contemporanea
LA DEMOCRAZIA IN AMERICA
SULL'OPERA DI ALEXIS DE TOCQUEVILLE
/ PARTE II
di Letizia Magnolfi
Conquistata
la Sovranità, in America è cominciato
quel fenomeno storico che lo studioso
francese definisce come un processo
ineludibile verso l’Uguaglianza,
attraverso l’abbassamento e il
conseguente livellamento del censo.
Il popolo americano, scrive Tocqueville,
regna sovrano come sovrano regna “Iddio
nell’universo”, poiché esso è il
principio e la fine di tutto, la base
stessa della democrazia.
È il popolo che regna sovrano in
America; lo è nella forma delle
istituzioni e nei modi con cui porta
avanti interessi, opinioni, passioni.
Nel capitolo III della Democrazia I
Tocqueville afferma che “per conoscere
la legislazione e i costumi di un popolo
occorre cominciare con lo studiare il
suo stato sociale”.
Stato sociale che corrisponde a
“egualità nello stato delle condizioni”.
Secondo lo storico francese ha poco
senso opporsi alla democrazia: essa
sembra quasi frutto di un disegno
provvidenziale, sembra cioè un processo
ineluttabile della Storia, a cui perciò
diventa difficile opporsi. Invece che
tentare di ostacolarla, si deve
piuttosto discutere sul suo
funzionamento, analizzare le sue
caratteristiche peculiari e i suoi
possibili sviluppi.
Come risolve Tocqueville la questione
che lega il concetto politico di
Uguaglianza con le radici che di questa
si possono individuare nella religiosità
cristiana?
Il concetto astratto Eguaglianza
funge come punto di convergenza tra le
due sfere, quella politica e quella
religiosa. La democrazia si sposa per
sua natura con l’eguaglianza; “Il
governo democratico”, dice Tocqueville
dà l’idea dei diritti politici anche
all’ultimo dei cittadini”;
Nicola Matteucci, analizzando il
pensiero dello storico francese, afferma
che la religione e la forza della fede
conferiscono ordine laddove altrimenti
regnerebbe il caos della “soggettività”,
lo “spirito che avanza nelle tenebre”:
sembra quasi, dice Matteucci
«che con la “morte di Dio”, tutto è
permesso; e questo rende comprensibile
la sua [di Tocqueville] drastica
affermazione: “sono incline a pensare
che [l’individuo] se non ha fede,
bisogna che serva, e, se è libero, che
creda».
Ma il processo che conduce
all’Eguaglianza, ammonisce Tocqueville,
nasconde dei pericoli: esso “si verifica
con la scomparsa in seno alla società di
certi stabili fondati su prerogative
ereditarie, di classi stratificate, di
corporazioni e di quei nessi che
collegavano stabilmente nella ‘società
aristocratica’ gli individui tra loro e
realizza quindi una diversa composizione
del corpo sociale di tipo atomistico”.
La convinzione di Tocqueville è che il
processo verso standard egualitari in
senso alla società, debba essere
comunque posto sotto il controllo dei
precetti morali, che nel caso
dell’America sono quelli religiosi; il
principale compito della religione è
quello di “purificare, regolare,
moderare l’amore troppo ardente e troppo
esclusivo del benessere che gli uomini
sentono nel tempo di uguaglianza e di
lottare con successo contro lo spirito
di indipendenza individuale, che è per
essa, il più pericoloso di tutti.”
Merita a tal proposito fare un accenno
circa l’idea avanzata da Tocqueville
sulla proprietà privata, come questa in
particolare subisca un pericoloso
assestamento in senso egualitario nella
società americana. Il punto di vista è
quello di un aristocratico, anche se
Tocqueville, pur non definendosi mai
democratico, si sentiva un “liberale di
tipo nuovo”, come amava lui stesso
chiamarsi.
La legge sulle successioni in America
permette l’eguale divsione del
patrimonio tra tutti i figli. Questo
fatto provoca due conseguenze, entrambe
negative. Alla successione dei beni
equamente suddivisa segue un cambiamento
rivoluzionario nella natura della
proprietà, che si divide senza in
frazioni sempre più piccole.
Inoltre, la legge che permette l’eguale
divisione delle fortune esercita una sua
influenza anche “sull’animo dei
proprietari” e“chiama in aiuto le loro
passioni”. Secondo Tocqueville così si
distrugge il senso reale dell’Istituto
della Famiglia, il cui spirito si
materializza in un certo senso nella
terra, nel possesso territoriale:
«La famiglia rappresenta la terra, la
terra rappresenta la famiglia; essa
perpetua il nome, l’origine, la gloria,
la potenza, la virtù. È un testimonio
imperituro del passato e un pegno sicuro
dell’avvenire».
Laddove lo spirito familiare finisce,
avanza l’egoismo individuale, ognuno si
concentra al suo utile, al suo interesse
presente.
Sempre analizzando le conseguenze del
processo egualitario sulla proprietà
privata. Tocqueville non nasconde di
nutrire serie preoccupazioni che
riguardano la degenerazione del potere
democratico in una forma di “tirannide
della maggioranza”:
«Quando i cittadini sono tutti uguali
diviene loro assai difficile difendere
l’indipendenza contro gli attentati del
potere».
Utili a capire il pensiero di
Tocqueville su questo punto sono le
corrispondenze epistolari che lo storico
ebbe con Joseph Arthur conte di Gobineu,
segretario al ministero degli Esteri
dello stesso Tocqueville nel 1849,
durante la presidenza di Luigi
Napoleone.
La sua opera Saggio sulla
diseguaglianza delle razze non è
famosa quando quella dell’amico e
collega di studi, ma è comunque
importante perché sulle teorie lì
esposte si sviluppa la discussione tra i
due. Secondo Gobineau esistono degli
Stati che si affermano e si espandono ma
poi raggiungono anche la strada del
declino; la ragione di tutto ciò, sempre
per Gobienau, risiede nella
“degenerazione dei popoli”, che si
verifica quando un popolo mischia il suo
sangue con un altro.
Affermazione dura, intransigente, oggi
diremmo razzista con pochi margini di
dubbio.
In che modo Tocqueville affronta una
posizione così distante dalla propria?
Quali obiezioni presenta che anche lui
ritiene estrema?
In una lettera del 24 gennaio 1857
Tocqueville non nasconde all’amico di
rimanere sorpreso del fatto che, allo
stesso tempo, si professi cristiano e
costruisca una teoria con pretese di
scientificità basata sul principio di
diseguaglianza.
Cosa c’è di più chiaro, controbatte
Tocqueville nella Genesi se non l’unità
dell’Umanità e la solidarietà che regola
il rapporto tra gli uomini? E per quanto
riguarda il Cristianesimo, aggiunge
Tocqueville, non è un suo tratto
distintivo l’aver abolito ogni
distinzione di razza per fare della
specie umana una unica? Il Cristianesimo
tende per sua Natura a fare tutti gli
uomini legati dal principio naturale di
Uguaglianza, dunque la maggior parte
delle forme di cristianesimo presenti
nel mondo non possono conciliarsi con la
dottrina esposta da Gobienau.
E, riprendendo le parole di Petrucciani,
non potrebbe essere altrimenti, dato
«il carattere rivoluzionario del
messaggio cristiano, [che] è da vedersi
innanzitutto nel fatto che in esso il
tema dell’uguaglianza di tutti gli
uomini, che già era stato posto dallo
stoicismo, si tra svaluta in quello del
valore infinito di ogni singolo
individuo, in quanto creato da Dio».
Differenze tra Vecchio e Nuovo Mondo. La
decadenza europea degli antichi Mores
Tocqueville attua un’analisi comparata
tra fenomeno religioso in America e
fenomeno religioso in Europa, la quale
secondo l’aristocratico francese sta
subendo una crisi di valori quasi
inesorabile. Il timore, che emerge con
tutto il suo pessimismo, è che in
Europa si sta a mano a mano affievolendo
quell’anelito verso la libertà che
invece caratterizza in parecchie forme
l’America degli Stati dell’Unione. Egli
afferma provocatoriamente che in un
tempo in cui esisteva il dispotismo in
Europa, perlomeno esso contribuiva a
“mantenere negli spiriti l’amore della
libertà (…) [e] le opinioni e i costumi
elevavano intorno al potere regio delle
barriere note ma non meno potenti”.
«la religione, l’amore dei sudditi, la
bontà del principe, l’onore, lo spirito
di famiglia, pregiudizi di provincia, il
costume, e l’opinione pubblica
limitavano il potere del re e chiudevano
in un cerchio ristretto la loro
autorità».
L’Europa che vive Tocqueville è un paese
tormentato dalla crisi dei valori
morali, dal decadimento dei costumi,
incapaci di essere punto di riferimento
sia per quanto riguarda la moralità dei
singoli, che per quanto riguarda la
moralità delle istituzioni. Che, minate
dai (nefasti) esiti delle rivoluzioni -
quando cioè “il prestigio della regalità
è svanito in mezzo al tumulto delle
rivoluzioni” - sono stati lasciati in
balia di sovrani che “possono oramai
abbandonarsi senza timore al delirio del
potere”.
Nonostante nella democrazia americana si
insinuino striscianti pericoli che
portano il nome di “assuefazione”,
“graduale perdita all’affezione e
partecipazione politica”, “perdita dello
spirito civico”, “deriva atomistica
della società”, “eguaglianza come
appiattimento delle singole diversità”,
ed infine “tirannide della maggioranza”
come naturale conseguenza dei fattori
precedenti, sembra invece l’Europa dello
stesso tempo presagire gli esiti che
Tocqueville paventa per il Nuovo Mondo.
Inoltre, a differenza della rivoluzione
francese, quella americana non ha
demolito un’istituzione precedente, ma è
stata quella che ha legittimato e posto
in essere la Volontà comune del popolo
dell’Unione, di fatto sancendo uno dei
cardini del concetto di Rappresentanza
in età Moderna: la rappresentanza del
Popolo, di una Nazione come Volontà
generale.
Dall’altra parte dell’oceano invece, la
Franca è dominata ancora dalle
consuetudini che più che pitturare una
nuova società, sembrano più essere
conseguenza di una transizione politica
e sociale mai compiuta; un Paese
«dove invece la religione è ancora
abituata a sentirsi legata al potere
politico, sia quando lo sostiene, sia
quando lo osteggia; dove non c’è la
democrazia ma un suffragio elettorale
assai ristretto e insieme una
rivoluzione democratica impersonata da
partiti ad alta carica ideologica».
La deriva europea verso un dispotismo
nato sull’onda delle rivoluzioni è per
Tocqueville antitetica alle ambizioni di
ricerca di una società basata sul
principio di Eguaglianza, anzi: essa è
frutto di una distorsione del senso vero
di Democrazia.
In questa critica si inserisce anche
quella nei confronti del socialismo, il
quale è in radicale antitesi con la
democrazia liberale. La più grande colpa
del socialismo, dice Tocqueville, è
quella di volere l’eguaglianza in una
“condizione di servitù”, mentre la
democrazia vuole l’eguaglianza in una
“condizione di libertà”. A conferma di
quanto detto il socialismo nutre così
sfiducia nella libertà, che predilige un
stato paternalista, e si fa unico
proprietario di ogni cosa; così facendo,
seppure in termini diversi dal
dispotismo antico, si assume un potere
onnipotente sul popolo e “per” il popolo.
Sul Dispotismo. Una nuova forma di
oppressione politica
Il dispotismo che può sorgere da una
degenerazione delle democrazie è una
forma che si distacca totalmente da
quelle antiche.
A differenza dei secoli passati la nuova
forma di dispotismo si caratterizza per
gravare non solo su dei singoli, ma su
un’intera maggioranza:
«Al tempo della massima potenza dei
Cesari, i diversi popoli che abitavano
il mondo romano avevano conservato
ancora usi e costumi diversi: la maggior
parte delle province, benché sottoposte
allo stesso monarca, erano amministrate
a parte; in esse fiorivano municipi
potenti e attivi e sebbene il governo
dell’impero fosse accentrato nelle mani
dell’imperatore, il quale era sempre
all’occorrenza arbitro di ogni cosa, i
particolari della vita sociale e
dell’esistenza individuale sfuggivano
generalmente al suo controllo».
In tempi in cui l’eguaglianza delle
condizioni sta sempre più prendendo
campo, Tocqueville dubita circa il fatto
che possa ripetersi una simile
condizione di potere, ma crede che una
nuova forma di oppressione possa
caratterizzarsi in un potere tutelare,
paternalistico, a tratti “regolare,
previdente e mite”, ma che in sostanza
mira a una società formata da uomini non
attivi politicamente, fermi a uno stato
infantile del loro impegno civico. Si
parla di un potere che è legittimo, non
un potere tirannico
ex parte exercitii;
il pericolo maggiore sta nell’essere
sommersi dalla coltre del conformismo,
dell’indifferenza e dell’apatia:
Così ogni giorno esso rende meno
necessario e più raro l’uso del libero
arbitrio, restringe l’azione della
volontà in più piccolo spazio e toglie a
poco a poco a ogni cittadino perfino
l’uso di se stesso. L’eguaglianza ha
preparato gli uomini a tutte queste
cose, li ha disposti a sopportarle e
spesso anche a considerarle come un
beneficio.
Conclusioni
Con La Democrazia in America
Tocqueville ha aperto uno scenario di
dibattito, che iniziato al suo tempo,
continua ad essere di stretta attualità,
dal momento che i temi, che vanno
dall’analisi del sistema politico,
passando per la trattazione della
posizione occupata dalla religione nella
società, dell’importanza dei mores,
fino alla questione, anche se in
quest’opera solo accennata, della
schiavitù, costituiscono ancora oggi il
fulcro delle grandi problematiche
connesse alla storia dell’Occidente.
Tocqueville è un uomo dei suoi tempi: un
aristocratico le cui radici
inevitabilmente influiscono sulle sue
convinzioni, un uomo che ha vissuto
sulla propria pelle gli sconvolgimenti
della Rivoluzione (tanti furono gli
amici e i parenti caduti sotto la lama
della ghigliottina). Conseguentemente la
sua opinione nei confronti di ciò che è
avvenuto in Europa non può che essere
negativa.
Come del resto però deprecabile da parte
sua è la tendenza verso una preoccupante
decadenza dei costumi tradizionali, sui
cui l’Europa di un tempo poteva
sorreggersi: la famiglia, l’istituto
monarchico, i privilegi legati ad uno
status di condizione in cui le fortune
proprie non erano detestabili, ma
rappresentavano il segno tangibile di
una storia che si tramandava nel tempo.
Il popolo, dice Tocqueville, ha così
“conservato la maggior parte dei
pregiudizi degli avi senza conservarne
la fede; l’ignoranza senza le virtù; ha
preso come regola delle sue azioni la
dottrina dell’interesse senza conoscerne
la scienza, e il suo egoismo è
sprovvisto di discernimento come era un
tempo la sua devozione.
Avverso profondamente a un sistema
costruito sulle ceneri della monarchia,
Tocqueville giunge in America e, con sua
inimmaginabile sorpresa, scopre un
“nuovo mondo” in cui la Libertà, di cui
in Europa si è perso il vero senso, si
concretizza in un terreno di Democrazia.
Durante il suo soggiorno Tocqueville si
interroga, giungendo alla conclusione
che sussiste una tendenza generale dei
popoli verso questo stato che non è solo
politico ma anche sociale, in altre
parole lo “sviluppo graduale
dell’uguaglianza delle condizioni”, è un
fatto provvidenziale … universale,
duraturo, [che] sfugge alla potenza
dell’uomo”.
Tocqueville non si prefigge lo scopo di
indicare agli Europei la Via più giusta
per stabilire un sistema civile e
sociale più equo, ma presenta una
possibilità, una via praticabile che
l’America ha portato avanti e la
sottopone al giudizio degli altri con la
sua opera. Nondimeno sottolinea che la
democrazia degli stati dell’Unione è da
considerarsi “il solo mezzo per essere
liberi che…resta” e, per Tocqueville, ci
si deve persuadere ad adottare essa
“come il più pratico e il più onesto
rimedio che si possa apporre ai modi
presenti della società”.
Riferimenti bibliografici:
Alexis de Tocqueville, La Democrazia
in America, Bur – Biblioteca
Universale Rizzoli, Milano, 1999.
Alexis de
Tocqueville, Selected letters on
politics and society, Edited by
Roger Boesche, University of California
Press, 1985.
Politeia Biblica, a cura di Lea
Campos Boralevi e Diego Quaglioni, Leo
S. Olschki Editore, giugno 2003.
Nicola Matteucci, Alexis de
Tocqueville. Tre esercizi di
lettura, Il Mulino, Bologna 1990.
Anna Maria Battista, Studi su
Tocqueville, introduzione di
Francesco De Sanctis, Centro Editoriale
Toscano, 1989.
Stefano Petrucciani, Modelli di
Filosofia politica, Piccola
Biblioteca Einaudi, Torino, 2003. |