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N. 83 - Novembre 2014 (CXIV)

la Regula Pastoralis di Gregorio Magno

La traduzione di alfredo il grande - Parte II
di Silvia Mangano

 

Dopo aver riflettuto sul motivo di una mancata traduzione dei testi latini in lingua vernacolare da parte dei suoi predecessori, Alfredo porta come illustre esempio quello della Bibbia e dei Vangeli, tradotta prima dai Greci e poi dai Romani:

 

E pensavo a come la Legge sia prima stata composta in ebraico, e poi, quando i Greci la impararono, la tradussero nella propria lingua, insieme con tutti gli altri libri. E così pure i Romani, da essi istruiti, li tradussero grazie a colti interpreti nella propria lingua. Analogamente, tutte le altre genti cristiane ne prepararono parziali versioni nella propria lingua”.

 

Non sappiamo a quali traduzioni si riferisca, quando parla delle altre traduzioni delle “genti cristiane”. La Bibbia venne tradotta in gotico da Wulfila nel quarto secolo, ma è difficile credere che Alfredo possa esserne a conoscenza. È molto più probabile che fosse a conoscenza di una delle traduzioni che, in quello stesso periodo, venivano redatte per evangelizzare i popoli della Germania del nord. Queste non erano altro che una traduzione in prosa del racconto evangelico (830 ca.), basato sul Diatessaron di Taziano il Siro; un’altra versione dal contenuto simile, ma in metrica, tradotta in antico sassone verso l’830-40; infine una seconda versione in metrica dei vangeli, questa volta tradotti nel dialetto francone renano dal monaco Otfrid di Weissenburg tra l’863 e l’871. Alfredo poteva essere a conoscenza di queste opere grazie a Grimbald e John, due intellettuali provenienti dal continente. I due monaci potrebbero non essersi limitati solo a spiegare i metodi di evangelizzazione dei popoli pagani nella Germania settentrionale, ma potrebbero essere stati loro a suggerire ad Alfredo di intraprendere l’opera di traduzione dei testi più importanti del patrimonio culturale dei secoli passati.

 

Pertanto mi par meglio – se siete dello stesso avviso – che anche noi dobbiamo tradurre nella lingua che tutti noi siamo in grado di capire determinati libri che maggiormente occorre che tutti conoscano e intraprendere tale opera, come saremo facilmente in grado di fare con l’aiuto di Dio, purché godiamo di un periodo di pace sufficientemente lungo da consentire che tutti gli uomini liberi che abbiano il tempo di dedicarvicisi [sic] ora in Inghilterra, possano applicarsi agli studi (purché non siano utili ad altro impiego) fintantoché non siano in grado di leggere l’inglese correttamente. Dopo di che, si può insegnare il latino a coloro che si vogliano avviare all’insegnamento e promuovere agli ordini sacri”.

 

La lettera assume sempre più la forma di un manifesto programmatico, in cui il re spiega ai suoi vescovi il piano di riforma che intende applicare in tutto il regno. I libri “che maggiormente occorre che tutti conoscano” sono essenzialmente quattro: la Regula (o Cura) Pastoralis di Gregorio, il De Consolatione Philosophiae di Boezio, i Soliloqui di Agostino e i primi cinquanta salmi del Salterio. Insieme a questi, vennero tradotte altre opere, di carattere storiografico più che filosofico, che rispecchiano particolarmente il pensiero di Alfredo: Historiarum Adversum Paganos di Orosio e l’Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum di Beda. Tutta la sua vita era stata un continuo contrasto con potenze pagane che cercavano di conquistare il suo regno e distruggere la sua cultura; nel momento della ricostruzione, doveva ripartire dalle fondamenta della civiltà anglosassone e Beda dovette sembrargli un’opera irrinunciabile, che ogni uomo in grado di leggere avesse il dovere di conoscere. Orosio ebbe senz’altro molto successo nell’Alto Medioevo e Alfredo dovette senz’altro identificarsi con il contenuto dell’opera: l’autore ripercorre in sette libri la storia universale focalizzando l’attenzione sul disegno provvidenziale della Storia, comprendendo in esso anche i mali come le invasioni barbariche. In aggiunta a questi, ci sono pervenuti altri scritti in prosa che gli storici identificano facenti parte del programma educativo di Alfredo.

Sorprende, inoltre, la sua volontà di far studiare tutti gli uomini liberi che ne abbiano i mezzi e il tempo. A suo dire, tutti dovrebbero avere accesso alle traduzioni e beneficiare della saggezza contenuta in quelle pagine; quelli che vogliono accedere agli ordini sacri e continuare a studiare, dovranno poi applicarsi nello apprendimento del latino. Solo in questo modo, la sapienza potrà tornare a fiorire in tutto il regno, insieme alla pace e alla prosperità.

 

Riflettendo su come la conoscenza del latino fosse precedentemente declinata in tutta l’Inghilterra, e su come tuttavia molti riuscissero comunque a leggere cose scritte in inglese, in mezzo alle varie e molteplici afflizioni di questo regno, cominciai poi a tradurre in inglese il libro che in latino porta il titolo di Pastoralis, in inglese Libro del Pastore, talora parola per parola, tal’altra riproducendo il senso generale, come ho imparato da Plegmond, mio arcivescovo, e da Asser, mio vescovo, e da Grimbald, mio sacerdote e da Giovanni [il Sassone], mio sacerdote”.

 

Dopo aver introdotto l’oggetto della lettera e aver presentato l’opera, Alfredo ci offre le prime notizie di carattere epistemologico. Ci troviamo di fronte a un libro tradotto in parte pedissequamente, “parola per parola”, e in parte seguendo il senso generale del discorso. L’espressione “tal’altra riproducendo il senso generale” viene citata più volte nelle traduzioni alfrediane ed è una citazione ripresa da Gregorio Magno, che recita “rogo: non verbum ex verbo sed sensum ex sensu transferte”. La logica dietro a questo tipo di traduzione è molto facile da comprendere: puntando all’utilità del testo, Alfredo si trovò davanti ad alcuni termini, exempla o topos, intraducibili o poco comprensibili, se riportati alla lettera, per il pubblico di lettori anglosassoni. Attraverso il connubio di efficacia e praticità, scelse un tipo di traduzione “fluida”, che gli permettesse di veicolare più facilmente quei messaggi che voleva trasmettere. Prima di essere un letterato, Alfredo era anzitutto un politico. Un politico molto astuto, poiché poche righe prima ha chiamato in causa la Legge: sappiamo che la traduzione dei Settanta e quella di san Girolamo in molte parti non era strictissimu sensu, ma in alcuni punti si era preferito utilizzare espressione più confacenti per la cultura che si apprestava a riceverne il messaggio.

 

E dopo aver studiato, l’ho tradotto in inglese come meglio lo capivo e come meglio potevo renderne il significato: ho in pectore di mandarne una copia a ciascun vescovato del mio regno, e su ciascuna copia ci sarà un æstel del valore di cinquanta mancuse. E nel nome di Dio, ordino che nessuno asporti questo distintivo dal libro, né il libro dalla Chiesa. Non si sa per quanto tempo vi saranno vescovi tanto dotti quali, grazie a Dio, sono ora in carica quasi ovunque. Pertanto desidererei che essi (libro e æstel) siano sempre al proprio posto, a meno che il vescovo non desideri tenere con sé il libro o che qualcuno sia impegnato a copiarlo”.

 

Il prologo in prosa si conclude in questo modo, con la raccomandazione a non rimuovere il libro dalle sedi episcopali in cui si trova, se non per esplicito desiderio del vescovo. È interessante pensare che Alfredo abbia inviato la Regula a ogni vescovo del suo regno, infatti la stesura di un manoscritto di quel tipo non solo richiedeva molto tempo e fatica, ma era anche costosissimo. Ma dietro la sua scelta si nascondevano motivi personali e pratici: il manuale di Gregorio era ciò che serviva per una “restaurazione spirituale” del suo episcopato; oltretutto, Alfredo si identificava in un certo qual modo con il Papa stesso, soprattutto per la vita contemplativa che entrambi si sforzarono di coltivare nonostante gli impegni dei loro uffici. Alfredo era devoto a Gregorio anche per la malattia che li accumunava. Beda racconta “che egli abbia potuto scrivere tanti libri di tale importanza è ancor più incredibile se si pensa che per quasi tutti i suoi anni migliori, per dirla con le sue stesse parole, fu tormentato da terribili dolori interni, fu fiaccato senza sosta da debolezza di ventre, soffrì di febbri non acute ma continue”.

 

Per Alfredo, la Regula era un libro che doveva servire ai nobili laici quanto ai vescovi. Dal suo punto di vista, tutte le autorità – spirituali o secolari – derivavano da Dio, così i re, gli ealdorman e i thegns avevano le stesse responsabilità di vescovi e presbiteri e come questi ultimi dovevano dimostrare la loro adesione e osservanza della legge di Dio ai loro sottoposti.

 

Sarebbe davvero interessante affrontare il discorso riguardante l’intero testo della Regula e la sua traduzione anglosassone, tuttavia servirebbe una mole di spazio e una competenza linguistico-filologica di cui noi non disponiamo.

 

A ogni modo, la prefazione da noi analizzata è il punto focale dell’opera e la sua chiave di lettura. La lettera inaugura il programma di restaurazione culturale ideato e spiegato da Alfredo in persona, la riforma che comprende tutti i sudditi, senza esclusioni, avrà effetto su tutta la struttura del regno, compreso l’apparato giuridico, come avremo modo di vedere più avanti.



 

 

 

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