N. 17 - Maggio 2009
(XLVIII)
"ALIGHIERO E
BOETTI"
UN MONDO DI
TAPPETI
di Ettore Janulardo
Stendersi
sul mondo, distendere il mondo.
Stendervisi, pensarlo, concettualizzarlo, catalogarlo,
forse ordinarlo: un mondo fatto di villaggi e di città,
di Torino e di Afghanistan, di singolarità e di
Gemelli, di fili da raccogliere e di tessuti
intrecciati, di luminosità romana e di bandiere di
stati.
Distenderlo, metterlo a terra per giocarci, appenderlo da
ammirare: ritrovarsi qui mentre si è lì, Non parto
non resto, e telegrammi ad enumerare giorni, mentre
il tempo è sempre rovesciato, come un elemento da
affrontare con la dialettica.
“Ci sono cinque sensi e il sesto è il pensiero ovvero la cosa
più straordinaria che l’uomo possieda, e che non ha
niente a che vedere con la natura. Per cui se io devo
dire quali sono state le grandi emozioni della mia vita,
confesso che non sono state di ordine materiale (…) le
grandi emozioni, secondo me, si provano ascoltando
Mozart, leggendo una poesia, perché c’è un pensiero
fatto di mille coincidenze, sincronismo, ricordi quasi
biologici, forse di tempi antichissimi in cui eravamo
un’altra cosa (…) quando eravamo forse più vicini agli
dei (…)”: queste considerazioni rappresentano la chiave
d’accesso all’universo di Alighiero Boetti.
Nato a Torino nel 1940, ha vissuto la stagione dell’arte povera
che, tra il capoluogo sabaudo e Roma, ha
portato artisti come – tra gli altri – Calzolari,
Kounellis, Mario e Marisa Merz, Paolini a confrontarsi
insieme su alcuni punti nodali del dibattito vita/arte
politica/arte, e ha costituito un momento di
“guerriglia” artistica in relazione/scontro con le
tematiche del ‘68: “Il ‘67 è stato un anno esplosivo,
per me e per tutti. Era un momento di grande
eccitamentto, anche a livello materiale: la scoperta,
l’entusiasmo dei materiali, che hanno portato alla
nausea. Era tutto molto empirico allora (…)”.
Se la relazione arte/vita è uno dei temi fondanti della
ricerca artistica, essa assume particolare rilevanza
“esistenziale” nel percorso di Boetti che, in parallelo
alla virata concettuale impressa al proprio lavoro con
Niente da vedere, niente da nascondere (1969) –
una vetrata da contemplare, appoggiata da
una parete – comincia a definire un itinerario di “raddoppiamento”:
con
Gemelli
spedisce una cinquantina di cartoline con la propria
immagine che tiene per la mano un altro se stesso,
definendo un correlativo iconico alla sigla
artistico-umana che assumerà:
Alighiero e Boetti.
Niente da vedere, niente da nascondere
Vetrata
1969 – 86 Metallo e vetro, 300 x 400 cm Collezione
C-Arte,
Centro
per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato, Firenze
Gemelli
1968 Cartolina postale,
14,5 x 10,5 cm Colleziona privata
Raddoppiare, accumulare, inventariare sono operazioni mentali
che si sostanziano dei viaggi e delle esperienze
dell’artista. Tra vagabondaggi iniziatici e itinerari
artistici, Boetti si pone sulle tracce di un suo lontano
antenato: Giovanni Battista Boetti, frate domenicano
piemontese, vissuto tra il 1743 e il 1794, leggendaria e
misteriosa figura di combattente caucasico alla testa
della resistenza contro l’avanzata dei russi, celebrato
come
Al Mansur, Il Vittorioso. E i fili s’intrecciano, con l’artista che
giunge per la prima volta in Afghanistan nel 1971,
facendone la sua seconda patria.
Intrisi di colori e di sentori afgani sono così i tessuti che
Boetti fa realizzare, con ottica serial-concettuale che
da occidentale si fa astrazione zen, ricamo sulla pelle
del mondo. A Kabul nasce
16 dicembre 2040 - 11 luglio 2023, ricamo con il centenario della sua
nascita e la presunta data di morte.
16
dicembre 2040 - 11 luglio 2023
1971
Ricamo su tessuto, due elementi, ognuno 61.3 x 61.3 cm
Collezione privata,
courtesy Sperone Westwater Gallery, New York
Al rientro dal primo soggiorno afgano, la serie dei
telegrammi, che scandisce il tempo sulla base della
logica del raddoppio. Poi il ritorno in Afghanistan, nel
settembre 1971, e la nascita della
Mappa:
fusione fra tradizione plurisecolare di tessitura e
pacifismo dell’avanguardia occidentale, il planisfero si
costruisce con le bandiere nazionali a sostanziare gli
stati, tessere di un mosaico avvertito come elezione di
un incontro, possibilità di ordinata percorribilità.
E i testi, a volte in italiano altre volte nelle parlate
locali, punteggiano il ricamo che è segno di armonia,
geografia cosmopolita e non ‘tappeto di guerra’.
“Il lavoro della Mappa ricamata è per me il massimo
della bellezza. Per quel lavoro io non ho fatto niente,
non ho scelto niente, nel senso che: il mondo è fatto
com’è e non l’ho disegnato io, le bandiere sono quelle
che sono e non le ho disegnate io, insomma non ho fatto
niente assolutamente; quando emerge l’idea base, il
concetto, tutto il resto non è da scegliere”.
Mappa del mondo
1971-73
tela di lino ricamata, 232 x 380 cm Castello di Rivoli
Museo d’Arte Contemporanea,
Torino
Deposito a lungo termine - Collezione A. M. Sauzeau -
Boetti
Poi, insieme a un laboratorio di ricamo, sarà aperto
nella capitale afgana anche un albergo, il
One Hotel; dalla città partirà inoltre la corrispondenza che
costituirà l’opera
720 lettere da Kabul. Viaggi, mostre e realizzazioni
punteggiano la vita dell’artista, impegnato in una serie
di lavori a penna –
Mettere al mondo il mondo – e nella promozione di ricami con parole e frasi:
Ordine e disordine
(1972).
Mettere al mondo il mondo
1972-73
Biro blu su carta intelata, 2 elementi, ognuno 159x164
cm
Courtesy Galleria Tornabuoni Arte, Firenze
La micro-storia di Boetti, che è anche racconto di
un’esperienza politico-concettuale di incontri e di arti,
riannoda i fili del passato ritrovando, due secoli dopo
l’antenato domenicano in Caucaso, la macro-storia dello
scontro con la Russia.
Nel settembre del 1979 l’artista compie il suo ultimo viaggio
a Kabul, invasa in dicembre dai sovietici.
Il laboratorio afghano, ove le ricamatrici realizzano gli
arazzi-planisfero che seguono cromaticamente i mutamenti
geo-politici del mondo, subisce direttamente le
conseguenze delle mutazioni intercorse, trasferendosi
nei campi profughi di Peshawar in Pakistan.
Tra la sede di Kabul e quella pakistana, sono così realizzate
circa duecento mappe in più di venti anni di attività.
La
natura, una faccenda ottusa
1981
Tecnica mista e collage su carta intelata, 96,5x† 72 cm
Collezione privata
Ma la relazione col paese adottivo non s’interrompe del tutto,
facendosi rielaborazione e rapporto collaterale.
La natura, una faccenda ottusa
(1981) ripropone le considerazioni sulle facoltà del
pensiero umano e nello stesso tempo è critica naturale
alla “proliferazione dei regni” che si fa istanza
politica, resistenza intellettuale all’occupazione che è
innanzitutto spoliazione mentale, privazione della
libertà di movimento e costrizione nel regime
dell’immoto, come avverrà anche nei successivi anni del
predominio talebano.
Spazialmente lontano, ritorna l’Afghanistan nella dimensione
paradigmatica di un inchiostro su carta intelata che è
reclusione del sé, quando il resto è imprigionato:
sagoma di un territorio come nucleo generativo, motore
di pensiero, propulsione di ricordi da mutare in opera,
mentre il tempo scorre senza più consentire il ritorno.
Senza titolo (Tra sé e sé)
1981
Serigrafia e inchiostro su carta intelata, 150 x 100 cm
Collezione privata
Seriale contabilità del tempo è anche la collaborazione
dell’artista col quotidiano
Il Manifesto,
sul quale pubblica, dal dicembre 1980, un disegno al
giorno per circa cinque mesi, come a ribadire un bisogno
d’ordine che sia misura di creatività.
Dal 1988 dà inizio a
Tutto,
ciclo di arazzi ricamati di grandi dimensioni.
Boetti e i suoi collaboratori riempiono ogni centimetro
quadro della superficie da ricamare con varie figure
strettamente abbinate, lasciando alle ricamatrici la
libertà di scegliere gran parte dei colori utilizzati.
E l’intento non è mai selettivo, bensì aleatoriamente
onnicomprensivo, come dichiara a
Il Corriere della Sera
del
19 gennaio 1992: “Per non creare gerarchie tra i colori
li uso tutti. Il mio problema infatti è di non fare
scelte secondo il mio gusto ma d’inventare sistemi che
poi scelgono per me”.
Tutto
1988
Ricamo su tessuto / arazzo, 223 x 223 cm
Emanuel
Hoffmann - Stiftung, deposito presso l'÷ffentlichen
Kunstsammlung Basel
Infine, dopo un ulteriore soggiorno in Giappone per
lavori calligrafici su carta di riso, il cerchio s’avvia
a chiudersi, nelle vicinanze del paese impressosi nella
sua interiorità: fa così realizzare la tessitura in
Pakistan, nel 1991, di cinquanta kilim su composizioni
grafiche di studenti di accademie francesi.
Alternando da 1 a 100 e viceversa
1993
Tappeto kilim, 289.6 x 279.4 cm Courtesy Gagosian
Gallery, New York
Oltre questo, rimane un progetto: inchiostro su carta
intelata per un grande tappeto su cui volar via.
Senza titolo (Progetto per grande tappeto)
1993-1994 Inchiostro e gouache su carta intelata, 350 x
242 cm Joseph H. Hirshhorn Purchase Fund, Hirshhorn
Museum and Sculpture Garden, Washington DC
Non a Torino né a Kabul, Boetti si spegne a Roma il 24
aprile 1994.
Riferimenti bibliografici:
Le immagini sono tratte da http://www.boettiealighiero.virtuale.org/index.htm |