N. 81 - Settembre 2014
(CXII)
ALFREDO IL GRANDE
Parte
I -
L’INFANZIA (848-858)
di Silvia Mangano
Le
fonti
che
abbiamo
riguardo
all’infanzia
di
Alfredo
sono
oltremodo
scarse.
In
questo
caso,
gli
storici
sono
costretti
ad
accontentarsi
di
una
sola
fonte
completa
(La
vita
di
Alfredo),
che
ha
come
unica
prova
di
attendibilità
storica
quella
di
essere
stata
redatta
quando
il
protagonista
era
ancora
in
vita.
Come
ogni
biografo
che
si
rispetti,
Asser
introduce
il
personaggio
partendo
dalla
sua
intera
genealogia
per
parte
di
padre.
Lungo
la
strada
incontriamo
una
serie
di
nomi
molto
interessanti:
Eoppa,
nipote
di
Ine
“ille
famosus
Occidentalium
rex
Saxonum”;
Ceawlin
(in
lat.
Ceaulin),
figlio
di
Cynric,
che
secondo
Beda
aveva
governato
su
tutto
il
territorio
meridionale
dell’Inghilterra;
Cerdic,
il
fondatore
della
dinastia
reale
del
Wessex;
Woden,
il
dio
scandinavo
utilizzato
dai
genealogisti
cristiani
per
collegare
le
origini
pagane
dei
popoli
germanici
al
cristianesimo;
e
gli
antenati
di
Woden
appartenenti
alla
storia
veterotestamentaria:
“qui
fuit
Seth;
qui
fuit
Noe;
qui
fuit
Lamech;
qui
fuit
Mathusalem;
qui
fuit
Enoch;
<qui
fuit
Iared;>
qui
fuit
Malaleel;
qui
fuit
Cainan;
qui
fuit
Enos;
qui
fuit
Seth;
qui
fuit
Adam”.
Asser
si
era
trovato
di
fronte
alla
necessità
di
unire
tre
identità
distinte,
ma
che
in
Alfredo
sussistevano
in
egual
misura:
quella
del
Wessex,
quella
germanica
e
quella
cristiana.
È
ovvio
che
lo
stesso
monaco
era
consapevole
che
questa
genealogia
folkloristica
non
affondava
le
proprie
radici
nella
storia,
ma
serviva
come
controprova
della
legittimità
politica
del
re e
della
sua
dinastia.
È
interessante
notare
che
la
trasformazione
del
“pedigree
reale”
poteva
essere
radicale,
se
la
situazione
lo
richiedeva:
per
esempio,
tra
il
settimo
e
l’ottavo
secolo,
il
dio
eponimo
dei
Sassoni,
Seaxnot,
fu
sostituito
dalla
fonte
di
legittimazione
regale
degli
Angli,
il
dio
Woden.
Per
quanto
riguarda
la
famiglia
della
madre,
Asser
racconta
che
Osburh
fu
la
figlia
di
Oslac,
il
“famoso
coppiere”
(pincerna)
del
re:
“Qui
Oslac
Gothus
erat
natione;
ortus
enim
erat
de
Gothis
et
Iutis”.
Ricordiamo
che,
nelle
corti
reali
e
principesche
medievali,
il
coppiere
era
un
funzionario
di
alto
rango
il
cui
dovere
era
di
servire
le
bevande
alla
tavola
del
re
evitando
che
la
coppa
di
quest’ultimo
fosse.
Poiché
si
viveva
nel
costante
timore
di
complotti
e
intrighi,
questa
posizione
era
affidata
a
persone
considerate
completamente
affidabili.
Sottolineando
la
parentela
con
Oslac,
Asser
non
fa
altro
che
tessere
una
tela
di
giustificazioni
politiche
del
regno
di
Alfredo:
Æthelwulf
aveva
reclamato
come
suoi
di
diritto
i
territori
del
Kent,
poiché
– a
suo
dire
– il
padre
prima
era
stato
eletto
re
dalla
nobiltà
locale;
la
dura
verità
era,
invece,
che
li
aveva
conquistati
a
caro
prezzo
dagli
abitanti
della
Mercia.
In
definitiva,
nell’893
(anno
di
composizione
dell’opera)
menzionare
il
sangue
juto
che
scorreva
nelle
vene
di
Alfredo,
poteva
essere
ancora
di
estremo
aiuto
nella
legittimazione
del
dominio
del
Wessex
su
tutto
il
sud-est
dell’Inghilterra.
Ultimo
di
sei
figli,
fu
sicuramente
molto
amato
dai
suoi
genitori
e il
biografo
conferma
che
non
si
allontanò
mai
dalla
corte
reale,
al
contrario
dei
suoi
fratellastri,
che
vennero
mandati
a
vivere
presso
le
tenute
delle
famiglie
nobili
vicine
alla
corona.
Questo
non
deve
indurci
a
pensare
che
l’infanzia
del
giovane
Alfredo
sia
stata
placida,
tutt’altro.
Vivere
in
una
corte
itinerante
comportava
numerosi
spostamenti
da
un
luogo
all’altro,
senza
contare
che
la
vita
pubblica
del
figlio
del
re
aveva
un
inizio
molto
precoce:
a
sei
anni
al
massimo,
Alfredo
presiedeva
alle
assemblee
e
firmava
i
documenti
ufficiali
del
regno
in
veste
di
testimone.
È in
questi
anni
che
viene
introdotto
alla
caccia,
che
resterà
per
tutta
la
vita
la
sua
passione
e il
suo
rifugio
mentale
nei
momenti
più
snervanti
del
regno
o
nei
momenti
più
sfibranti
della
sua
malattia.
La
caccia
non
era
solo
un
mero
passatempo
per
i
giovani
eredi
al
trono,
era
il
modo
più
facile
per
imparare
a
destreggiarsi
su
un
cavallo
utilizzando
armi
(proprio
come
in
battaglia)
e
per
abituarsi
alla
vista
del
sangue.
Non
imparò
il
latino,
ma
gli
venne
insegnato
a
leggere
e a
scrivere
in
antico
anglo-sassone.
Non
dimentichiamoci
che
proprio
il
pessimo
sistema
educativo
dei
giovani
nobili
nell’Inghilterra
dei
suoi
anni
fu
il
motivo
promotore
della
riforma
culturale
che
gli
valse
il
titolo
di
Re
Salomone.
L’episodio
senza
dubbio
sensazionale,
ma
sulla
cui
veridicità
molti
storici
continuano
a
interrogarsi
è
narrato
sia
da
Asser
sia
dalla
Cronaca
anglosassone:
in
entrambe
le
fonti,
viene
sostenuto
che
Alfredo
venne
inviato
dal
padre
a
Roma
per
essere
unto
come
re e
confermato
nella
cresima
come
figlioccio
del
Papa
(Leone
III).
Nell’853,
Alfredo
era
solo
un
bambino
e
aveva
tre/quattro
fratelli
maggiori.
Com’è
possibile
che
il
padre
abbia
scelto
lui
per
l’unzione
regale?
Dobbiamo
mettere
in
discussione
la
veridicità
della
Cronaca
e
della
Vita?
Che
cosa
accadde
veramente
a
Roma?
Ci
viene
in
aiuto
la
lettera
che
Leone
IV
inviò
a
Æthelwulf,
arrivata
fino
a
noi
grazie
a
una
raccolta
di
lettere
papali
del
XII
secolo:
“To
Æthelwulf,
king
of
the
English.
We
have
now
graciously
received
your
son
Alfred,
whom
you
were
anxious
to
send
at
this
time
to
the
thresholds
of
the
Holy
Apostles,
and
we
have
decorated
him,
as a
spiritual
son,
with
the
dignity
of
the
sword
and
the
vestments
of
the
consulate,
as
is
customary
with
Roman
consuls,
because
he
gave
himself
into
our
hand”.
Stando
al
frammento
riportato,
possiamo
comprovare
ciò
che
le
due
fonti
inglesi
affermano
riguardo
alla
cresima
del
giovane
principe,
ma
siamo
costretti
a
ridimensionare
quella
che
(forse
inavvertitamente?)
agli
occhi
dell’Alfredo
adulto
appare
un’unzione
regale.
Leone
IV
dichiara
di
averlo
decorato
con
le
“vesti
del
consolato”,
ma a
quell’epoca
il
consolato
romano
non
era
più
un
ufficio
civile,
quanto
piuttosto
un
titolo
onorifico.
Per
questo
motivo
W.
H.
Stevenson,
nel
suo
commento
al
passo
sopracitato
di
Asser,
parla
di
“little
more
than
a
brevet
of
Roman
nobility”.
Resta
il
dilemma
sul
perché
Asser
e la
Cronaca
diano
un’informazione
che
si
distanzia
così
tanto
dalla
realtà
dei
fatti.
Si
potrebbero
fornire
una
serie
di
possibili
spiegazioni,
alcune
più
plausibili
di
altre:
innanzitutto
si
potrebbe
rigettare
completamente
la
versione
delle
fonti
britanniche
come
completamente
corrotte,
in
alternativa
bisognerebbe
pensare
a
una
manomissione
posteriore
di
entrambe.
Nonostante
sia
impossibile
stabilire
con
esattezza
quale
sia
la
vera
ragione,
si
possono
giustificare
le
fonti
partendo
dal
principale
narratore
dei
fatti.
Immaginiamo
Alfredo,
quasi
al
termine
della
sua
vita,
che
detta
le
sue
memorie
affinché
vengano
riportare
sotto
forma
di
cronaca
e di
biografia;
per
un
uomo
pio
e
devoto
come
lui,
quel
primo
viaggio
a
Roma
dovette
sembrare
come
il
segno
divino
della
sua
futura
elezione.
Non
scordiamoci
che
era
l’ultimo
nell’ordine
di
successione
e
che
prima
di
lui
si
erano
avvicendati
sul
trono
ben
quattro
fratelli,
nonostante
questo
era
riuscito
a
diventare
re,
aveva
combattuto
contro
gli
invasori
danesi,
aveva
vinto,
riunificato
l’Inghilterra
e
aveva
dato
inizio
a un
periodo
di
splendore
che
sarebbe
durato
fino
all’arrivo
dei
Normanni.
Da
questa
prospettiva,
le
motivazioni
che
spinsero
Alfredo
a
parlare
di
unzione
regale
sembrano
quasi
convincenti,
senza
contare
che
a un
accanito
lettore
e
traduttore
della
Bibbia
come
lui
non
poteva
sfuggire
l’incredibile
somiglianza
della
sua
vita
con
la
storia
di
Re
Davide:
come
Davide
era
un
ultimogenito,
come
lui
si
era
distinto
rispetto
ai
suoi
fratelli
maggiori,
aveva
combattuto
contro
le
orde
dei
pagani,
le
aveva
sconfitte
e
aveva
restaurato
il
culto
del
vero
Dio
nel
suo
regno.
Tutto
ciò
dovette
essergli
sembrato
provvidenziale.
Prima
di
diventare
re,
Davide
era
stato
unto
da
Samuele;
così
anche
Alfredo,
probabilmente,
ricordando
quella
cerimonia
a
Roma,
dovette
identificare
l’investitura
consolare
con
l’unzione
regale.
Se
non
era
per
motivi
di
successione
dinastica,
un
altro
interrogativo
sorge
riguardo
al
motivo
della
presenza
del
piccolissimo
Alfredo
(all’epoca
aveva
al
massimo
cinque
anni)
nell’ambasceria
della
corte
di
Æthelwulf
a
Roma.
Il
viaggio
dall’Inghilterra
alla
sede
papale
era
lungo
e
costellato
di
pericoli,
un
percorso
in
cui
si
dovevano
attraversare
mari,
strade
impervie
e
monti,
un
itinerario
non
facile
per
gli
adulti,
figuriamoci
per
un
bambino.
Anche
su
questo
punto
gli
storici
si
dividono
e,
come
per
il
caso
precedente,
la
verità
storica
è
lungi
dal
poter
essere
provata
con
assoluta
certezza.
Per
M.
J.
Enright,
fu
l’amore
del
padre
verso
suo
figlio
a
spingerlo
nella
città
apostolica.
Asser
riporta
che
il
giovane
Alfredo
soffrisse
di
una
malattia
all’intestino
che
lo
vessò
per
tutta
la
vita
e lo
stesso
Alfredo
parlerà
della
malattia
nelle
sue
traduzioni.
Lo
storico
sostiene,
dunque,
che
Æthelwulf
inviò
il
bambino
a
Roma
per
poter
pregare
per
la
sua
guarigione.
Ma
l’amore
per
suo
figlio
poteva
essere
solo
una
delle
ragioni
per
la
sua
inclusione,
infatti
la
presenza
del
figlio
del
re
in
un’ambasciata
era
anche
intesa
come
segno
di
rispetto.
Oltretutto
il
Papa
era
divenuto
suo
padrino,
si
era
creato
un
legame
di
figliolanza
spirituale
tra
il
successore
di
Pietro
e il
principe,
che
rafforzava
i
legami
tra
il
Wessex
e la
sede
apostolica
e
consolidava
il
potere
di
Æthelwulf
rispetto
a
quello
delle
altre
dinastie
regnanti
in
Inghilterra.
Quello
dell’853
non
fu
l’unico
viaggio
a
Roma
di
Alfredo,
due
anni
più
tardi
suo
padre
decise
di
andare
in
pellegrinaggio
in
Italia
per
“redimere
la
sua
anima
e
quella
dei
suoi
predecessori.
Quando
Alfredo
tornò
nell’854,
suo
padre
stava
già
preparando
la
partenza,
ma
la
morte
del
suo
primogenito
Æthelstan,
in
un
periodo
imprecisato
tra
l’851
e
l’854,
dovette
scuotere
fortemente
le
fondamenta
del
suo
potere.
È
probabile
che
sia
stato
questo
il
principale
motivo
per
la
decimation
dei
suoi
territori,
un
motivo
fondamentalmente
politico
e
non
spirituale,
come
riporta
invece
la
Cronaca
(“re
Æthelwulf
trasmise
la
decima
parte
della
sua
terra
di
tutto
il
suo
regno
per
la
lode
di
Dio
e
per
la
sua
salvezza
eterna”)
e
come
afferma
Æthelwulf
stesso
nell’editto
(“pro
remissione
animarum
et
peccatorum
nostrorum
Deo
soli
ad
serviendum”).
La
seconda
visita
di
Alfredo
a
Roma
è
conosciuta
solo
grazie
ad
Asser,
ma
il
pellegrinaggio
della
corte
viene
citato
da
fonti
del
regno
franco
(Annales
Bertiniani)
e
dal
Liber
Pontificalis.
Il
re e
il
suo
seguito
s’incamminarono
lungo
la
via
del
ritorno
nel
giugno
dell’856
e
sostarono
ancora
una
volta
presso
il
re
franco
Carlo
il
Calvo.
È in
questa
circostanza
che
i
due
stipularono
l’alleanza
sugellata
con
il
matrimonio
della
figlia
di
quest’ultimo
con
Æthelwulf.
Sebbene
ci
sfuggano
le
ragioni
per
cui
Carlo
acconsentì
a
questo
matrimonio,
possiamo
facilmente
individuare
le
cause
che
spinsero
il
re
anglosassone
a
stringere
quest’unione.
La
paura
che
aveva
spinto
Æthelwulf
a
emanare
quell’editto
di
concessioni
si
era
concretizzata,
era
stato
ordito
un
complotto
ai
suoi
danni
da
parte
del
suo
stesso
secondogenito
(il
primogenito,
Æthelstan,
come
abbiamo
già
detto,
era
morto)
e
dal
vescovo
di
Sherborne.
È
impossibile
sapere
quanto
il
piccolo
Alfredo
abbia
compreso
della
situazione;
ciò
nonostante,
l’accaduto
deve
averlo
impressionato
molto
a
giudicare
dall’amara
riflessione
sui
rapporti
familiari
che
interpolò
nella
sua
traduzione
di
Boezio.
Venuto
a
conoscenza
del
complotto,
Æthelwulf
si
recò
da
Carlo
per
chiedere
aiuto
e
recuperare
il
trono
e,
probabilmente,
questo
accettò
sia
per
il
legame
che
li
univa,
sia
per
incrementare
il
suo
prestigio
nel
continente.
Grazie
a un
accurato
lavoro
diplomatico,
il
re
spodestato
riuscì
a
ritornare
in
patria
senza
far
scoppiare
una
guerra
civile:
scelse
di
cedere
la
parte
occidentale
del
Wessex
ad
Æthelbald,
mentre
mantenne
per
sé
la
parte
centro-orientale.
Æthelwulf
morì
qualche
tempo
dopo,
all’inizio
dell’858.
