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N. 72 - Dicembre 2013 (CIII)

L’allargamento dell’UE
Le tappe fondamentali del processo di integrazione

di Laura Ballerini

 

Il primo luglio scorso ha fatto il suo ingresso nell’Unione Europea la Croazia. Dopo otto anni di negoziati la comunità si è allargata a ventotto membri. Ma come funziona il processo di adesione all’UE? Come è avvenuto finora?

 

Dopo i primi tentativi di unione con il Patto di Bruxelles nel `48, la CECA nel `51 e il fallimento della CED nel `54, nacque con i Trattati di Roma del `57 la Comunità Economica Europea (CEE). I paesi membri allora erano sei, Francia, Italia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Olanda (questi ultimi tre erano già legati nel Benelux, un patto economico).

 

I sei si impegnavano ad abbattere le barriere doganali interne in tre fasi da quattro anni, creandone una esterna, comprendente, però, anche le ex colonie. Nasceva quindi un grande mercato da qui venivano esclusi in primis gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.

 

Il modo per partecipare alla CEE era triplice: adesione, associazione, rapporti commerciali. I sei privilegiavano i paesi facenti parte della NATO, le ex colonie, con un occhio di riguardo per gli stati coinvolti nelle tensioni arabo-israeliane. L’adesione prevede l’entrata in toto nella comunità, divenendone un membro al pari degli altri. I rapporti commerciali invece sono semplici agevolazioni negli scambi economici: tra questi vi furono Israele e Libano, rispettivamente nel `64 e nel `65.

 

L’associazione è una via di mezzo tra i due, in quanto prevede agevolazioni in campo commerciale ma con una maggiore partecipazione a livello politico: i primi ad associarsi furono due paesi NATO, Grecia (`61) e Turchia (`63), a cui fu promessa la possibilità di adesione, due ex colonie francesi Marocco e Tunisia (`65) e due ex colonie inglesi, Malta e Cipro (`70).

 

Si associarono anche numerosi altri paesi: con i Trattati di Roma infatti era nata anche la CEETOM (CEE Territori Oltre Mare), che con la conferenza di Yaoundé nel `63 divenne CEESAMA (Stati Africani del Malgascio Associati) e infine nel `74 CEEACP (paesi Africani, Caraibici e Pacifici), che oggi conta circa ottanta stati associati.

 

In tutto ciò la Gran Bretagna si era tenuta fuori dalla CEE: la sua idea di Europa infatti era basata sulla semplice collaborazione tra i governi, tutto ciò che prevedeva organi sovranazionali a cui sottostare era fuori dalla sua portata e da quella dei paesi a lei affini (quelli scandinavi in primis).

 

Dopo pochi anni, però, la comunità già dimostrava i suoi successi e rimanerne esclusi diventava una perdita. Inoltre con il generale De Gaulle all’Eliseo gli Stati Uniti si sentivano minacciati e così anche Italia e Benelux, che non volevano un’Europa a guida francese. Caldeggiarono allora l’entrata della Gran Bretagna per bilanciare il dispotismo francese, che sognava una “Europa delle patrie” dove la Francia diventasse il leader.

 

Nel `63, quindi, Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca (la Norvegia non aveva ricevuto esito positivo dai referendum interni e non si presentò) fecero richiesta di adesione alla CEE. De Gaulle tuonò e mise il veto accusando la Gran Bretagna di essere il cavallo di Troia degli USA e ne rifiutò di nuovo l’entrata nel `67.

 

Solo dopo l’uscita di scena del generale i tre paesi poterono entrare nel `69. In quell’anno vi fu dunque il primo allargamento della Comunità Europea che arrivò a contare nove membri.

 

Questa estensione verso nord aveva motivi strettamente economici: era diventato palese che all’economia di questi tre stati avrebbe giovato molto di più entrare nella comunità. Per questo motivo ancora oggi nei paesi del nord Europa si riscontra una logica di tipo economico: la Comunità Europea, poi divenuta Unione, deve soddisfare in primis le esigenze economiche e commerciali dei paesi membri.

 

Per questi ultimi, essendo paesi democratici, aventi già stabilità politica interna, l'Europa deve funzionare in campo economico. Totalmente opposta è la logica che caratterizzerà il successivo allargamento a sud.

 

Gli anni `70 furono anni travagliati per la Comunità Europea, segnata dalla crisi del dollaro, dagli shock petroliferi, dal terrorismo laico e dai flussi migratori. Per alcuni paesi, però, segnarono l’uscita dai regimi totalitari.

 

Gli stati in questione sono la Spagna, con la morte di Franco nel `75, il Portogallo, con la dipartita di Salazar e la Rivoluzione dei Garofani nel `74, e la Grecia, con la caduta del regime dei colonnelli nel `74. Tornati a un regime democratico i tre paesi chiesero l’entrata nella CEE, che avvenne nel ` 81 per la Grecia e nel `85 per Spagna e Portogallo.

 

L’allargamento a sud, come già accennato, avvenne per logiche di tipo politico. I tre stati avevano infatti necessità di stabilizzare la propria situazione interna, improntandosi verso la democrazia.

 

Per questo tendenzialmente il sud dell’Europa si aspetta dal processo di integrazione il funzionamento in campo politico, per la salvaguardia degli ideali di democrazia: determinate politiche economiche, dunque, risultano per questo un tradimento.

 

In seguito, nel’`82, si presentò l’unico caso di uscita dall’Europa rappresentato dalla Groenlandia, resasi autonoma dalla Danimarca e per sua volontà anche dalla CEE (con cui rimase legata in un rapporto di associazione).

 

Con la caduta del muro di Berlino e la riunificazione della Germania (`89) e poi con lo scioglimento dell’URSS (`91), l’Europa dei 12 doveva affrontare l’allargamento verso una nuova direzione: l’ est.

I paesi che facevano parte dell’URSS uscivano da circa quarant’anni di economia centralizzata e dovevano ora riconvertirla in economia di mercato per adeguarsi ai paesi occidentali. Non erano pronti a entrare nell’Unione Europea (che acquisì ufficialmente questo nome con i trattati di Maastricht del `91-92). La loro economia non avrebbe retto la competizione con gli altri stati.

 

Nacquero allora diversi programmi per assistere la conversione delle economie dei paesi PECO (Paesi Europa Centrale e Orientale), tra cui il PHARE.

 

Nel frattempo i 12 si videro nel `91 a Copenaghen per stabilire quali dovessero essere i criteri per entrare nell’Unione. Ne decisero tre. Oltre all’ovvio criterio di appartenenza geografica, gli altri erano il criterio politico, economico, amministrativo.

 

Il primo fissava determinati standard di democrazia, quali la supremazia della legge, la stabilità interna e la tutela dei diritti e delle minoranze. Il secondo criterio pretendeva che l’economia dei paesi candidati rispondesse a requisiti quali un’economia di mercato in grado di essere concorrenziale.

 

Infine il paese doveva avere tutte le strutture amministrative necessarie per adeguarsi agli altri stati. Dalla richiesta di adesione all’effettiva entrata possono passare molti anni trascorsi in negoziati, perché è necessaria l’unanimità. I primi a sottoporsi a questi criteri furono nel `94 Finlandia Austria e Svezia: l’Europa dei 15.

 

Dopo circa dieci anni l’Unione si aprì agli stati dell’est. Nel 2004 infatti vi fu il grande allargamento: entrarono le tre repubbliche baltiche, Estonia, Lettonia e Lituania, 4 stati orientali, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacca, una dell’ex Jugoslavia, Slovenia e due mediterranei, Malta e Cipro.

 

Nel 2007 il processo di concluse con l’entrata di Bulgaria e Romania: L’Europa dei 27. Oggi l’Europa ne conta 28 con l’ingresso della Croazia.

 

Ci sono altri paesi, però, che aspettano ancora di entrare, i cosiddetti paesi in mezzo al guado. Tra questi hanno lo status di candidati dal 2011 Islanda, Macedonia, Turchia e Montenegro. Hanno invece lo status di candidati potenziali Albania, Bosnia-Erzegovina, Serbia e Kossovo.

 

I motivi per cui non ne è ancora stata programmata l’adesione riguardano per lo più carenze in campo economico, o, per alcune, nella tutela dei diritti e delle minoranze.



 

 

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