[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

194 / FEBBRAIO 2024 (CCXXV)


arte

Il regno di Alfred Kubin
L’altra parte, tra realtà e inconscio

di Alessio Guglielmini

 

Il romanzo dell’austriaco Alfred Kubin, L’altra parte, nacque di getto, in poche settimane, nel 1908, per esorcizzare la sofferenza dovuta alla morte del padre e lenire le ansie procurate dalla malattia della moglie. Questa genesi psicanalitica, che rimane d’altro canto prioritaria per comprendere anche la produzione del Kubin visuale, non ne esclude il valore letterario: per Ernst Jünger quell’unico romanzo, corredato da 52 disegni dell’autore, bastò ad assicurare a Kubin un ruolo privilegiato all’interno della letteratura fantastica di lingua tedesca, accanto a E.T.A. Hoffmann, come suggerito dallo stesso scrittore ad Antonio Gnoli e Franco Volpi nelle conversazioni del 1995 pubblicate con il titolo di I prossimi Titani.

Il primo, e ultimo, romanzo di Kubin è situato a Perla, una misteriosa città dell’Asia Centrale, che presenta tuttavia le fattezze di una stadt mitteleuropea, in cui imperversano la visione e la volontà di un oscuro deus ex machina di nome Patera: costui manipola la popolazione, tenendola in una sorta di appannato dormiveglia. Al fatalismo tetro di Patera si oppone il vitalismo dell’americano Hercules Bell, prototipo neo-prometeico del self-made man di stampo occidentale venuto a spodestare il sovrano di quell’ipnotico regno.

Il nome di Hercules Bell dice tutto: la forza ostinata, veemente di Ercole avviluppata al cognome Bell, sintomatico dell’inventiva capitalista che produce nuove storie di successo. Alla fine del romanzo si leggerà che «l’americano è ancora vivo ed è noto in tutto il mondo». Si tratta in fondo anche di una profezia sull’influenza statunitense che i piani di ricostruzione Dawes e Young porteranno nel cuore dell’Europa, in seguito alla prima guerra mondiale, dopo il tramonto degli imperi più recenti (quello guglielmino) e più antichi (quello austriaco insieme a quello zarista, che confina, come ricordato in alcuni passaggi del romanzo, proprio con Perla).

Il fatto di essere un vivo tra gli zombie è, del resto, una delle principali recriminazioni di Bell: «È un mattino tetro. L’americano Hercules Bell è ancora a letto, a metà sollevato, con le braccia conserte e un’espressione di profonda meditazione. “Vincerò!”, mormora, e una luce d’orgoglio illumina il suo volto non bello, troppo energico. “Vincerò” ripete a voce alta, e si alza. “Io sono sano!” pensa trionfante, e si mette nudo davanti al grande specchio». È la libido che si oppone al transito notturno, è l’ego che rivendica il suo dominio sul giorno appena sfuggito alle sgrinfie della notte, benché a Perla il salto tra le due fasi risulti piuttosto farraginoso.

In questo slancio vitale si coglie forse anche la ribellione ottusa di chi non vuole posare il suo sguardo sulla crisi imminente, sui fantasmi di un mondo in disfacimento, ad esempio quello della vecchia Austria e della borghesia guglielmina, come ebbe modo di notare sempre Jünger nelle interviste rilasciate a Gnoli e Volpi. Quella società felice, nel momento in cui scriveva Kubin (1908), si percepiva evidentemente più sana di quanto lo fosse in realtà, non curandosi dell’incombente catastrofe della Grande Guerra che ne avrebbe sancito la ritirata.

Si capisce come l’unico romanzo concepito da Kubin possa essere interpretato da vari punti di vista: ad esempio, come parto estemporaneo, esito di uno Zwischenzeit, un “tempo di mezzo”, un passaggio intermedio tra passato e futuro che finisce per coincidere con un “regno di mezzo”, sospeso tra sonno e veglia (DI NOI 2023, p. 148). In questo incerto rifugio, aperto come una cerniera dallo shock personale, Kubin crea un mondo capovolto che dà libero sfogo alle sue tensioni.

Se a questa lettura individuale, e interiorizzata, va aggiunta la visione profetica di una vicenda europea prossima al baratro, bisogna pur notare che Kubin nella prosa di L’altra parte trascina anche i motivi ricorrenti di molte delle sue opere visive. Massimo Cacciari, introducendo nel breve saggio Kenosi del simbolo lo studio di Alessandro Nigro, Alfred Kubin profeta del tramonto, insiste su un tema ossessivo nelle figure kubiniane, quello della Madre, della sostanza-Madre. Una Madre intesa come agglomerato materiale, matrice della procreazione, autosufficiente, bastante a sé stessa: Cacciari nota l’impossibilità della polarizzazione, la lancinante assenza della reciprocità. La Madre non ammette la presenza del Padre, si auto-conclude, «il simbolismo kubiniano della Grande Dea appare bloccato al suo carattere elementare negativo. In ciò consiste, per l’appunto, la violenza che Kubin infligge alla struttura tradizionale del simbolo: esso non vale più come coincidentia oppositorum. Il suo lato negativo è irreversibile».

Questa irreversibilità viene perlomeno alleggerita dalla complementarietà proposta dal romanzo: Patera e Bell sono immagini ambivalenti, “l’altra parte” presuppone inevitabilmente un altro polo, quello della vita cosciente, attuata nel dominio del sé raziocinante. Hercules Bell, che è di Filadelfia come la democrazia statunitense, nel suo desiderio ostinato di salute e di vittoria non incarna per questo l’istanza filosofica di un’essenza superiore, limitandosi a rappresentare un’alternativa necessaria, il tentativo irriducibile del figlioccio ambizioso che non vuole essere divorato dalla madre oscura che è la Perla di Patera.

Il Pater in declino, che si appresta a cedere il posto, è il padre scomparso di Kubin, ma anche un Padre “matrigno”, incubato nella passiva decadenza della città di fine impero. Il concetto dell’assenza del Padre, che non può essere contemplato nella materia oscura, nei nodi e nei grovigli dei disegni analizzati da Cacciari, si riabilita in maniera incerta all’interno di Perla dove due contendenti maschi finiscono (quasi) per annullarsi a vicenda.

L’influsso del matriarcato ostile e divorante, per come l’ha restituito Cacciari negli estremi stilistici di Kubin, si riconnette allo stesso stile di vita di Kubin, per come l’ha ricordato Jünger, in una forma, a dire il vero, molto più rassicurante. Dopo un rapporto epistolare durato anni, il primo e unico incontro tra i due capitò nell’autunno del 1937. Kubin era un corpulento sessantenne che viveva in un castello e che «(…) amava gli agi della vita, e riteneva che il matriarcato fosse la migliore forma di organizzazione della convivenza sociale. A casa sua, in assenza della moglie fummo serviti per tutto il tempo da due domestiche che si presero cura di noi» (GNOLI, VOLPI 1997, p. 35).

L’ennesimo ricordo di Jünger è utile a recuperare un ulteriore tassello della visione kubiniana: «Kubin mi mostrò una fotografia nella quale si vedeva una manifestazione di massa con migliaia di persone che acclamavano un oratore. I singoli partecipanti erano così minuscoli da sembrare senza volto. Mi disse: “Qui si potrebbero incollare, una vicino all’altra, molte altre copie della stessa foto, all’infinito…”» (GNOLI, VOLPI 1997, p. 36). Cacciari allude anche a questa ossessione di Kubin: «Diviene massa lo stesso groviglio delle figure, l’addensarsi dei loro nodi, trattati (…) non in quanto espressione del ‘religioso’ filo che collega tutti gli strati dell’essere, ma, all’opposto, intermittenza violenta, soluzione di continuità, catastrofe. La caduta della pienezza del simbolo genera allucinazioni di massa (Anarchie) – di queste Kubin è grande visionario» (CACCIARI 1983, cit. p. 17).

L’informe massa delle cose diventa informe massa umana, l’anarchia è in questo senso l’altra parte del populismo esemplificato dalla foto mostrata da Kubin a Jünger, un moto compresso che annulla l’individualità, che attua in maniera implacabile la sovrapposizione degli individui, svuotandoli, per rientrare sempre all’idea di madre-divoratrice, di ogni personalità e identità. Il dormiveglia perenne che incombe sui cittadini di Perla è una versione “al rallenty” di questa agitazione propagante: «I vecchi stavano per delle ore con gli occhi fissi e immobili, guardando lontano, passavano giornate intere curvi su minuzie qualsiasi, pietre, ossi, piume» (KUBIN 2001, p. 153). Non andava meglio con le case, ricoperte dalla polvere, o con i mobili, divorati dalle tarme.

Lo stesso narratore del romanzo, che rimane giustamente anonimo dietro il titolo di “artista”, inquadra alla perfezione il ruolo dello spettatore che non ha alcun potere sugli eventi: è invitato nel regno di Patera, in quanto suo vecchio compagno di scuola, assiste al travolgente esito della battaglia tra Patera e Bell, come in un sogno; ritorna in Germania e non accetta più la realtà come tale, ridotta a una “ripugnante caricatura”. La sua lapidaria sentenza – Il Demiurgo è un ibrido –chiude il sipario.

Tutto è ibrido, e mescolato, nel Traum reich di Perla. Il Demiurgo Patera è Kubin, ma anche l’artista-narratore chiamato a testimoniare la caduta di quel regno è Kubin: chi governa viene governato; chi crea subisce gli effetti della sua stessa creazione.

Trent’anni dopo la nascita e la fine di Perla, Jünger ricavava di Kubin questa impressione: «un baco che si abbozzola nella sua seta» (GNOLI, VOLPI 1997, cit. p. 35), un individuo isolato dal mondo, ma ancora assalito dai sogni e dalle fantasie, ancora connesso, a piacimento, a “quell’altra parte” materializzata dal suo unico romanzo.


Riferimenti bibliografici:

Alfred Kubin, L’altra parte, Adelphi, Milano 2001
Antonio Gnoli, Franco Volpi, I prossimi Titani. Conversazioni con Ernst Jünger, Adelphi, Milano 1997
Barbara Di Noi, Il malefico sortilegio del vintage nell’antiutopia. Die andereSeite di Alfred Kubin in La città e l’inconscio nell’era globale. Germanistica in dialogo multidisciplinare, Milano University Press, Milano 2023
Massimo Cacciari, Kenosi del simbolo in Alessandro Nigro, Alfred Kubin profeta del tramonto, Officina Edizioni, Roma 1983, pp. 11-23.
Eliah Bures, Ernst Jünger and Alfred Kubin: a Friendship on “the Other Side” in Poetik und Praxis der Freundschaft (1800-1933), Universitätsverlag WINTER, Heidelberg 2019, pp. 203-223

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]