N. 20 - Gennaio 2007
ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI
Un Santo per l’era della multimedialità
di
Antonio Pisanti
Un
Santo per gli uomini del terzo millennio, potremmo
scrivere oggi, visto che la suggestione degli anni
duemila spinge i più a proiettare la validità delle
idee e dei progetti in funzione della loro utilità per
il tempo futuro.
Infatti, la morale, la religiosità e la spiritualità
che Sant'Alfonso de' Liguori volle diffondere nel
corso della sua esperienza pastorale si addicono alle
esigenze di una umanità sempre più immersa nel sociale
e sempre più a rischio di perdere nella dimensione
dell'economicismo e dell'efficientismo i suoi
parametri etici e spirituali.
Ma
ci piace esprimere lo stesso auspicio rifacendoci ad
una caratteristica costante nella vita e nelle opere
del Santo napoletano che fu anche un grande
comunicatore.
Sant'Alfonso fu comunicatore nei modi in cui dovrebbe
esserlo ogni predicatore, ogni insegnante, ogni
individuo impegnato nel perseguire un fine pedagogico,
nel sostenere una causa o un modello di vita.
Egli
fu sempre attento ad adeguare il proprio linguaggio ai
livelli di comprensione e di cultura dei destinatari
del suo messaggio e a teorizzare la necessità che gli
altri si comportassero allo stesso modo.
Le
sue opere, oltre cento, pubblicate in ben 54.000
edizioni, in 70 lingue, spaziarono dalla trattatistica
teologica e morale alle istruzioni da dare ai
predicatori, dalle Regole per l'Ordine dei
Redentoristi, da lui fondato, alle Novene, dalla
logica alle orazioni per il popolo, dagli scritti
dommatici ai sermoni per le feste religiose.
Ma
non solo di opere scritte fu autore Sant'Alfonso,
che nel suo intenso itinerario di formazione e di
studi rigorosi ebbe precettori illustri in vari campi
dello scibile e delle arti e diventò dottore in "utroque
jure" quando non aveva ancora compiuto i diciassette
anni.
Fece
ricorso con evidente maestria ad una modalità di
comunicazione che oggi non esiteremmo a definire
multimediale. Fu autore di rappresentazioni
pittoriche, di composizioni poetiche e musicali che
egli stesso eseguiva, di canti popolari, il cui stile
continuamente si preoccupava di adattare alla
sensibilità e alle possibilità di fruizione degli
ascoltatori.
L'ampio repertorio delle sue "canzoncine
spirituali", scritte per le pratiche di culto,
talvolta rimaneggiando volutamente preesistenti motivi
popolari, è un documento eloquentissimo per dimostrare
la varietà di linguaggi che il Santo seppe usare per
trasmettere agli altri il suo impegno d'amore e di
preghiera. Famose ed esemplari, tra queste, “Tu
scendi dalle stelle” e “Quanno nascette
ninno”, l'una in lingua e l'altra in dialetto.
La
stessa preghiera era per il Santo una forma di
comunicazione che non poteva essere ridotta a parole
prive di significato e di tensione emotiva per il
popolo, ignorante del latino e del linguaggio aulico.
Del
resto, anche la pratica della confessione, più che
essere un processo di pentimento e di giudizio, era
per il Santo uno strumento di conforto che oggi
potremmo ben accostare alla moderna pratica
psicoterapeutica, dove la possibilità di redenzione
scaturiva non tanto dalla somministrazione della
penitenza quanto dalla presa di coscienza delle colpe
del peccatore. Non a caso egli, nelle sue opere
teologiche, si era soffermato sulla rilevanza delle
condizioni ambientali e culturali entro le quali
matura il peccato per classificarne la gravità.
Sant'Alfonso, rifiutando il rigorismo giansenista, si
faceva sostenitore e testimone di una pratica
religiosa aperta alla comprensione, alla ragione, al
perdono e alla pietà, piuttosto che al timore delle
punizioni o alle minacce di anatemi e di scomuniche.
La libertà e la ragione dovevano essere alla base
della stessa fede, pur capace di elevarsi verso
le vette proprie dei mistici e degli asceti.
Impegnato a diffondere il suo messaggio di fede e di
preghiera in una città come Napoli, dove si conta che
all'epoca vi fossero migliaia di schiavi ed una plebe
di infima condizione socioeconomica, e avendo scelto
per vocazione di estendere la sua missione
nell'entroterra meridionale, popolato anch'esso di
gente povera, come gli umili pastori e i contadini,
egli vide nel riscatto sociale della gente del Sud la
condizione pregiudiziale per una emancipazione
religiosa e spirituale.
La
perfezione, insegnò Sant'Alfonso, che pure fu
interprete e maestro di misticismo e di
ascetismo, può e deve essere il fine di ogni uomo che,
uscendo dalla sua "tiepidezza", deve non solo fare
opere buone, ma anche farle per bene: le vie della
redenzione, insomma, possono anche non passare per i
conventi e per gli altari, poiché possono e devono
disseminarsi nelle strade di quella che oggi
chiameremmo la società civile, della vita di ogni
giorno, dove ogni individuo è impegnato nel suo lavoro
e nel rapporto comunitario con i suoi simili.
La
perfezione celeste si raggiunge attraverso le vie
terrene e, se la tensione morale e religiosa verso la
perfezione terrena è condizione per quella celeste,
il buon cristiano non può fare a meno di essere buon
cittadino e contribuire al riscatto della società in
cui vive, utilizzando a fin di bene tutti gli
strumenti che essa offre.
Il
messaggio di Sant'Alfonso è anche un messaggio di
impegno civile, senz'altro prezioso per cattolici,
laici o credenti in altre fedi religiose, valido ancor
più per l'uomo d'oggi e di domani.
Gli insegnanti che, ostentando o
subendo un gratuito proposito di fraintesa
tolleranza, dichiarano di non far cantare
“Tu scendi dalle stelle”
nelle loro classi e di non allestire il presepe, per
non calpestare i “diritti” degli scolari non cattolici
in occasione della ricorrenza natalizia, farebbero
bene ad avvicinarsi con minore superficialità ai temi
del pluralismo religioso e della laicità, ricorrendo,
magari, proprio alle opere e all’esempio di vita del
Santo napoletano.
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