N. 76 - Aprile 2014
(CVII)
THE RUMBLE IN THE JUNGLE
ALI VS FOREMAN FRA STORIA E MITO
di Filippo Petrocelli
Sono
trascorsi
quasi
quarant’anni
da
quel
30
ottobre
1974,
quando
a
Kinshasa
nello
Zaire,
si è
combattuto
il
più
spettacolare
incontro
della
storia
della
boxe:
Muhammad
Ali
vs
George
Foreman.
Passato
alle
cronache
come
The
rumble
in
the
jungle,
questo
scontro
è
stato
probabilmente
l’apice
contemporaneo
della
noble
art.
Una
sfida
non
solo
sportiva,
né
il
semplice
ritorno
di
due
pugili
neri
in
Africa,
bensì
un’epica
battaglia
fra
due
modi
di
intendere
la
vita
e il
pugilato:
veloce,
tecnico
e
spavaldo
Ali,
potente,
istintivo
e
tenace Foreman.
“Ballerino”
il
primo,
autentico
giovane
“picchiatore”
il
secondo.
All’evento
sportivo
si è
aggiunto
uno
straordinario
concerto
di
black
music,
che
ha
coinvolto
il
meglio
della
musica
funk
e
soul,
a
partire
da
James
Brown
e
B.B.
King,
passando
per
Miriam
Makeba
e
una
miriade
di
orchestre
africane,
che
hanno
contribuito
a
scolpire
nella
memoria
dello
sport
quello
che
in
realtà
è
stato
un
grande
spettacolo,
uno
show,
un
trionfo
dell’orgoglio
nero.
A
organizzare
l’incontro
Don
King,
autentico
gotha
della
boxe,
entrato
a
partire
da
quel
match
nell’Olimpo
dei
manager
del
pugilato.
La
borsa,
dieci
milioni
di
dollari
(cinque
per
ogni
atleta),
invece
è
messa
in
palio
da
Mobutu
Seko
Seko,
spietato
dittatore
dello
Zaire
e
assassino
di
Patrice
Lumumba,
primo
presidente
democraticamente
eletto
del
paese
dopo
la
decolonizzazione.
George
Foreman
è il
campione,
il
favorito
dei
pronostici,
anche
perché
ha
“asfaltato”
sia
smoking
Joe
Frazier
(che
ha
sconfitto
Ali
in
precedenza),
sia
Ken
Norton
(colui
che
anni
prima
ha
rotto
la
mascella
di
Ali).
Prima
di
quell’incontro,
Muhammad
Ali
è
considerato
invece
dagli
esperti
del
settore
come
un
gran
pugile
ormai
sulla
via
del
tramonto.
Durante
gli
allenamenti,
in
particolare
nelle
sessioni
di
sparring,
sembra
appesantito
e si
lascia
dominare
da
Larry
Holmes,
suo
principale
sparring
partner.
Eppure
il
pugile
originario
di
Louisville,
proprio
in
quelle
estenuanti
sedute
di
“guanti”,
prepara
la
sua
tattica
sopraffine,
conosciuta
con
il
nome
di
rope-a-dope
e
orientata
a
sfiancare
l’avversario,
lasciandosi
colpire,
quasi
passivo,
per
tutta
la
prima
parte
dell’incontro,
prima
di
mettere
a
segno
un
colpo
risolutivo.
Fin
da
subito
il
favore
popolare
si
dirige
verso
Ali,
considerato
come
un
vero
figlio
dell’Africa.
Al
contrario
Foreman
non
è
molto
apprezzato
dai
locali
perché
sembra
un
“bianco”:
il
suo
atteggiamento
riservato
e
taciturno
ispira
una
naturale
antipatia,
e la
sua
riservatezza
viene
fraintesa
come
una
specie
di
“snobismo”.
Ali
gioca
con
i
suoi
fratelli
africani
durante
tutto
il
suo
lungo
soggiorno
nello
Zaire,
correndo
per
le
strade
di
Kinshasa
e
mostrandosi
amichevole
con
la
popolazione
del
paese,
mentre
il
campione
“spaventa”
solo
la
stampa,
sempre
chiuso
nel
suo
hotel
per
gli
allenamenti
quotidiani,
intento
in
estenuanti
sessioni
al
sacco,
che
si
deforma
a
causa
dei
suoi
colpi,
facendo
saltare
indietro
ad
ogni
gancio
Dick
Sadler,
il
suo
“secondo”.
Inizialmente
programmato
per
settembre
l’incontro
slitta
di
circa
un
mese
a
causa
di
un
infortunio
– un
taglio
al
sopracciglio
–
patito
da
Foreman
durante
una
sessione
di
allenamento.
Finalmente
però,
all’alba
del
30
ottobre
1974,
i
due
pugili
si
trovano
faccia
a
faccia,
costretti
a
combattere
alle
quattro
di
mattina
per
permettere
la
diretta
negli
Stati
Uniti.
L’incontro
Ali
in
candido
accappatoio
bianco,
Foreman
in
accappatoio
rosso
finalmente
si
fronteggiano,
sguardi
fissi
e
denti
stretti.
Intorno
flash
incessanti,
grida
confuse
e
una
folla
festante.
Prima
del
gong,
Ali
inizia
a
punzecchiare
Foreman,
sussurrandogli
qualcosa
all’orecchio
e
mettendo
in
campo
quella
serie
di
atteggiamenti
sarcastici
e
denigratori
che
saranno
alla
base
della
sua
vittoria.
Il
primo
round
si
apre
con
Ali
proteso
in
avanti,
poco
ortodosso
nel
colpire
Foreman
con
il
diretto
destro,
tirato
stranamente
“a
secco”
senza
essere
anticipato
da
un
jab,
lasciando
quindi
molto
aperta
la
guardia.
Tuttavia
Foreman
non
sembra
impensierito
e
già
nel
primo
round
dimostra
la
sua
determinazione
guadagnando
il
centro
del
ring.
Così
Ali
inizia
a
mettere
in
pratica
la
sua
tattica,
appoggiandosi
passivo
alle
corde,
lasciandosi
colpire
dai
potenti
ganci
di
Foreman,
facendo
sfogare
tutta
la
rabbia
e la
forza
del
giovane
campione,
quasi
senza
opporre
resistenza.
Lo
fa
sfiancare,
incassando
una
quantità
di
pugni
sovrumani,
non
senza
stuzzicare
a
parole
il
suo
rivale,
incitandolo
in
continuazione
a
colpire
più
forte,
più
duro,
ad
aumentare
insomma
l’intensità
dei
suoi
pugni.
In
questo
sottile
gioco
mentale,
Ali,
senza
colpire
Foreman,
costruisce
una
posizione
di
dominanza
psicologica
assoluta,
in
una
specie
di
corrida
pugilistica,
di
partita
a
scacchi
giocata
con
i
guantoni.
I
primi
round
sono
tutti
per
George,
Muhammad
sembra
finito,
eppure
già
alla
metà
del
quinto
round
il
campione
inizia
a
dare
i
primi
segnali
di
stanchezza.
“Cade”
sui
colpi,
non
riesce
più
a
essere
incisivo,
ed è
in
quel
momento
che
Ali,
inizia
a
rianimarsi
e a
colpire
il
suo
rivale.
Il
pubblico
è in
visibilio
e
alza
potente
il
grido
di
incitamento
per
lo
sfidante:
“Ali
boma
ye,
Ali
boma
ye”
ovvero
“Ali
uccidilo,
Ali
uccidilo”.
Alla
metà
dell’ottavo
round
ormai
sembra
palese
che
la
fine
di
Foreman
è
vicina:
una
serie
di
diretti
aprono
la
guardia
del
campione
e un
destro
lo
fulmina,
facendolo
vacillare.
Ali
potrebbe
doppiare
il
colpo
e
annichilire
ulteriormente
Foreman,
ma
lascia
il
suo
avversario
crollare
in
terra
sfinito,
come
una
montagna
che
si
sgretola
lentamente,
più
che
franare.
Ali
è
consapevole
che
Foreman
è
finito
e
nonostante
il
campione
cerchi
di
rialzarsi,
l’esito
appare
scontato.
Il
knock
out
è
risolutivo,
George
Foreman
non
si
rialza
e
Ali
è il
nuovo
campione.
Un
incontro
sospeso
fra
mito
e
leggenda,
arricchito
da
una
serie
di
aneddoti
al
limite
del
paranormale:
poco
dopo
la
fine
dell’incontro
incominciò
la
stagione
delle
piogge
africane
e
gli
stessi
spogliatoi
dello
stadio
a
poche
ore
dopo
si
allagarono.
Foreman
dopo
deliranti
accuse
contro
l’entourage
di
Ali
e
due
successivi
anni
di
depressione
iniziò
a
metabolizzare
la
sconfitta,
sfruttando
quel
match
per
intraprendere
un
percorso
religioso
e
diventare
un
uomo
migliore
e
molto
più
affabile.
Il
nuovo
campione
del
mondo
quella
notte
non
dormì
neanche
un’ora
e la
mattina
seguente
accolse
festante
tutti
i
fan
africani
accorsi
a
celebrarlo.
Ali,
in
un
momento
di
estrema
commozione,
ha
tessuto
un
elogio
degli
africani,
paragonandoli
agli
afro-americani,
che
secondo
lui
erano
invece
diventati
troppo
simili
ai
“bianchi”,
assorbendone
i
costumi
in
maniera
degenere
e
perdendo
quella
franchezza
e
quel
“cuore”
che
invece
avevano
mantenuto
i
veri
figli
dell’Africa.
Ecco
perché
The
rumble
in
the
jungle
non
è
stato
solo
un
grande
incontro
di
pugilato.