contemporanea
LA DEMOCRAZIA IN AMERICA
SULL'OPERA DI ALEXIS DE TOCQUEVILLE
/ PARTE I
di Letizia Magnolfi
«Io
so,
senza
che il Creatore elevi la
voce,
che
gli
astri seguono nello spazio
le traiettorie
che
il Suo dito ha tracciato».
Alexis de Tocqueville
L’opera Il primo ringraziamento
della pittrice americana Jenny
Brownscombe (1850-1936) è diventato un
simbolo tra i più rappresentativi ed
emblematici della storia dei Pilgrim
Fathers in America: un gruppo di
padri appena giunti nel Nuovo Mondo si
riunisce in preghiera per ringraziare
Dio della salvezza raggiunta nella
“Terra promessa” dopo il lungo viaggio
dall’Europa, terra dell’intolleranza e
delle persecuzioni religiose.
Questo dipinto ben rappresenta la
retorica, la simbologia e l’insieme
delle ritualità celebrative che
costituiscono il processo di formazione
degli Stati Uniti, nati sulla
dichiarazione di indipendenza dalla
corona inglese; simbologia, retorica, ma
anche insieme di costumi, tradizioni che
sono parte inscindibile del processo
culturale e della “forma mentis” di
questo paese, o almeno di quella parte
che fonda le radici della sua storia
direttamente nelle peregrinazioni dei
primi perseguitati religiosi.
Lo storico che tra i primi si è occupato
di offrire un quadro completo
dell’America dell’epoca, quella cioè che
da poche decine di anni si era
auto-fondata sulla base di una nuova
costituzione democratica, è stato un
europeo. Aristocratico di nascita,
legato per radici familiari alla
dinastia borbonica, convinto cattolico,
avverso agli esiti in seno all’Europa e
soprattutto alla Francia, della
Rivoluzione Francese,
il
visconte Alexis Henri Charles de
Clérel de Tocqueville, meglio noto come
Alexis de Tocqueville, è considerato tra
gli storici-sociologi di maggior valore
che si sono occupati del caso americano
nel XIX secolo.
La sua opera più importante, La
Democratie en Amerique è una base di
studio nonché nutrito insieme di spunti
di riflessione politici, morali e
sociali, per capire e approfondire
taluni aspetti che hanno caratterizzato
il dibattito dell’età moderna e poi
contemporanea, ma che sono di Antica
memoria: i concetti di Libertà,
Democrazia e Uguaglianza.
La Democrazia in America è il
resoconto del viaggio attuato nel 1831
con l’amico Gustave de Beaumont, dopo
che il governo francese aveva incaricato
i due di svolgere delle indagini sul
sistema penitenziario americano. I due
storici non furono tanto colpiti dal
suddetto sistema, sui cui peraltro
Tocqueville redasse puntualmente una
relazione per il governo, ma
dall’insieme dei costumi, delle
abitudini della popolazione americana e
soprattutto dall’importanza della
religione e come essa aveva preso campo
nella società.
Tocqueville intende mostrare, con
l’esempio dell’America e dei suoi
costumi, come un popolo possa essere
libero, o almeno di mostrare una
possibile forma di modello politico
nuovo per l’Europa nel quale l’uomo
possa sentirsi tale.
La Religione come trait d’union
morale tra Libertà e Democrazia
Per usare le stesse parole di Candeloro,
che nell’edizione di Rizzoli cura l’Introduzione
all’opera, «”La Democrazia in
America” è al tempo stesso uno studio
sull’ordinamento degli Stati Uniti e una
ricerca sulle istituzioni e le tendenze
generali della democrazia nel campo
politico, sociale, culturale e morale».
Tocqueville è il primo studioso ad aver
intuito lo stretto legame, nell’America
dell’epoca esisteva, tra libertà
repubblicana, democrazia e religione.
Dalla lettura di quest’opera si possono
avanzare ipotesi che rimandano
all’interpretazione in chiave politica
delle Sacre Scritture, quindi
all’influenza che esse hanno avuto sul
sistema politico americano. In
particolare la politeia biblica,
cioè la creazione di modelli politici
sulla base di quanto scritto nella
Bibbia, è stata determinante nella
formazione della democrazia americana:
secondo Maria Teresa Picchetto il popolo
americano, profondamente attaccato alla
religione puritana, tende a
identificarsi con il popolo eletto da
Dio, gli Ebrei, cercando continuamente
rassomiglianze tra il proprio destino e
quello israelita, per giustificare in
questo modo il senso della libertà
ricercata nel Nuovo Mondo e la fuga come
atto di ribellione. I sermoni recitati a
quel tempo cercavano, non a caso, di
interpretare i fatti e le circostanze
del presente citando direttamente i
passi della Bibbia.
Secondo un altro storico contemporaneo,
Michael Walzer, che nel saggio Esodo
e Rivoluzione si è occupato di
questi temi, la parola della Bibbia,
attraverso il paradigma dell’Esodo, è al
tempo stesso sia un modello di
ispirazione di un moto di resistenza di
un Popolo, sia uno strumento il cui
linguaggio usato e mutuato in termini
politici, legittima e conferisce
spessore ai modelli politico
istituzionali nati sulle basi dei
principi prima esposti: resistenza,
liberazione dall’oppressione, ricerca
della libertà.
In tema di Liberazione, per usare un
termine biblico, ma per riferirci più a
un’accezione politica, parla anche
Tocqueville, quando racconta di una
riunione pubblica tenuta in una non
precisata città del Nuovo Mondo, in
difesa dei polacchi europei. L’episodio
si riferisce al moto indipendentista di
alcuni polacchi – per lo più militari e
intellettuali – avvenuto nel 1831 contro
la Russia, di cui la Polonia era
diventata uno stato satellite, sull’onda
dei successi francesi che avevano
scacciato Carlo X: «Dio
onnipotente! Dio degli eserciti! Tu che
hai dato coraggio e hai sostenuto il
braccio dei nostri padri, quando
difendevano i sacri diritti della loro
indipendenza nazionale; tu che li hai
fatti trionfare su un’odiosa oppressione
e hai accordato al nostro popolo i
benefici della pace e della libertà, o
Signore volgi un occhio benigno verso
l’altro emisfero e abbi pietà di un
popolo eroico che oggi lotta, come noi
già lottammo, per difendere gli stessi
diritti! Signore, tu che hai creato gli
uomini su uno stesso modello, non
permettere che il dispotismo deformi la
tua opera e conserva sulla terra
l’eguaglianza».
Questa retorica storico-culturale che
caratterizzò alla nascita la formazione
degli Stati Uniti d’America, è
inestricabilmente connessa a una cultura
religiosa che affonda le sue origini nel
cristianesimo protestante, ed è avverso
quasi per Natura al Potere concepito non
solo in senso dispotico, ma anche
monarchico, peculiarità tutta americana.
Il substrato religioso delle istituzioni
politiche americane
«Al mio arrivo negli Stati Uniti fui
colpito
anzitutto dall’aspetto religioso del
paese.
Via via che prolungavo il mio soggiorno,
scorgevo le grandi conseguenze politiche
di questo fatto».
Alexis de Tocqueville
La storica contrapposizione che
Tocqueville cerca di risolvere nella sua
opera è quella che sussiste tra spirito
di religione e spirito di libertà.
Cercando di oltrepassare l’antitesi,
Tocqueville concilia Cristianesimo,
Libertà e Democrazia affermando che un
libero Stato non può sussistere se non
esistono all’interno di esso autentiche
passioni religiose.
La riflessione a cui giunge Tocqueville
osservando la civiltà americana, è che
in questi stati la religione occupa una
posizione importantissima e - fatto
fondamentale - non è presente una
commistione tra politica e religione per
quanto riguarda la Legge che disciplina
l’organizzazione delle Istituzioni.
Anzi, al contrario la presenza della
religione contribuisce a rafforzare la
lealtà alle istituzioni stesse. A tal
proposito scrive Tocqueville: «La
maggior parte dell’America inglese è
stata popolata da uomini, che dopo
essersi sottratti all’autorità del papa,
non si erano sottomessi ad alcuna
autorità religiosa; essi portarono nel
nuovo mondo un cristianesimo che non
saprei definire meglio che democratico e
repubblicano. Questo fatto favorì
grandemente lo stabilirsi della
repubblica e della memoria nella
politica».
La popolazione americana in termini
religiosi rifiuta quindi l’autorità
papale e si riconosce, in maggioranza,
nella religione protestate, che non
prevede intermediari tra l’individuo e
l’interpretazione delle Sacre Scritture.
Si rigetta poi l’autorità monarchica
come istituzione (e non solo come
dittatura quale sua possibile
degenerazione) in favore di
un’istituzione democratica e
repubblicana, sancita con la
dichiarazione di indipendenza del 1776.
Detta dichiarazione rappresentò l’atto
ufficiale di ribellione verso il residuo
del rapporto di obbedienza e devozione
all’Europa anglosassone e al suo
Sovrano. Già prima di questa storica
data, in America si era sviluppata una
retorica intorno ai modi e alle
possibilità di costruire una nazione
indipendente.
Franklin aveva anticipato queste idee
nel 1749 a Philadelphia, in un discorso
che riguardava le proposte relative
all’educazione delle giovani
generazioni, Proposal relating to the
Education of Youth in Pennsylvania,
sostenendo che era indispensabile una
“religione pubblica”; soprattutto
sottolineava l’eccellenza della
religione cristiana nel contesto della
vita pubblica e privata.
Nel 1774 Jefferson, tra i padri
fondatori della Costituzione,
riepilogava i diritti dei coloni
americani in A summary View of
British America. Contro la gestione
governativa della Gran Bretagna, e per
giustificare il rifiuto del pagamento
delle tasse senza una rappresentazione
in Parlamento, citava le discendenze
sassoni della stessa Gran Bretagna:
prima ancora degli inglesi emigranti
verso il Nuovo Mondo erano stati gli
antenati inglesi, cioè i Sassoni, a
cercare nuove terre per riappropriarsi
di quel diritto di Natura che le terre
selvagge del Nord non permettevano di
soddisfare. Quelle terre in cui poi è
stato stabilito un sistema di leggi che
ha fatto la storia e l’origine della
Gran Bretagna.
Qualche decennio dopo la rivoluzione
avvenuta, John Quincy Adams, nel 1818,
affermava che essa era avvenuta
addirittura prima del 1776, nelle
“menti” e nelle anime delle persone, e
oltre che a un cambiamento politico, era
“a change in their religious sentiments
of their duties and obligations”, un
cambiamento di natura religiosa degli
obblighi e dei doveri dei coloni
americani. Con chi è verso chi allora
gli americani stringevano un nuovo patto
di governo?
Così come gli Ebrei prima di Samuele
avevano stipulato un patto con Dio che
in questo modo era diventato il loro
unico Re, anche i puritani americani
avevano con il divino stipulato un
patto, la Costituzione; per questo
motivo essi ritenevano giusto staccarsi
dal sovrano terreno, come afferma la
Picchetto in questo estratto: «Questa
influenza
[l’eredità di Israele] portò nel
XVIII secolo, e soprattutto nelle menti
dei rivoluzionari, l’idea,
originariamente elaborata nei sermoni e
nei trattati del periodo
dell’insediamento (settlement), che la
colonizzazione dell’America per mezzo
dei puritani, nuovo popolo eletto, era
stato un evento voluto dalla mano di Dio
per soddisfare i suoi scopi ultimi:
quindi l’America godeva di un posto
speciale nell’architettura dei disegni
di Dio».
La componente religiosa è dunque una
parte essenziale, caratterizzante il
sentimento patriottico, fattore
sostanziale dello spirito civico
americano, strumento di edificazione
sociale e nazionale. Potere politico e
forza della religione, ricordando che
questo non attiene alla normatività
delle istituzioni, sono vicendevolmente
in osmosi quando si tratta di
legittimarsi e rafforzarsi, l’una
garantisce l’altra.
La conferma di questo dato è data dallo
stesso Tocqueville, che non manca di
riportare la posizione dei
rappresentanti religiosi circa
l’importanza della difesa delle
istituzioni repubblicane:
«Voi pensate che questi uomini
agiscano unicamente in considerazione
dell’altra vita, ma vi sbagliate;
l’eternità non è una delle loro cure. Se
interrogate questi missionari della
civiltà cristiana, resterete sorpresi
nel sentirli parlare tanto spesso dei
beni di questo mondo e nel trovare dei
politici dove credevate di trovare dei
religiosi: “tutte le repubbliche
americane”, vi diranno “sono solidali le
une con le altre; se le repubbliche
dell’Ovest cadessero nell’anarchia o
subissero o correrebbero un grave
pericolo; abbiamo dunque interesse che i
nuovi stati siano religiosi, affinché
essi ci permettano di restare liberi».
Nello specifico caso americano il ruolo
della religione sembra rafforzato sia
dalla forma che il Cristianesimo si è
dato – Tocqueville parla più in termine
di libere Chiese in libero Stato che di
una sola singola credenza – sia dalla
struttura dello Stato: democratico,
repubblicano e federale. Tocqueville
dunque non è un difensore del potere
pubblico soggetto alla Fede religiosa ma
d’altronde ritiene che un libero Stato
non potrebbe fiorire se non fosse
nutrito dell’Essenza del Cristianesimo.
La convinzione di Tocqueville circa il
fatto che la libertà in America sia
indubbiamente garantita dalla presenza
della Religione sotto forma di più
diramazioni che fanno comunque
riferimento al Cristianesimo, è ribadita
quando parla delle “innumerevoli”
fazioni religiose: ogni gruppo religioso
ha le sue regole, ma tutti professano
tutte la stessa morale e obbediscono
allo stesso Dio:
«I sacerdoti americani si pronunciano in
generale in favore della libertà
politica, senza eccezione di quegli
stessi che non ammettono affatto la
libertà religiosa; tuttavia essi non
oppongono in particolare nessun sistema
politico. […] Non si può dire dunque che
negli Stati Uniti la religione eserciti
un’influenza sulle leggi né sui
particolari delle opinioni politiche.
Essa dirige i costumi e, regolando la
famiglia, lavora a regolare lo Stato».
Anche nelle istituzioni religiose si
trova quindi un’organizzazione similare
a quella politica di forma repubblicana:
il Potere è equamente distribuito tra
forze che si controllano
vicendevolmente, ubbidendo alle medesime
leggi.
Riferimenti bibliografici:
A. de Tocqueville, La Democrazia in
America, Bur – Biblioteca Universale
Rizzoli, Milano, 1999.
A. de Tocqueville, Selected letters
on politics and society, Edited by
Roger Boesche, University of California
Press, 1985.
Politeia Biblica,
a cura di Lea Campos Boralevi e Diego
Quaglioni, Leo S. Olschki Editore,
giugno 2003.
N. Matteucci, Alexis de Tocqueville.
Tre esercizi di lettura, Il
Mulino, Bologna 1990.
A.M. Battista, Studi su Tocqueville,
introduzione di Francesco De Sanctis,
Centro Editoriale Toscano, 1989.
S. Petrucciani, Modelli di Filosofia
politica, Piccola Biblioteca
Einaudi, Torino, 2003. |