N. 83 - Novembre 2014
(CXIV)
ALFREDO IL GRANDE
parte iII - gli anni della guerra (869-879)
di Silvia Mangano
Nella
prima
metà
del
IX
secolo,
prima
della
nascita
di
Alfredo,
i
regni
più
importanti
e
prosperi
in
Inghilterra
erano
quattro:
Northumbria,
Mercia,
East
Anglia
e
Wessex.
Tra
gli
anni
869-879,
la
Northumbria,
la
Mercia
e
l’East
Anglia
caddero
sotto
le
armi
vichinghe
e le
loro
casate
reali
si
estinsero.
Alla
fine
del
secolo
rimaneva
soltanto
un
regno
e
una
famiglia
reale,
e
tutto
questo
è
dovuto
al
genio
politico
e
militare
di
Alfredo.
Bisogna
considerare
che
i
due
eserciti
erano
molto
simili
fra
loro
per
quanto
riguarda
le
tecnologie
e le
tattiche
e,
come
ben
dimostra
la
storia,
la
superiorità
numerica
non
sempre
era
garanzia
di
vittoria
assicurata.
Per
comprendere
meglio
le
dinamiche
di
guerra,
sentiamo
la
necessità
di
un
breve
excursus
riguardo
all’equipaggiamento
e
alle
tattiche
belliche
di
quell’epoca.
Da
entrambe
le
parti,
il
guerriero
comune
era
armato
di
una
lancia
leggera
di
legno
di
frassino,
la
cui
lunghezza
poteva
oscillare
da
1,8
a
2,4
metri,
che
aveva
all’estremità
una
punta
di
ferro
a
forma
di
foglia.
Sul
braccio
sinistro
portava
uno
scudo
rotondo,
che
poteva
essere
piatto
o
leggermente
concavo
e
che
lo
proteggeva
dalla
spalla
fino
alla
coscia.
Lo
scudo
era
fatto
di
legno,
a
volte
rivestito
di
pelle
e
rinforzato
con
una
banda
di
ferro
attorno
al
bordo,
e al
centro
era
applicata
una
borchia
di
ferro
che
proteggeva
l’impugnatura
sottostante.
I
guerrieri
di
status
più
elevato,
anglosassoni
o
vichinghi,
si
distinguevano
perché
oltre
alla
lancia
possedevano
anche
una
o
più
spade.
Quelle
dell’età
di
Alfredo
erano
forgiate
con
lame
a
doppio
taglio,
lunghe
90
centimetri
al
massimo,
finemente
decorate
sul
manico
e
sui
pomelli.
I
più
ricchi
potevano
anche
permettersi
una
byrnie
(cotta
di
maglia)
e
semplici
elmetti
a
forma
conica,
muniti
di
protezione
per
il
naso.
Purtroppo
quello
dei
vichinghi
armati
di
ascia
da
guerra
è un
mito
da
sfatare,
come
quello
dell’utilizzo
in
modo
massiccio
di
arcieri
da
parte
di
entrambi
gli
eserciti.
La
formazione
di
battaglia
più
comune
era
il
cosiddetto
“muro
di
scudi”,
in
cui
i
soldati
chiudevano
i
ranghi
in
preparazione
dell’attacco
o
della
difesa
allineandosi
spalla
a
spalla.
Le
tattiche
belliche
erano
decisamente
rudimentali
e di
solito
i
due
eserciti
si
fronteggiavano
in
campo
aperto.
Prima
della
battaglia,
si
lanciava
una
raffica
di
lance
verso
lo
schieramento
nemico,
poi
ci
si
disponeva
in
formazione
e si
attaccava.
In
un
tale
tipo
di
battaglia,
avere
armi
appuntite
poteva
assicurare
la
sopravvivenza
del
guerriero,
per
questo
nel
caso
di
perdita
della
propria
lancia
si
utilizzavano
anche
il
mazzapicchio,
le
spade
o
gli
stessi
scudi.
Una
battaglia
poteva
essere
considerata
conclusa
(e
vinta)
quando
una
delle
due
parti
riusciva
a
rompere
i
ranghi
dell’altra
e a
far
scappare
l’avversario,
lasciando
il
campo
di
battaglia,
i
morti
e i
loro
equipaggiamenti
alla
mercé
dei
vincitori.
Dopo
l’episodio
di
Nottingham,
i
capi
vichinghi
Ivar
e
Ubbi
si
recarono
nell’East
Anglia,
dove
uccisero
crudelmente
il
re
Edmund,
poi
santificato
dalla
Chiesa
Romana
come
martire
della
fede.
L’esecuzione
brutale
del
re
fu
duramente
recriminata
ai
danesi,
ma
ciò
non
gli
impedì
di
conquistare
tutto
l’East
Anglia
entro
la
fine
dell’anno
e di
muovere
contro
il
Wessex
nell’870.
Si
erano
spinti
fino
al
Berkshire
e
avevano
conquistato
la
fortezza
reale
di
Reading.
La
città
era
il
centro
amministrativo
di
tutta
la
regione
e
perderla
fu
un
duro
colpo
per
il
re,
perché
da
quel
momento
avrebbe
fornito
ingenti
provviste
e
rifornimenti
di
ogni
tipo
al
nemico.
Reading
divenne
la
base
da
cui
gli
invasori
partivano
per
depredare
i
monasteri
vicini
e
per
conquistare
a
poco
a
poco
tutte
le
regioni
del
Wessex.
Æthelwulf,
l’ealdorman
del
Berkshire,
e il
re
Æthelred
non
persero
tempo
e,
mentre
il
secondo
chiamava
a
raccolta
tutte
le
forze
di
cui
disponeva,
il
primo
marciava
e
attaccava
l’esercito
di
predoni
di
stanza
a
Englefield.
Dopo
questa
prima,
vittoriosa
schermaglia,
il
fyrd
del
Wessex
si
preparò
all’assedio
di
Reading.
Questa
volta
la
sorte
arrise
ai
danesi,
i
quali
attesero
il
momento
giusto
per
attaccare
le
forze,
ormai
demotivate,
dell’ealdorman
e
del
re e
li
sconfissero,
costringendo
Æthelred
e
Alfredo
a
fuggire.
Æthelwulf
fu
trovato
tra
i
morti
e
riportato
in
gran
segreto
nella
sua
terra
natia,
in
Mercia.
Quattro
giorni
dopo
le
due
armate
si
scontrarono
nuovamente,
questa
volta
in
campo
aperto,
ad
Ashdown.
Le
motivazioni
che
spinsero
l’esercito
del
Wessex
sono
intuibili
e
spiegate
dallo
stesso
Asser:
«Quo
dolore
et
verecundia
Christiani
commoti,
iterum
post
quatuor
dies
contra
praefatum
exercitum
in
loco,
qui
dicitur
Æscesdun
[…],
totis
viribus
et
plena
voluntate
ad
proelium
prodeunt».
Sono
piuttosto
le
motivazioni
dell’esercito
vichingo
a
essere
meno
chiare:
un’armata
vittoriosa,
che
quattro
giorni
prima
aveva
prevalso
così
energicamente
contro
gli
anglosassoni,
non
avrebbe
avuto
motivo
di
sfidarli
di
nuovo
in
campo
aperto.
È
probabile
che
la
vittoria
riportata
a
Reading
e il
bisogno
di
cibo
e
foraggio
per
i
cavalli
costituirono
un
mix
mortale
di
baldanza
e
necessità,
che
li
spinse
a
scendere
nell’arena.
Agli
occhi
di
Bacgsecg
e
Halfdan,
Reading
era
solo
il
primo
avamposto
della
conquista:
le
truppe
dei
Sassoni
Occidentali,
ormai
demoralizzate,
sarebbero
cadute
sotto
la
spinta
incalzante
dei
danesi
e il
Wessex
sarebbe
stato
soggiogato
con
la
stessa
facilità
della
Northumbria
e
dell’East
Anglia.
La
Storia
ha
dimostrato
che
si
sbagliavano.
La
fonti
per
la
battaglia
sono,
come
al
solito,
la
Cronaca
e la
Vita,
ma
la
storiografia
che
studia
la
storia
del
popolo
danese
utilizza
fonti
primarie
di
area
vichinga
per
la
narrazione
dello
scontro;
ciò
significa
che
la
battaglia
di
Ashdown,
per
la
sua
importanza,
venne
inglobata
nel
corpus
di
tradizioni
orali
del
nord
Europa.
Asser
sfrutta
ben
tre
capitoli
per
descrivere
il
combattimento
e la
terminologia
scelta
rivela,
come
uno
specchio
tornasole,
che
siamo
di
fronte
a
una
guerra
santa,
in
cui
Dio
prende
parte
e si
schiera
con
i
custodi
della
vera
fede.
Il
capitolo
37
introduce
la
battaglia
descrivendo
l’arrivo
dei
vichinghi
e la
scelta
tattica
di
dividersi
in
due
divisioni
di
identiche
dimensioni,
i
già
accennati
scildweall
(muro
di
scudi).
Il
comando
di
un
battaglione
venne
affidato
ai
due
re,
l’altro
ai
numerosissimi
jarls
presenti,
cosicché
anche
le
armate
anglosassoni
si
dividessero
in
due
(una
comandata
dal
re
Æthelred,
l’altra
da
Alfredo).
La
descrizione
è
speculare
nella
Cronaca,
senonché
il
biografo
aggiunge
un
particolare
che
assicura
aver
sentito
da
«voci
veritiere
e
autorevoli»:
all’arrivo
di
Alfredo
sul
campo
di
battaglia,
il
giovane
secondarius
non
trovò
il
fratello,
perché
ancora
occupato
a
partecipare
alla
Messa.
Æthelred
aveva
fermamente
dichiarato
«che
non
avrebbe
lasciato
quel
posto
da
vivo
prima
che
il
sacerdote
non
avesse
terminato
la
Messa
e
che
non
avrebbe
abbandonato
il
servizio
divino
per
quello
degli
uomini».
Asser
conclude:
«la
fede
del
re
cristiano
fu
molto
gradita
agli
occhi
di
Dio,
come
sarà
mostrato
chiaramente
da
quanto
segue».
Le
truppe
di
Alfredo
erano
schierate,
ma
attendevano
l’arrivo
del
re.
A
quanto
ci
racconta
Asser,
forse
solo
per
gettare
in
cattiva
luce
gli
avversari,
Bacgsecg
e
Halfdan
decisero
di
attaccare
senza
attendere
l’arrivo
di
Æthelred;
a
questo
punto,
il
biografo
inquadra
l’attenzione
sul
giovane
principe,
che
incerto
se
attaccare
temporeggiava
il
più
possibile
rassicurando
le
truppe.
Alla
fine,
come
un
«cinghiale
selvatico»,
Alfredo
«supportato
dal
divino
consiglio
e
rafforzato
dall’aiuto
divino,
dopo
aver
ordinato
all’esercito
di
mettersi
in
formazione,
si
mosse
senza
indugio
contro
il
nemico».
«A
questo
punto
è
necessario
chiarire
a
coloro
che
non
sono
informati
sui
fatti,
che
il
campo
di
battaglia
non
era
ugualmente
vantaggioso
per
entrambe
le
parti.
I
vichinghi
erano
arrivati
prima
e
avevano
occupato
una
posizione
rialzata,
mentre
i
cristiani
si
erano
schierati
più
in
basso».
Ciò
nonostante,
«per
giudizio
divino»,
i
pagani
non
riuscirono
a
resistere
alla
spinta
cristiana
e
caddero
sotto
l’esercito
di
Alfredo
e di
Æthelred.
Alla
fine
della
battaglia,
«migliaia»
di
corpi
morti
giacevano
sulla
prateria
tra
cui
re
Bagsecg
e i
jarl
Sidroc
il
Vecchio,
Sidroc
il
Giovane,
Osbern,
Fræna
e
Harald.
Jones
prosegue
il
racconto:
«i
Danesi,
pur
avendo
vinto
la
maggior
parte
delle
battaglie,
si
dichiararono
disposti
a
una
tregua,
dopo
di
che
trassero
lo
sforzo
contro
la
Mercia.
Ma
l’avvenimento
più
importante
di
quell’anno
non
fu
né
la
battaglia
né
la
tregua».
La
Cronaca
riporta
che,
qualche
tempo
dopo
Pasqua
(15
Aprile),
il
re
Æthelred
morì,
lasciando
la
corona
non
al
primogenito
troppo
piccolo
per
governare,
bensì
al
fratello
Alfredo.
Asser
specifica
che
Alfredo
«assunse
il
governo
dell’intero
regno
non
appena
il
fratello
morì,
con
l’approvazione
divina
e
secondo
l’unanime
desiderio
di
tutti
gli
abitanti
del
regno».
Che
Alfredo
potè
usufruire
del
supporto
del
witan
di
suo
fratello
è
confermato
dalla
firma
dei
membri
nelle
prime
carte
di
Alfredo
(871-877).
In
poche
parole,
il
cerchio
ristretto
attorno
al
re
rimase
invariato
per
alcuni
anni,
eccezion
fatta
per
gli
ealdorman
merciani
uccisi
dai
vichinghi
o
quelli
che
avevano
tradito
dopo
gli
eventi
della
«Twelfth
Night».
L’accenno
alla
volontà
divina
indica
che
un
qualche
movimento
di
protesta
per
la
successione
deve
pur
esserci
stato.
Probabilmente
il
motivo
va
ricercato
non
tanto
nel
momento
della
successione
vero
e
proprio,
quanto
negli
anni
in
cui
Asser
scrive,
cioè
tra
la
fine
degli
anni
ottanta
e
l’inizio
degli
anni
novanta
del
IX
secolo;
i
più
scontenti
dovevano
essere
quasi
sicuramente
i
figli
di
Æthelred,
ormai
cresciuti
abbastanza
per
nutrire
risentimento
al
pensiero
che
il
trono
fosse
ancora
nelle
mani
dello
zio.
Così
il
capitolo
42
diventa
un
manifesto
di
propaganda
regale
dove
Alfredo
è
considerato
«il
più
saggio
tra
i
suoi
fratelli»
e
piacevole
in
tutte
le
sue
maniere,
«in
particolare
perché
era
un
grande
guerriero,
vittorioso
praticamente
in
tutte
le
battaglie».
Il
commento
di
Stevenson
è
laconico,
ma
esplicativo:
«This
is a
paraphrase
of
the
Chronicle,
with
amplifications.
The
author
is
responsible
for
the
statement
that
Alfred
might
have
been
king
instead
of
his
brother.
In
his
confused
manner
he
states
as
the
grounds
for
this
assertion
that
Alfred
excelled
all
his
brothers
in
wisdom,
although
at
the
time
he
is
referring
to
all
his
brothers
except
Æthelred
were
dead».
Questa
descrizione
topica
di
Alfredo
può
sussistere
ed
essere
comprensibile
solo
se
la
si
prende
in
considerazione
con
il
senno
di
poi;
infatti
nessuno
avrebbe
mai
potuto
scommettere
sul
giovane
re,
che
in
quegli
anni
era
anche
afflitto
dalla
malattia
di
cui
abbiamo
parlato
e
che
non
era
sempre
riuscito
a
difendere
il
suo
regno
come
ci
si
aspettava.
Il
primo
banco
di
prova
del
novello
re
fu
la
battaglia
di
Wilton.
Lo
scontro
fu
un
vero
e
proprio
tira
e
molla,
che
solo
alla
fine
si
concluse
con
una
clamorosa
sconfitta
da
parte
delle
truppe
sassoni.
In
questo
caso,
la
vittoria
venne
decisa
dai
numeri:
la
Cronaca
riporta
che
a
fronteggiarsi
erano
un
piccolo
fyrd
(esercito)
radunato
da
Alfredo
e
l’intera
armata
dei
vichinghi.
Sebbene
si
possa
dubitare
che
a
Wilton
venne
radunato
«l’intero»
esercito
danese,
non
stupisce
che
Alfredo
disponesse
soltanto
di
un
piccolo
esercito:
i
fyrds
non
erano
una
massa
sparpagliata
di
persone
armate,
ma
un
esercito
in
piena
regola,
addestrato
per
combattere
a
fianco
del
re,
radunato
e
composto
dai
thegns
del
regno.
Dunque
i
numeri
erano
molto
limitati
e i
continui
combattimenti
non
potevano
far
altro
che
livellarne
la
quantità.
Alfredo
fu
costretto
a
venire
a
patti
con
i
vichinghi:
gli
garantì
un’ingente
somma
di
denaro
in
cambio
della
pace.
Abels
non
ha
tutti
i
torti
quando
commenta
la
scelta
di
Alfredo
in
questi
termini:
«Purchasing
peace
was
often
an
eminently
sensible
solution
to
an
immediate
viking
problem.
In
the
summer
of
871
Alfred
chose
to
be
pragmatic.
He
had
tried
war,
and
that
route
had
failed.
He
now
either
“made
peace”
or
faced
the
distinct
the
possibility
that
Wessex
would
go
the
way
of
Northumbria
and
East
Anglia»;
infatti
questi
danesi
assomigliavano
molto
più
a
pirati
che
alle
eroiche
figure
descritte
nelle
saghe
vichinghe.
Gli
obiettivi
che
prediligevano
erano
i
monasteri,
perché
sguarniti
di
soldati
e
ricchi
di
tesori
e
furono
proprio
questi
i
primi
a
essere
attaccati
quando
dopo
la
pace
con
il
Wessex
si
ritirarono
in
Mercia.
La
Cronaca
riporta
telegraficamente
che
negli
anni
a
venire
(871-874)
i
danesi
si
allargarono
a
macchia
d’olio
per
tutto
il
territorio
della
Mercia,
costringendo
il
re
Burgred
a
«siglare
la
pace»
con
loro.
Alla
fine,
nell’874,
il
re
merciano
decise
di
abdicare
e di
ritirarsi
con
sua
moglie,
la
sorella
di
Alfredo,
a
Roma
per
pregare
e
chiedere
perdono
per
i
propri
peccati.
Morirono
in
Italia
qualche
tempo
dopo:
Æthelswith
a
Pavia
(888),
Burgred
a
Roma,
dove
venne
sepolto
in
una
chiesa
del
quartiere
sassone.
Per
fronteggiare
la
vacanza
del
trono,
i
nobili
merciani
furono
costretti
ad
assecondare
i
vichinghi
e a
nominare
come
reggente
Ceolwulf,
«a
foolish
king’s
thegn
[…]
at
the
service
of
raiding-army».
Nell’875
le
truppe
avversarie
si
divisero:
re
Halfdan
si
diresse
verso
la
Northumbria,
vi
svernò
e,
con
l’avvento
della
buona
stagione,
iniziò
a
far
guerra
contro
i
Pitti
e i
Gallesi
dello
Strathclyde
per
assicurarsi
la
frontiera
settentrionale;
mentre
i re
Guthrum,
Oscytel
e
Anund
si
trasferirono
a
Cambridge,
nell’East
Anglia.
A
questo
punto
il
cronista
racconta
che,
nell’estate
di
quello
stesso
anno,
Alfredo
salpò
con
la
flotta
e
sconfisse
sette
navi
da
carico
danesi,
ma
dell’attività
del
re
negli
anni
che
intercorsero
tra
Wilton
e
questa
battaglia
non
abbiamo
molte
notizie.
Dopo
aver
occupato
Wareham,
una
fortezza
nel
Dorset
appartenente
alla
corona,
i
danesi
strinsero
di
nuovo
accordi
con
Alfredo.
Incapace
di
sottometterli
con
le
armi,
cercò
di
trovare
un
punto
di
incontro,
un
cerimoniale
o
rituale
che
potesse
in
qualche
modo
vincolarli.
La
Cronaca
riferisce
proprio
di
uno
scambio
di
ostaggi
e di
un
giuramento
sul
«sacro
anello».
Il
giuramento
sacro
giocava
un
ruolo
molto
importante
nella
diplomazia
anglosassone
del
nono
secolo.
Pronunciare
voti
su
un
oggetto
considerato
sacro
(per
esempio
reliquie)
faceva
scendere
in
campo
forze
ben
più
potenti
di
un
re,
chiamare
Dio
a
testimoniare
un
giuramento
costituiva
garanzia
di
adempimento
del
patto.
Pagare
una
certa
somma
di
denaro
e
scambiare
ostaggi
si
era
dimostrato
insufficiente
per
il
mantenimento
della
pace,
così
Alfredo
aveva
dovuto
ricorrere
a
uno
stratagemma
più
convincente.
L’idea
di
vincolare
i
vichinghi
con
«catene
soprannaturali»
poteva
essere
una
soluzione
alla
loro
riluttanza
nel
rispettare
i
patti,
ma
farli
giurare
su
reliquie
cristiane
non
avrebbe
avuto
valore
ai
loro
occhi
e
sarebbe
stato
completamente
inutile.
Alfredo
aveva
bisogno
di
qualcosa
che
fosse
sacro
agli
occhi
dei
danesi,
per
questo
scelse
l’armilla
sacra,
un
bracciale
che
la
tradizione
pagana
associava
al
culto
di
Thor.
Immaginiamo
dunque
l’imbarazzo
di
Asser
quando
dovette
sostituire
il
termine
«holy
ring»,
utilizzato
nella
Cronaca,
con
la
ben
più
lunga
perifrasi
in
latino
«reliquiis,
quibus
ille
rex
maxime
post
Deum
confidebat».
Ciononostante,
lo
stratagemma
fallì.
È
impossibile
stabilire
per
quali
ragioni
il
giuramento
non
si
rivelò
vincolante
per
l’esercito
di
Guthrum,
ma è
probabile
che
questo
tipo
di
accordi
non
avessero
lo
stesso
valore
nella
Danimarca
di
quei
secoli.
Intanto,
nelle
regioni
della
Northumbria
e
della
Mercia
orientale,
Halfdan
era
tornato
a
reclamare
ciò
che
gli
spettava
«di
diritto»:
tre
anni
prima
aveva
affidato
la
reggenza
del
regno
a
Ceolwulf,
ora
il
re
danese
aveva
diviso
i
territori
in
due
grandi
metà
e
aveva
deciso
di
premiare
l’ex-reggente
con
una
di
queste,
mentre
l’altra
era
stata
smembrata
e
divisa
tra
i
vari
jarls
di
Halfdan,
«and
together
with
his
army
cultivated
the
land».
Le
contee
dello
Yorkshire,
di
Nottingham,
di
Lincoln,
di
Derby
e di
Leicester
cessarono
di
far
parte
del
regno
politico
d’Inghilterra,
e
quelli
che
un
tempo
erano
stati
predoni,
ora
erano
diventati
coloni.
I
giuramenti
sacri
non
impedirono
a
Guthrum
di
attaccare
per
ben
due
volte
il
Wessex,
venendo
però
efficacemente
contrastato.
Ma
nei
primi
giorni
di
Gennaio
(«after
Twelfth
Night»),
i
danesi
sferrarono
un
attacco
notturno
contro
la
residenza
reale
di
Chippenam,
costringendo
Alfredo
e le
sue
truppe
a
scappare
e a
rifugiarsi
nell’isola
di
Athelney
(Somerset).
Il
fatto
che
fosse
un’isola
paludosa,
costellata
di
acquitrini
e
piscinette
d’acqua
putrida,
molto
umida
e
con
una
fitta
vegetazione
boschiva,
e
che
si
potesse
raggiungere
soltanto
tramite
navigazione,
la
rendeva
il
rifugio
ideale
per
un
esercito
in
fuga.
Questi
mesi
furono,
con
tutta
probabilità,
i
più
difficili
di
tutto
il
lungo
regno
di
Alfredo
e la
sua
tempra
venne
messa
a
dura
prova
più
di
una
volta:
prima
di
tutto
per
le
condizioni
di
sopravvivenza
a
cui
era
costretto,
tanto
da
dover
rendere
necessaria
la
razzia
per
continuare
a
rifornire
le
truppe;
in
secondo
luogo,
per
le
defezioni
che
dovette
affrontare
nelle
fila
di
quelli
che
al
momento
della
sua
incoronazione
si
dichiaravano
sostenitori
e
fedeli
compagni
d’arme.
Con
un
piccolo
contingente
iniziò
a
portare
avanti
azioni
di
disturbo
contro
i
vichinghi
e,
col
passare
delle
settimane,
formò
un
vero
e
proprio
fronte
anti-danese
grazie
all’afflusso
di
uomini
dal
Somerset,
dal
Wiltshire
e
dallo
Hampshire.
Sette
settimane
dopo
Pasqua,
si
sentì
forte
a
sufficienza
per
attaccare
Guthrum,
che
in
quel
periodo
si
trovava
a
Edington,
«and
there
fought
against
the
whole
raiding-army,
and
put
it
to
flight,
and
rode
after
it
as
far
as
the
fortification».
L’assedio
della
fortezza
di
Chippenam
durò
ben
quattordici
giorni,
al
termine
dei
quali
Alfredo
e
Guthrum
vennero
a
patti.
Il
trattato
di
Wedmore
prevedeva
la
ritirata
dei
danesi
dal
Wessex
e
l’accettazione
del
battesimo
da
parte
di
Guthrum.
Tre
settimane
dopo,
il
re
danese
e
trenta
dei
suoi
uomini
migliori
si
recarono
ad
Allen,
vicino
ad
Athelney,
e
ricevettero
il
battesimo.
Alfredo
impose
a
Guthrum
la
paternità
spirituale,
ribattezzandolo
con
il
nome
«Æthelstan»
e
stabilendo
così
una
presunta
superiorità
politico-spirituale,
e
per
i
dodici
giorni
successivi
alla
deposizione
dell’abito
battesimale
lo
ospitò
nella
propria
residenza
di
Wedmore.
Dopo
le
festività,
Guthrum
tenne
fede
alle
sue
promesse
e
abbandonò
Chippenam,
spostandosi
nei
territori
appartenenti
al
suo
vassallo
Ceolwulf
II,
finchè
nell’880
non
si
allontanò
anche
da
Cirencester
per
tornare
in
East
Anglia
e
stabilirsi
lì.
Il
trattato
di
Wedmore
diede
modo
di
ridisegnare
l’assetto
geopolitico
dell’Inghilterra:
la
Mercia,
dopo
la
deposizione
di
Ceolwulf
II,
venne
smembrata
e
divisa
in
due
parti
seguendo
il
confine
naturale
del
Tamigi-Lea,
la
parte
occidentale
venne
incorporata
nel
regno
di
Alfredo,
quella
orientale
passò
sotto
la
giurisdizione
di
Guthrum
e
divenne
parte
del
regno
dell’East
Anglia.
Questa
porzione
di
Inghilterra
orientale
costituiva
il
nocciolo
del
futuro
Danelaw,
chiaramente
distinguibile
dal
resto
dell’Inghilterra
quanto
a
linguaggio
e
costumi.
I
successivi
re
inglesi
si
trovarono
sempre
nella
situazione
di
non
poter
riconquistare,
ma
di
dover
contenere
e,
tutt’al
più,
ridurre
il
regno
anglodanese
e,
fino
al
termine
del
periodo
vichingo,
i
monarchi
e i
legislatori
anglosassoni
(o
anglonormanni)
furono
costretti
a
riconoscere
la
separazione
e le
particolari
condizioni
dell’Inghilterra
danese.
Alfredo
non
smise
di
combattere
contro
i
vichinghi
(soprattutto
quelli
che
provenivano
dalla
Danimarca),
per
questo
gli
equilibri
scaturiti
da
Wedmore
sono
considerati
frutto
di
una
«pace
imperfetta»;
ma
la
sostanziale
stabilità
politica
di
cui
godé
il
Wessex
negli
anni
successivi
permise
ad
Alfredo
di
iniziare
quell’opera
di
riforma
che
fece
di
lui
il
re
anglosassone
più
importante
della
storia
inglese.
