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N. 131 - Novembre 2018 (CLXII)

IL MARCHESE ALFONSO ZENETTI

UN SINDACO DI NOMINA REGIA

di Raffaele Pisani

 

A livello nazionale sono note l’ideologia e la prassi della Destra storica, che sotto la guida di Casa Savoia aveva portato negli anni Sessanta dell’Ottocento alla costituzione del Regno d’Italia e negli anni successivi porterà pressoché a termine l’opera di unificazione della penisola.

 

Nelle singole realtà locali la situazione si presentava con caratteri diversi, e ogni luogo visse questo evento generale in un modo suo proprio. Una diversità che non era solo territoriale ma soprattutto sociale e culturale; c’è chi subì passivamente la nuova situazione, chi si ribellò e chi la colse con entusiasmo, tutto ciò con infinite sfumature e con quei dinamismi che nello scorrere del tempo portano dei cambiamenti significativi.

 

Il presente personaggio veronese, che ha partecipato all’unificazione del Veneto all’Italia, ha prodotto molti scritti con cui ha espresso la sua visione politico-ideologica e le sue proposte concrete per lo sviluppo del territorio. Per tredici anni amministrò il Comune di San Giovanni Lupatoto, poco distante da Verona; per tutto ciò penso possa costituire un esempio di come una certa linea politica si potesse incarnare in un determinato territorio.

 

Forzando un po’ il registro linguistico del presente discorso, si potrebbe associare il fenomeno, con il suo nucleo essenziale che si declina nelle diverse situazioni, all’idealtipo weberiano. Il sindaco del re aveva il compito di guidare entro un ordinamento uniforme realtà che per forza di cose erano estremamente diverse.

 

Il personaggio in questione nacque a Verona nel 1818, in pieno periodo austriaco, il padre, marchese Ferdinando, aveva sposato la nobile Laura Maffei. Il giovane Alfonso frequentò l’I.R. Liceo di Verona, seguirono gli studi giuridici e il concorso per l’avvocatura, risulta iscritto all’Ordine degli avvocati della Provincia di Verona (25 luglio 1855) con il numero tre. Sposò Teresa Gilli, dalla quale ebbe tre figlie: Adelaide, Laura e Rosa.

 

La sua adesione alla causa italiana si manifestò chiaramente nel 1866, quando, ormai quarantottenne, non esitò ad arruolarsi nella Guardia Nazionale Volontaria, nel momento assai delicato del passaggio del Veneto all’Italia. Pochi mesi dopo venne designato per nomina regia quale sindaco di San Giovanni Lupatoto, un modesto centro di circa 3.500 abitanti, non particolarmente felice per quanto riguardava la fertilità del suolo e le conseguenti attività agricole che vi si praticavano.

 

I problemi che la neonata Amministrazione comunale si trovò ad affrontare furono in primo luogo di ordine finanziario. A livello nazionale il passivo del bilancio, dovuto in gran parte alle ingenti spese militari per le guerre del risorgimento, necessitava di essere saldato e i comuni dovevano fare la loro parte.

 

L’Amministrazione lupatotina, che si può considerare piuttosto illuminata, non si limitò al prelievo fiscale ma si diede da fare per favorire uno sviluppo che contribuì ad una industrializzazione precoce del territorio.

 

Il sindaco Zenetti si adoperò per far conoscere ad alcuni imprenditori la situazione del luogo caratterizzata da un’abbondanza di manodopera, quella che prima era impegnata nelle imponenti opere di fortificazione austriache della piazzaforte di Verona, e dalla presenza di materiale siliceo facilmente reperibile in zona.

 

Quei ciottoli di varie dimensioni, che erano sempre stati di ostacolo per le coltivazioni diventavano ora una risorsa immediatamente utilizzabile. Si poteva realizzare una fabbrica per la produzione del vetro, il sito era già chiaramente individuato: un’ampia caserma austriaca dismessa dalla cui vendita il Comune poteva ricavare una somma cospicua da mettere in attivo sul proprio bilancio; tale stabile poteva essere agevolmente trasformato in uno stabilimento produttivo.

 

Fu cosi che nel 1868 l’imprenditore Luigi Bedolo aprì un grande stabilimento vetrario, che appena qualche anno dopo darà lavoro a 800 operai; la produzione annua di bottiglie che all’inizio era di mezzo milione arrivò ad un massimo di oltre due milioni e mezzo, si producevano anche lastre per infissi. Fu una vera rivoluzione per il paese.

 

Il personale tecnico veniva da fuori e anche parte delle maestranze, questo comportava certamente qualche problema ma dava anche la possibilità al piccolo centro di confrontarsi ed aprirsi con persone che parlavano altre lingue ed avevano usanze e talvolta anche religioni diverse. Vi furono matrimoni tra gente del luogo e nuovi venuti; nei registri di stato civile del comune comparvero ben presto dei cognomi di chiara origine straniera. Questo per l’epoca era un fatto certamente rilevante.

 

È da notare che si trattava di un’industria legata all’agricoltura, che si affiancava alla filanda, di più lunga tradizione. Del resto, anche l’idea che guidava a livello nazionale lo sviluppo economico dell’Italia vedeva ancora nell’agricoltura il settore dominante con l’industria in funzione ancillare.

 

Altri interventi dell’Amministrazione, comunque necessari ma resi più urgenti da questa situazione, riguardarono la viabilità, su strada ed anche su ferro, l’espansione edilizia e l’istruzione elementare, a quei tempi ancora gestita localmente. Non essendo nelle prerogative di un Comune procedere alla costruzione di un ponte sull’Adige, venne progettato e poi realizzato un traghetto che collegava le due sponde del fiume poco meno di una decina di chilometri a valle di Verona.

 

A documentare la storia del paese, con uno sguardo rivolto soprattutto alle vicende dell’Ottocento, ci pensò il segretario comunale Angelo Merzari, prezioso collaboratore dello Zenetti. Nel libro intitolato Monografia del Comune di San Giovanni Lupatoto, (1879) viene dipinta a tinte fosche la situazione durante il periodo napoleonico e quello, ben più lungo, sotto l’Austria, per poi spiegare in termini positivi l’unificazione all’Italia e le realizzazioni conseguenti a livello territoriale.

 

Tornando al personaggio e osservando il suoi rapporti con l’autorità religiosa, si può dire che il suo spirito laico e il suo anticlericalismo, peraltro cordiale, non gli impedirono di collaborare con i parroci del paese. Sapeva bene che una notizia detta in chiesa raggiungeva la quasi totalità delle persone, cosa che annunci scritti o proclami del banditore civico non potevano certamente ottenere. Sulla scuola, sul passaggio di competenze per la registrazione della popolazione ed anche su disposizioni per la sicurezza, per lungo tempo tra Comune e Parrocchia ci fu una fattiva collaborazione.

 

Dalla seconda metà degli anni settanta mutò il clima e i rapporti con il nuovo parroco, che nel frattempo si era insediato, si guastarono progressivamente. Il suo mandato di sindaco si concluse nel 1880, quando, a suo dire, una sorta di fronda clericale lo avrebbe messo in condizione di non poter proseguire. Scriveva sul quotidiano L’arena di Verona nel settembre del 1881: «Il fatto sta che il clero, contro consiglio del sindaco, dalla nomina del parroco D. Ciccarelli volle a poco a poco imporsi al municipio. Le secrete istruzioni delle assemblee cattoliche, le istigazioni Vaticane, la debolezza delle nostre Leggi, tutto concorreva a questo compito di far serva alla Sacrestia la podestà civile».

 

I suoi numerosi scritti su argomenti alquanto differenti si possono riassumere nei temi del bello e dell’utile, talvolta anche congiunti.

 

Ha tradotto un’opera di Raymond Dumas (1830-1880) intitolata: Quanto abbia contribuito Scipione Maffei a ristorare la tragedia presso gli Italiani (1880). Zenetti per via di madre era imparentato con il grande letterato veronese, anche se non era « son arrière petit-fils», come Dumas lo definisce in una lettera riportata nelle prime pagine del testo. Ha scritto numerosi articoli sul quotidiano L’Adige che parlano di arte e decoro, in riferimento soprattutto alla città di Verona.

 

Sul tema dell’utile, fra gli scritti dati alle stampe, si può ricordare Il canale industriale e l’Agro Veronese. Opinioni di un sindaco di campagna (1875), con il quale prospettava la realizzazione di un sistema di canalizzazioni che doveva servire per l’irrigazione delle campagne e per la nascente industria; per ciò che concerne il trasporto su ferro scrisse La linea ferroviaria Verona-Bologna (1880), dove metteva in evidenza l’importanza di questo quarto braccio della croce ancora mancante per la città di Verona che nella situazione presente poteva comunicare solo nella direzione est-ovest e verso Nord.

 

Abbiamo detto dei temi del bello e dell’utile, c’è da aggiungere anche il tema del vero, un vero sempre opinabile naturalmente, Zenetti da buon avvocato sapeva ben argomentare le sue posizioni, lo faceva anche nello scritto intitolato L’Italia e il suo clero. Pensieri e studi di Fonalso Teziten, uno scritto in forma di lettera ad un amico; in esso lo Zenetti, prendendo spunto da un documento dei cattolici veneti, svolge una critica molto serrata, un’accusa senza possibilità di appello all’intera istituzione ecclesiale cattolica del tempo presente, ben diversa a suo dire da quella gloriosa dei primi secoli.

 

È forse il caso di rimarcare che, mentre gli altri scritti sono stati stampati a Verona, questo ha visto la luce a Salerno nel 1878; l’anagramma del nome, più che un tentativo di non apparire, ha il sapore dello scherzo.

 

Ha lasciato all’ Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona un voluminoso manoscritto in due tomi, in tutto poco più di mille pagine, nel quale sottili analisi storiche si alternano ad accurate descrizioni scientifiche. Le sue idee riguardanti la necessità di canalizzare il territorio veronese per scopi agricoli e in prospettiva industriali trovarono una drammatica conferma con la piena dell’Adige del 1882.

 

Egli la descrive molto dettagliatamente: dalle eccezionali piogge del Trentino e del Tirolo,all’innalzamento del livello del fiume fino alla tracimazione, all’allagamento dei vari quartieri e alla distruzione di alcuni ponti. Per salvare Verona, scrive, serve un’adeguata regolazione idraulica capace di alleggerire la portata dell’Adige nel tratto cittadino, in tal modo si potranno unire i vantaggi dello sviluppo economico con quelli ancor più immediati della sicurezza della città.

 

È difficile valutare quanto il suo pensiero abbia influito sulle scelte delle Amministrazioni comunali di Verona, è certo comunque che ogni suo intervento sulla stampa cittadina sia sempre stato attentamente considerato. Negli anni successivi furono costruiti i muraglioni di protezione dalle esondazioni e dell’Adige, furono anche portati a termine i lavori di escavazione di canali a scopo irriguo, con un’attenzione già rivolta all’industria e in particolare alla produzione idroelettrica.

 

Alfonso Zenetti venne a morire il due luglio del 1892, riposa nel Cimitero monumentale di Verona nel Panteon Ingenio Claris.



 

 

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