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N. 81 - Settembre 2014 (CXII)

la decisiva riforma culturale di Alfredo il grande

ridefinizione di un regno
di Silvia Mangano

 

Ora che il suo regno poteva considerarsi stabile e al sicuro, Alfredo sentì la necessità di riformare il Wessex al proprio interno. Il raggiungimento della Sapienza cristiana (sapientia) fu l’obiettivo di tutta la sua vita, tanto da paragonare più volte nelle sue opere il raggiungimento della conoscenza con la pratica della caccia. Nella sua famosa prefazione alla Regula Pastoralis di Gregorio Magno, si lamentava del pessimo stato dell’educazione nel Wessex utilizzando proprio una metafora simile. Parlando dei libri che i laici non potevano leggere per colpa dell’analfabetizzazione molto diffusa tra gli uomini del suo tempo, Alfredo dichiarava: “Possiamo vedere le tracce, ma non possiamo seguirle, andando a perdere in un colpo solo il benessere e la sapienza, perché non vogliamo piegarci a osservare le tracce”. La stessa similitudine appare nella prima traduzione di Boezio in un capitolo colmo di metafore. Più in là negli anni, al momento della redazione della Vita (893), Alfredo lamenta l’abissale declino della scuola, tanto che “quando aveva la giusta età, il tempo e la capacità di imparare, non aveva gli insegnanti”.

 

L’iperbolica rappresentazione di Asser non va tuttavia interpretata come una pura invenzione stilistica: possiamo immaginare che alla corte del padre di Alfredo nessun nobile parlasse latino e che la formazione dei giovani principi dovesse vertere più che altro sui rudimenti di scrittura e lettura della lingua vernacolare. Una spia al riguardo ci viene data dallo stesso Asser, che nel capitolo 23 riporta il racconto di una sfida lanciata dalla madre: chiunque fosse riuscito a imparare più velocemente un libro di poesia, lo avrebbe ricevuto in regalo.

 

“Qua voce, immo divina inspiratione, instinctus <Ælfredus>, et puchritudine principalis litterae illius libri illectus, ita matriu respondens, et fratres suos aetate, quamvis non gratia, seniores anticipano, inquit: 'Verene dabis iustum librum uni ex nobis, scilicet illi, qui citissime intelligere et recitare eum ante te possit?'. Ad heac illa, arridens et gaudens atque affirmas: 'Dabo', infit, 'illi'. Tunc ille statim tollens librum de manu sua, magistrum adiit et legit. Quo lecto, matri et recitavit”.

 

Questa semplice storia fu utilizzata da Asser per diversi motivi: da una parte aveva bisogno di descrivere l’amore che Alfredo nutrì fin dalla gioventù per lo studio, così da sottolineare l’innata superiorità del piccolo principe rispetto ai suoi fratelli maggiori; ma anche per prefigurare la riforma che avrebbe portato avanti durante il suo regno.

 

Alfredo era convinto che uno dei motivi principali che aveva causato l’iniziale vittoria dei vichinghi fosse la punizione divina per la debolezza morale e spirituale degli anglosassoni; spinto da questa convinzione, intraprese una vera e propria opera di revisione e correzione della vita religiosa e dell’istruzione.

 

L’immagine del re devoto, rispettoso delle leggi cristiane, dedito alle arti e quella del re guerriero, che combatte contro i pagani e conquista le terre dei suoi vicini con le armi o con la diplomazia, sembrano incompatibili ai nostri occhi moderni; ciò nonostante queste due idee di regalità trovarono il modo di coesistere nel re anglosassone e, a volte, di agire contemporaneamente.

 

La vita di Alfredo poteva essere messa a confronto con quella del re Davide e la propaganda reale aveva tutto l’interesse affinché le due figure venissero identificate, ma c’era chi, come Asser, lo paragonava anche a Salomone, “qui primitus, despecta omni praesenti gloria et divittis, sapientiam a Deo deposcit, et etiam utramque invenit, sapientiam scilicet et praesentem gloriam”.

 

Negli anni Ottanta del nono secolo, Alfredo intraprese un ambizioso programma di rinascita culturale: dapprima reclutò studiosi tra le fila del clero della Mercia, della Francia e del Galles, e li impiegò per istruire chi deteneva una qualche autorità (dalla gerarchia ecclesiastica alla nobiltà laica) e per tradurre in lingua vernacolare tutte quelle opere in latino “che ogni uomo dovrebbe conoscere”; il passo successivo fu la compilazione di una dettagliata cronaca, che descrivesse la storia del Wessex e le imprese della casata degli Egbertings, a cui apparteneva Alfredo; infine il vasto programma comprendeva la redazione scritta di un codice di leggi.

 

In questo capitolo tratteremo di quello che viene definito “il rinascimento alfrediano”, in cui “la maggior parte degli aspetti intellettuali della cultura anglosassone sono derivati più che originali, pratici più che creativi. […] La stessa prosa di re Alfredo è più efficace che letteraria, più pratica che esteticamente apparente”.

 

Le grandi invasioni vichinghe avevano mutato profondamente la società, prima con le devastazioni e poi con l’insediamenti nel Danelaw. Se pensiamo a tutte le biblioteche che andarono distrutte durante i saccheggi nei monasteri, possiamo immaginare quante opere della cultura anglosassone andarono perdute e a quanti centri culturali dell’Inghilterra dell’epoca scomparirono, come per esempio accadde a York, città natale di Alcuino. Oltretutto, l’insediamento dei vichinghi nella parte centro-orientale dell’isola era diventato un vero e proprio melting pot, dove era inevitabile una fusione – se non culturale, almeno linguistica – tra il ceppo scandinavo e quello britannico.

 

Di fronte a questa situazione di declino culturale, il piano di riforma di Alfredo mirava a “far incontrare la cultura “alta”, internazionale, ecclesiastica, col nuovo pubblico non più in grado di comprendere il latino. Educazione della gioventù libera, rifondazione delle strutture ecclesiastiche in funzione politica: sono questi i fini dichiarati da Alfredo. […] Con la sua figura e la sua opera (tanto militare quanto culturale) egli fonda insomma un primo nucleo di “nazione” inglese” (P. Boitani).



 

 

 

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