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N. 83 - Novembre 2014 (CXIV)

ALFREDO IL GRANDE
parte iII - gli anni della guerra (869-879)

di Silvia Mangano

 

Nella prima metà del IX secolo, prima della nascita di Alfredo, i regni più importanti e prosperi in Inghilterra erano quattro: Northumbria, Mercia, East Anglia e Wessex. Tra gli anni 869-879, la Northumbria, la Mercia e l’East Anglia caddero sotto le armi vichinghe e le loro casate reali si estinsero. Alla fine del secolo rimaneva soltanto un regno e una famiglia reale, e tutto questo è dovuto al genio politico e militare di Alfredo.

 

Bisogna considerare che i due eserciti erano molto simili fra loro per quanto riguarda le tecnologie e le tattiche e, come ben dimostra la storia, la superiorità numerica non sempre era garanzia di vittoria assicurata.

 

Per comprendere meglio le dinamiche di guerra, sentiamo la necessità di un breve excursus riguardo all’equipaggiamento e alle tattiche belliche di quell’epoca.

 

Da entrambe le parti, il guerriero comune era armato di una lancia leggera di legno di frassino, la cui lunghezza poteva oscillare da 1,8 a 2,4 metri, che aveva all’estremità una punta di ferro a forma di foglia. Sul braccio sinistro portava uno scudo rotondo, che poteva essere piatto o leggermente concavo e che lo proteggeva dalla spalla fino alla coscia. Lo scudo era fatto di legno, a volte rivestito di pelle e rinforzato con una banda di ferro attorno al bordo, e al centro era applicata una borchia di ferro che proteggeva l’impugnatura sottostante. I guerrieri di status più elevato, anglosassoni o vichinghi, si distinguevano perché oltre alla lancia possedevano anche una o più spade.

 

Quelle dell’età di Alfredo erano forgiate con lame a doppio taglio, lunghe 90 centimetri al massimo, finemente decorate sul manico e sui pomelli. I più ricchi potevano anche permettersi una byrnie (cotta di maglia) e semplici elmetti a forma conica, muniti di protezione per il naso. Purtroppo quello dei vichinghi armati di ascia da guerra è un mito da sfatare, come quello dell’utilizzo in modo massiccio di arcieri da parte di entrambi gli eserciti.

 

La formazione di battaglia più comune era il cosiddetto “muro di scudi”, in cui i soldati chiudevano i ranghi in preparazione dell’attacco o della difesa allineandosi spalla a spalla. Le tattiche belliche erano decisamente rudimentali e di solito i due eserciti si fronteggiavano in campo aperto. Prima della battaglia, si lanciava una raffica di lance verso lo schieramento nemico, poi ci si disponeva in formazione e si attaccava. In un tale tipo di battaglia, avere armi appuntite poteva assicurare la sopravvivenza del guerriero, per questo nel caso di perdita della propria lancia si utilizzavano anche il mazzapicchio, le spade o gli stessi scudi.

 

Una battaglia poteva essere considerata conclusa (e vinta) quando una delle due parti riusciva a rompere i ranghi dell’altra e a far scappare l’avversario, lasciando il campo di battaglia, i morti e i loro equipaggiamenti alla mercé dei vincitori.

 

Dopo l’episodio di Nottingham, i capi vichinghi Ivar e Ubbi si recarono nell’East Anglia, dove uccisero crudelmente il re Edmund, poi santificato dalla Chiesa Romana come martire della fede. L’esecuzione brutale del re fu duramente recriminata ai danesi, ma ciò non gli impedì di conquistare tutto l’East Anglia entro la fine dell’anno e di muovere contro il Wessex nell’870.

 

Si erano spinti fino al Berkshire e avevano conquistato la fortezza reale di Reading. La città era il centro amministrativo di tutta la regione e perderla fu un duro colpo per il re, perché da quel momento avrebbe fornito ingenti provviste e rifornimenti di ogni tipo al nemico. Reading divenne la base da cui gli invasori partivano per depredare i monasteri vicini e per conquistare a poco a poco tutte le regioni del Wessex.

 

Æthelwulf, l’ealdorman del Berkshire, e il re Æthelred non persero tempo e, mentre il secondo chiamava a raccolta tutte le forze di cui disponeva, il primo marciava e attaccava l’esercito di predoni di stanza a Englefield. Dopo questa prima, vittoriosa schermaglia, il fyrd del Wessex si preparò all’assedio di Reading. Questa volta la sorte arrise ai danesi, i quali attesero il momento giusto per attaccare le forze, ormai demotivate, dell’ealdorman e del re e li sconfissero, costringendo Æthelred e Alfredo a fuggire. Æthelwulf fu trovato tra i morti e riportato in gran segreto nella sua terra natia, in Mercia.

 

Quattro giorni dopo le due armate si scontrarono nuovamente, questa volta in campo aperto, ad Ashdown. Le motivazioni che spinsero l’esercito del Wessex sono intuibili e spiegate dallo stesso Asser: «Quo dolore et verecundia Christiani commoti, iterum post quatuor dies contra praefatum exercitum in loco, qui dicitur Æscesdun […], totis viribus et plena voluntate ad proelium prodeunt».

 

Sono piuttosto le motivazioni dell’esercito vichingo a essere meno chiare: un’armata vittoriosa, che quattro giorni prima aveva prevalso così energicamente contro gli anglosassoni, non avrebbe avuto motivo di sfidarli di nuovo in campo aperto. È probabile che la vittoria riportata a Reading e il bisogno di cibo e foraggio per i cavalli costituirono un mix mortale di baldanza e necessità, che li spinse a scendere nell’arena. Agli occhi di Bacgsecg e Halfdan, Reading era solo il primo avamposto della conquista: le truppe dei Sassoni Occidentali, ormai demoralizzate, sarebbero cadute sotto la spinta incalzante dei danesi e il Wessex sarebbe stato soggiogato con la stessa facilità della Northumbria e dell’East Anglia.

La Storia ha dimostrato che si sbagliavano.

 

La fonti per la battaglia sono, come al solito, la Cronaca e la Vita, ma la storiografia che studia la storia del popolo danese utilizza fonti primarie di area vichinga per la narrazione dello scontro; ciò significa che la battaglia di Ashdown, per la sua importanza, venne inglobata nel corpus di tradizioni orali del nord Europa. Asser sfrutta ben tre capitoli per descrivere il combattimento e la terminologia scelta rivela, come uno specchio tornasole, che siamo di fronte a una guerra santa, in cui Dio prende parte e si schiera con i custodi della vera fede.

 

Il capitolo 37 introduce la battaglia descrivendo l’arrivo dei vichinghi e la scelta tattica di dividersi in due divisioni di identiche dimensioni, i già accennati scildweall (muro di scudi). Il comando di un battaglione venne affidato ai due re, l’altro ai numerosissimi jarls presenti, cosicché anche le armate anglosassoni si dividessero in due (una comandata dal re Æthelred, l’altra da Alfredo). La descrizione è speculare nella Cronaca, senonché il biografo aggiunge un particolare che assicura aver sentito da «voci veritiere e autorevoli»: all’arrivo di Alfredo sul campo di battaglia, il giovane secondarius non trovò il fratello, perché ancora occupato a partecipare alla Messa. Æthelred aveva fermamente dichiarato «che non avrebbe lasciato quel posto da vivo prima che il sacerdote non avesse terminato la Messa e che non avrebbe abbandonato il servizio divino per quello degli uomini». Asser conclude: «la fede del re cristiano fu molto gradita agli occhi di Dio, come sarà mostrato chiaramente da quanto segue».

 

Le truppe di Alfredo erano schierate, ma attendevano l’arrivo del re. A quanto ci racconta Asser, forse solo per gettare in cattiva luce gli avversari, Bacgsecg e Halfdan decisero di attaccare senza attendere l’arrivo di Æthelred; a questo punto, il biografo inquadra l’attenzione sul giovane principe, che incerto se attaccare temporeggiava il più possibile rassicurando le truppe. Alla fine, come un «cinghiale selvatico», Alfredo «supportato dal divino consiglio e rafforzato dall’aiuto divino, dopo aver ordinato all’esercito di mettersi in formazione, si mosse senza indugio contro il nemico».

 

«A questo punto è necessario chiarire a coloro che non sono informati sui fatti, che il campo di battaglia non era ugualmente vantaggioso per entrambe le parti. I vichinghi erano arrivati prima e avevano occupato una posizione rialzata, mentre i cristiani si erano schierati più in basso». Ciò nonostante, «per giudizio divino», i pagani non riuscirono a resistere alla spinta cristiana e caddero sotto l’esercito di Alfredo e di Æthelred. Alla fine della battaglia, «migliaia» di corpi morti giacevano sulla prateria tra cui re Bagsecg e i jarl Sidroc il Vecchio, Sidroc il Giovane, Osbern, Fræna e Harald.

 

Jones prosegue il racconto: «i Danesi, pur avendo vinto la maggior parte delle battaglie, si dichiararono disposti a una tregua, dopo di che trassero lo sforzo contro la Mercia. Ma l’avvenimento più importante di quell’anno non fu né la battaglia né la tregua».

 

La Cronaca riporta che, qualche tempo dopo Pasqua (15 Aprile), il re Æthelred morì, lasciando la corona non al primogenito troppo piccolo per governare, bensì al fratello Alfredo. Asser specifica che Alfredo «assunse il governo dell’intero regno non appena il fratello morì, con l’approvazione divina e secondo l’unanime desiderio di tutti gli abitanti del regno». Che Alfredo potè usufruire del supporto del witan di suo fratello è confermato dalla firma dei membri nelle prime carte di Alfredo (871-877). In poche parole, il cerchio ristretto attorno al re rimase invariato per alcuni anni, eccezion fatta per gli ealdorman merciani uccisi dai vichinghi o quelli che avevano tradito dopo gli eventi della «Twelfth Night».

 

L’accenno alla volontà divina indica che un qualche movimento di protesta per la successione deve pur esserci stato. Probabilmente il motivo va ricercato non tanto nel momento della successione vero e proprio, quanto negli anni in cui Asser scrive, cioè tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta del IX secolo; i più scontenti dovevano essere quasi sicuramente i figli di Æthelred, ormai cresciuti abbastanza per nutrire risentimento al pensiero che il trono fosse ancora nelle mani dello zio. Così il capitolo 42 diventa un manifesto di propaganda regale dove Alfredo è considerato «il più saggio tra i suoi fratelli» e piacevole in tutte le sue maniere, «in particolare perché era un grande guerriero, vittorioso praticamente in tutte le battaglie».

 

Il commento di Stevenson è laconico, ma esplicativo: «This is a paraphrase of the Chronicle, with amplifications. The author is responsible for the statement that Alfred might have been king instead of his brother. In his confused manner he states as the grounds for this assertion that Alfred excelled all his brothers in wisdom, although at the time he is referring to all his brothers except Æthelred were dead». Questa descrizione topica di Alfredo può sussistere ed essere comprensibile solo se la si prende in considerazione con il senno di poi; infatti nessuno avrebbe mai potuto scommettere sul giovane re, che in quegli anni era anche afflitto dalla malattia di cui abbiamo parlato e che non era sempre riuscito a difendere il suo regno come ci si aspettava.

 

Il primo banco di prova del novello re fu la battaglia di Wilton. Lo scontro fu un vero e proprio tira e molla, che solo alla fine si concluse con una clamorosa sconfitta da parte delle truppe sassoni. In questo caso, la vittoria venne decisa dai numeri: la Cronaca riporta che a fronteggiarsi erano un piccolo fyrd (esercito) radunato da Alfredo e l’intera armata dei vichinghi. Sebbene si possa dubitare che a Wilton venne radunato «l’intero» esercito danese, non stupisce che Alfredo disponesse soltanto di un piccolo esercito: i fyrds non erano una massa sparpagliata di persone armate, ma un esercito in piena regola, addestrato per combattere a fianco del re, radunato e composto dai thegns del regno. Dunque i numeri erano molto limitati e i continui combattimenti non potevano far altro che livellarne la quantità.

 

Alfredo fu costretto a venire a patti con i vichinghi: gli garantì un’ingente somma di denaro in cambio della pace. Abels non ha tutti i torti quando commenta la scelta di Alfredo in questi termini: «Purchasing peace was often an eminently sensible solution to an immediate viking problem. In the summer of 871 Alfred chose to be pragmatic. He had tried war, and that route had failed. He now either “made peace” or faced the distinct the possibility that Wessex would go the way of Northumbria and East Anglia»; infatti questi danesi assomigliavano molto più a pirati che alle eroiche figure descritte nelle saghe vichinghe. Gli obiettivi che prediligevano erano i monasteri, perché sguarniti di soldati e ricchi di tesori e furono proprio questi i primi a essere attaccati quando dopo la pace con il Wessex si ritirarono in Mercia.

 

La Cronaca riporta telegraficamente che negli anni a venire (871-874) i danesi si allargarono a macchia d’olio per tutto il territorio della Mercia, costringendo il re Burgred a «siglare la pace» con loro. Alla fine, nell’874, il re merciano decise di abdicare e di ritirarsi con sua moglie, la sorella di Alfredo, a Roma per pregare e chiedere perdono per i propri peccati. Morirono in Italia qualche tempo dopo: Æthelswith a Pavia (888), Burgred a Roma, dove venne sepolto in una chiesa del quartiere sassone. Per fronteggiare la vacanza del trono, i nobili merciani furono costretti ad assecondare i vichinghi e a nominare come reggente Ceolwulf, «a foolish king’s thegn […] at the service of raiding-army».

 

Nell’875 le truppe avversarie si divisero: re Halfdan si diresse verso la Northumbria, vi svernò e, con l’avvento della buona stagione, iniziò a far guerra contro i Pitti e i Gallesi dello Strathclyde per assicurarsi la frontiera settentrionale; mentre i re Guthrum, Oscytel e Anund si trasferirono a Cambridge, nell’East Anglia. A questo punto il cronista racconta che, nell’estate di quello stesso anno, Alfredo salpò con la flotta e sconfisse sette navi da carico danesi, ma dell’attività del re negli anni che intercorsero tra Wilton e questa battaglia non abbiamo molte notizie.

 

Dopo aver occupato Wareham, una fortezza nel Dorset appartenente alla corona, i danesi strinsero di nuovo accordi con Alfredo. Incapace di sottometterli con le armi, cercò di trovare un punto di incontro, un cerimoniale o rituale che potesse in qualche modo vincolarli. La Cronaca riferisce proprio di uno scambio di ostaggi e di un giuramento sul «sacro anello».

 

Il giuramento sacro giocava un ruolo molto importante nella diplomazia anglosassone del nono secolo. Pronunciare voti su un oggetto considerato sacro (per esempio reliquie) faceva scendere in campo forze ben più potenti di un re, chiamare Dio a testimoniare un giuramento costituiva garanzia di adempimento del patto.

 

Pagare una certa somma di denaro e scambiare ostaggi si era dimostrato insufficiente per il mantenimento della pace, così Alfredo aveva dovuto ricorrere a uno stratagemma più convincente. L’idea di vincolare i vichinghi con «catene soprannaturali» poteva essere una soluzione alla loro riluttanza nel rispettare i patti, ma farli giurare su reliquie cristiane non avrebbe avuto valore ai loro occhi e sarebbe stato completamente inutile.

 

Alfredo aveva bisogno di qualcosa che fosse sacro agli occhi dei danesi, per questo scelse l’armilla sacra, un bracciale che la tradizione pagana associava al culto di Thor. Immaginiamo dunque l’imbarazzo di Asser quando dovette sostituire il termine «holy ring», utilizzato nella Cronaca, con la ben più lunga perifrasi in latino «reliquiis, quibus ille rex maxime post Deum confidebat». Ciononostante, lo stratagemma fallì.

 

È impossibile stabilire per quali ragioni il giuramento non si rivelò vincolante per l’esercito di Guthrum, ma è probabile che questo tipo di accordi non avessero lo stesso valore nella Danimarca di quei secoli.

 

Intanto, nelle regioni della Northumbria e della Mercia orientale, Halfdan era tornato a reclamare ciò che gli spettava «di diritto»: tre anni prima aveva affidato la reggenza del regno a Ceolwulf, ora il re danese aveva diviso i territori in due grandi metà e aveva deciso di premiare l’ex-reggente con una di queste, mentre l’altra era stata smembrata e divisa tra i vari jarls di Halfdan, «and together with his army cultivated the land». Le contee dello Yorkshire, di Nottingham, di Lincoln, di Derby e di Leicester cessarono di far parte del regno politico d’Inghilterra, e quelli che un tempo erano stati predoni, ora erano diventati coloni.

 

I giuramenti sacri non impedirono a Guthrum di attaccare per ben due volte il Wessex, venendo però efficacemente contrastato. Ma nei primi giorni di Gennaio («after Twelfth Night»), i danesi sferrarono un attacco notturno contro la residenza reale di Chippenam, costringendo Alfredo e le sue truppe a scappare e a rifugiarsi nell’isola di Athelney (Somerset).

 

Il fatto che fosse un’isola paludosa, costellata di acquitrini e piscinette d’acqua putrida, molto umida e con una fitta vegetazione boschiva, e che si potesse raggiungere soltanto tramite navigazione, la rendeva il rifugio ideale per un esercito in fuga.

 

Questi mesi furono, con tutta probabilità, i più difficili di tutto il lungo regno di Alfredo e la sua tempra venne messa a dura prova più di una volta: prima di tutto per le condizioni di sopravvivenza a cui era costretto, tanto da dover rendere necessaria la razzia per continuare a rifornire le truppe; in secondo luogo, per le defezioni che dovette affrontare nelle fila di quelli che al momento della sua incoronazione si dichiaravano sostenitori e fedeli compagni d’arme.

 

Con un piccolo contingente iniziò a portare avanti azioni di disturbo contro i vichinghi e, col passare delle settimane, formò un vero e proprio fronte anti-danese grazie all’afflusso di uomini dal Somerset, dal Wiltshire e dallo Hampshire. Sette settimane dopo Pasqua, si sentì forte a sufficienza per attaccare Guthrum, che in quel periodo si trovava a Edington, «and there fought against the whole raiding-army, and put it to flight, and rode after it as far as the fortification». L’assedio della fortezza di Chippenam durò ben quattordici giorni, al termine dei quali Alfredo e Guthrum vennero a patti.

 

Il trattato di Wedmore prevedeva la ritirata dei danesi dal Wessex e l’accettazione del battesimo da parte di Guthrum. Tre settimane dopo, il re danese e trenta dei suoi uomini migliori si recarono ad Allen, vicino ad Athelney, e ricevettero il battesimo. Alfredo impose a Guthrum la paternità spirituale, ribattezzandolo con il nome «Æthelstan» e stabilendo così una presunta superiorità politico-spirituale, e per i dodici giorni successivi alla deposizione dell’abito battesimale lo ospitò nella propria residenza di Wedmore. Dopo le festività, Guthrum tenne fede alle sue promesse e abbandonò Chippenam, spostandosi nei territori appartenenti al suo vassallo Ceolwulf II, finchè nell’880 non si allontanò anche da Cirencester per tornare in East Anglia e stabilirsi lì.

 

Il trattato di Wedmore diede modo di ridisegnare l’assetto geopolitico dell’Inghilterra: la Mercia, dopo la deposizione di Ceolwulf II, venne smembrata e divisa in due parti seguendo il confine naturale del Tamigi-Lea, la parte occidentale venne incorporata nel regno di Alfredo, quella orientale passò sotto la giurisdizione di Guthrum e divenne parte del regno dell’East Anglia.

 

Questa porzione di Inghilterra orientale costituiva il nocciolo del futuro Danelaw, chiaramente distinguibile dal resto dell’Inghilterra quanto a linguaggio e costumi. I successivi re inglesi si trovarono sempre nella situazione di non poter riconquistare, ma di dover contenere e, tutt’al più, ridurre il regno anglodanese e, fino al termine del periodo vichingo, i monarchi e i legislatori anglosassoni (o anglonormanni) furono costretti a riconoscere la separazione e le particolari condizioni dell’Inghilterra danese.

 

Alfredo non smise di combattere contro i vichinghi (soprattutto quelli che provenivano dalla Danimarca), per questo gli equilibri scaturiti da Wedmore sono considerati frutto di una «pace imperfetta»; ma la sostanziale stabilità politica di cui godé il Wessex negli anni successivi permise ad Alfredo di iniziare quell’opera di riforma che fece di lui il re anglosassone più importante della storia inglese.



 

 

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