolo XIV, in una delle opere geografiche più significative del periodo, il Dittamondo di Fazio degli Uberti, in ossequio alla tradizione precedente la Scizia viene descritta come un enorme territorio che dal mar Nero arriva al mar Baltico. Le Amazzoni vengono quindi collocate nella parte meridionale della regione, alle foci del fiume Tanai. Allo stesso tempo si dice che la Gozia (Götaland) anticamente era abitata dai Goti, i quali a loro volta sono collegati alle Amazzoni (de le Amazone funno, al tempo strano,/ mariti) e al mitico re Magog, lasciando intendere che il popolo delle donne era ormai estinto ai tempi del poeta (Ditt., I 10, 7-11; IV 10, 25-27; IV 11, 74-77).

 

A prescindere dall’attuale esistenza o sopravvivenza della comunità di guerriere, il presunto collegamento storico tra loro e i Goti, popolo di incontestabile origine ‘settentrionale’, continuò a mantenere un certo valore, se non altro sotto il profilo storico e ideologico. Proprio a partire dalla prima età moderna negli ambienti politici e culturali svedesi si sviluppò il mito del ‘goticismo’, ossia delle presunte gote origini patrie, e in tale contesto trovarono un loro spazio le Amazzoni, in qualità di progenitrici o mogli dei Goti.

 

Parallelamente, durante l’era volgare, si era fatto largo un filone che, prescindendo dal legame con gli Sciti e i Goti, colloca le Amazzoni in Germania, o comunque le collega a popolazioni di area germanica. Secondo un’oscura notizia già attestata in età imperiale, la popolazione dei Vindelici (di origine germanica, o forse celtica o illirica, stanziata nell’antichità tra la Svizzera e l’altopiano svevo e bavarese) era stata costretta a trasferirsi nelle sue sedi storiche dopo essere stata sconfitta dalle Amazzoni in luoghi peraltro non meglio precisati, ma di certo non molto lontani (Orazio, Od., IV 4, 18-21; Porfirione, Comm., IV 4). Altre fonti avevano invece sottolineato il carattere virile delle donne germaniche, senza peraltro collegarlo alla saga amazzonica (Tacito, Ger., 45).

È tuttavia nella Historia Langobardorum di Paolo Diacono (sec. VIII) che troviamo un’esplicita quanto esaurente testimonianza della localizzazione germanica delle Amazzoni. Lo storico friulano introduce le donne guerriere trattando di un episodio della storia mitica dei Longobardi, quando gli stessi ancora vivevano, senza avere ancora sedi stabili, nel cuore di questa regione. Un giorno il re Lamissione, impedito nel passaggio di un fiume proprio dalle Amazzoni, si sarebbe inoltrato nella corrente per combattere con una di esse. I due popoli infatti avevano stabilito che se avesse vinto il re i Longobardi avrebbero potuto attraversare il fiume, mentre in caso contrario si sarebbero allontanati. Fu Lamissione a trionfare nel duello, procurando così gloria a sé e al suo popolo (Hist. Lang., I 15).

 

La prova eroica di Lamissione rappresenta un motivo fiabesco universalmente diffuso, che richiama il certamen archetipico tra due capi, cui, davanti agli eserciti, spetta definire una contesa. Paolo dubita della veridicità del racconto, in origine probabilmente patrimonio dell’epica orale longobarda. Egli è ben consapevole dell’incongruenza esistente tra queste Amazzoni germaniche e quelle della tradizione classica. Aggiunge però un’acuta osservazione per tentare di risolvere l’aporia: “Tutti coloro che conoscono le storie antiche sanno che la stirpe delle Amazzoni era stata distrutta molto tempo prima che questi fatti potessero avvenire. A meno che, essendo i luoghi in cui queste vicende si riferiscono mal noti agli storici e appena menzionati da qualcuno di essi, non sia potuto succedere che tale schiatta di donne vi si trovasse a vivere fino a quel tempo. Anch’io del resto ho sentito dire che nelle regioni più interne della Germania vive tuttora un popolo di tali donne”. Dunque lo scrittore ritiene che le Amazzoni ‘classiche’ di cui si narrano le gesta nei miti antichi dovrebbero essere da tempo estinte; tuttavia egli aveva notizie di tribù femminili ancora esistenti ai suoi tempi nel cuore della Germania. Non spiega chiaramente che vincolo potesse esserci tra queste due società amazzoniche, ma ipotizza che una parte di quelle antiche fosse finita in quei luoghi e questa migrazione giustificherebbe il presunto incontro con i Longobardi.



 

 

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