filosofia & religione
I FALÒ DI SANT’ANTONIO
LA CELEBRAZIONE DEL FUOCO AD ALFEDENA
di Alfredo Incollingo
Per secoli, fino agli anni
immediatamente successivi alla seconda
guerra mondiale, ad Alfedena (AQ), ogni
famiglia del paese lasciava il ciocco
più grande della propria provvista di
legna nei pressi della locale cappella
di Sant’Antonio Abate, per alimentare i
falò che si accendevano in occasione
della ricorrenza liturgica del santo (17
gennaio).
Ogni rione aveva il suo fuoco e, la
sera, i loro abitanti si riunivano
intorno a esso per riscaldarsi e per
mangiare carne di maiale e piatti tipici
alfedenesi. I falò erano accesi al
tramonto, quando i sacerdoti, sfilando
in processione, li benedivano insieme
con gli animali d’allevamento. Il santo
egiziano, infatti, era invocato da
secoli in Occidente quale patrono dei
macellai, dei contadini e degli
allevatori.
Diverse settimane prima la festa di
Sant’Antonio Abate, gli alfedenesi
acquistavano un maialino che accudivano
lasciandolo libero di girare per il
paese. Sfamato dalla popolazione, il 17
gennaio l’animale era ucciso e macellato
e si consumavano le sue carni intorno ai
falò, accompagnate da patate arrostite
sotto la cenere e dal cic’ rinat’,
una zuppa di granturco.
Proveniente da una famiglia contadina
benestante dell’antica Come, in Egitto,
Sant’Antonio aveva venduto tutti i suoi
beni per donare il ricavato ai poveri.
Il suo attributo,
“Abate”,
è indicativo del ruolo fondamentale che
ha avuto nella diffusione del
monachesimo nel mondo cristiano,
costituendo le prime comunità di monaci
poste sotto la guida di un padre
spirituale, l’Abbà.
Nel rito dei falò di Alfedena, simile a
tante altre manifestazioni celebrate lo
stesso giorno in Abruzzo e nell’Italia
centrale e meridionale, si riscontrano
molti rimandi alle antiche culture
indoeuropee.
Come ha ben evidenziato
Alfredo Cattabiani: «Si tratta
probabilmente di residui sincretistici
di feste precristiane, riti che
celebravano all’inizio dell’anno la
crescita del nuovo sole alle “Feriae
Sementinae” durante le quali si
lustravano campi e villaggi mentre buoi
e giovenche venivano inghirlandati di
fiori e lasciati in riposo».
D'altronde, proseugue Cattabiani, «nella storia dell’evangelizzazione è
sempre successo che i convertiti
trasferissero all’interno della nuova
fede usanze e riti della precedente,
perché si trattava di tradizioni a cui
non potevano rinunciare, pena la perdita
della loro identità».
L’accensione dei fuochi in onore di
Sant’Antonio Abate ha conservato
implicitamente una funzione magica. I
falò riscaldano la terra e gli esseri
viventi dal gelo dell’inverno,
rivitalizzandoli in vista della
primavera. Si è ipotizzato, infatti, che
siano state attribuite al santo alcune
prerogative religiose di divinità pagane
legate ai cicli di rinnovamento cosmico.
Scrive Cattabiani che in area francese,
ad esempio, Sant’Antonio era stato
associato al dio Lug, «colui che
risorgeva assicurando la resurrezione
dell’uomo e, ogni anno, il ritorno della
primavera, della “luce”: dunque garante
di fecondità e di nuova vita».
Il fuoco è anche un simbolo di
purificazione nella tradizione
cristiana. Oltre a vivificare il creato,
monda l’umanità dal peccato,
metaforizzabile nel buio e nel freddo
invernale.
La fiamma benedetta,
illuminando le tenebre, preannuncia così
la vittoria finale di Dio su Satana e
sui malvagi.
Scrive Alfredo Cattabiani, citando
l’antropologo Alfredo Maria Di Nola, che
«la tipologia del rito di accensione
dei fuochi invernali di Sant’Antonio è
ricca poiché esprime insieme la funzione
lustratoria attribuita al fuoco e gli
effetti apotropaici dell’allontanamento
delle streghe, delle influenze
invernali, dei morti, delle malattie».
Secondo Laura Fenelli, invece, l’usanza
di allevare un maiale in occasione della
festa di Sant’Antonio ha origini
medievali. Nei villaggi e nelle città
francesi, infatti, gli abitanti erano
soliti sfamare i suini di proprietà
dell’Ordine degli Ospedalieri Antoniani
che giravano liberamente per le strade e
nelle campagne.
I frati devoti a Sant’Antonio Abate
assistevano i malati di herpes zoster
o fuoco di Sant’Antonio,
curandoli con unguenti ricavati dal
grasso del maiale. Per questo motivo, i
suini allevati dagli antoniani erano
rispettati e accuditi. Nessuno li
maltrattava né osava rubarli. A
Sant’Antonio, infatti, gli si
attribuivano anche poteri taumaturgici e
lo si invocava di conseguenza per
guarire chi era affetto da malattie
molto gravi, come l’herpes zoster.
Bibliografia di riferimento:
A. Cattabiani, Calendario. Le feste,
i miti, le leggende e i riti dell’anno,
Mondadori, Milano 2014.
L. Fenelli, Dall’eremo alla stalla.
Storia di sant’Antonio Abate e del suo
culto, Laterza, Roma-Bari 2011. |