contemporanea
ALEXANDRE DUMAS E LA STORIA
DAL DRAMMA ALL’ARTE
di Marialuisa Dus
Figlio di un generale napoleonico
creolo, Alexander Dumas (1802-1870) ebbe
straordinaria fortuna tra il pubblico
dell’epoca come romanziere. Oggi è
ricordato come il padre del Conte di
Montecristo e del Ciclo dei
moschettieri, capolavori della
letteratura francese dell’Ottocento. «La
storia è il chiodo al quale appendo i
miei romanzi», affermava lo
scrittore. A far peregrinare il vivace
Dumas tra cronaca e arte è l’interesse
per la storia che lo guida al connubio
tra genio e bellezza.
Rimasto orfano del padre in tenerissima
età, Dumas cresce con la madre in
ristrettezze economiche trascurando lo
studio fino a quando, ventenne, lascia
la cittadina dov’è nato per trasferirsi
a Parigi e lavorare come copista alla
corte del Duca di Orléans. Sogna poesia
e teatro e così abbandona presto
l’impiego di scrivano avuto grazie
all’appoggio del generale Foy e si
dedica alla stesura di testi teatrali e
allo studio dei classici.
L’amore per il teatro si era acceso già
prima dell’arrivo a Parigi, nel
giovanissimo Dumas, grazie alle opere di
Walter Scott. Mentre i suoi drammi sono
osannati dal pubblico parigino, nel
1824, dalla relazione con
Marie-Catherine Labay nasce Alexander,
figlio omonimo.
Il successo degli anni Venti tocca il
culmine nel 1829 con Enrico III e la
sua corte, primo dramma romantico,
e trionfa due anni dopo con
Antony, dramma di travolgente
passione. L’amore per il teatro
lo spinge nel 1847 a investire nella
costruzione di un teatro di proprietà
che poco dopo fallisce. A metà degli
anni Trenta Dumas diventa imprenditore
del suo talento, sposa l’invenzione
della stampa economica e, avvalendosi di
collaboratori, pubblica sui giornali per
intrattenere un pubblico più vasto.
A inaugurare la stagione degli anni
Quaranta, quando Dumas con i romanzi a
puntate guadagna notorietà, è il
soggiorno toscano del 1840-1843 che
compie con Ida Ferrier, attrice da poco
sua moglie. I viaggi nel Mediterraneo
hanno grande risonanza nell’opera dello
scrittore che firma non meno di trecento
volumi nella sua carriera.
Dagli anni Trenta in poi, raggiunta
l’agiatezza, viaggia all’estero con il
taccuino sempre con sé. Da brillante
drammaturgo diventerà memorialista
enciclopedico, curioso di cronaca alla
continua ricerca di fonti documentali. I
frequenti tour all’estero terminano in
età matura con un viaggio da San
Pietroburgo al Caucaso e i successivi
soggiorni in Austria, Ungheria e
Germania.
La serie di Impressioni di viaggio
ha inizio nel 1832 con il resoconto del
tour elvetico che lo conduce fino alle
Isole Borromee. Nella primavera di
quell’anno, colpito dal colera che
devastò Parigi, parte per una
convalescenza in Svizzera. Fiero
repubblicano e noto oppositore del
regime di Luigi Filippo, venuto a
conoscenza di un possibile arresto, si
mette in viaggio verso le Alpi.
Dall’Isola Bella scrive alla madre: «Questo
viaggio mi sarà utilissimo per la mia
salute, che tu hai visto così cattiva e
che ora è tornata eccellente, e inoltre
per dei lavori letterari che per tutto
l’inverno mi dispenseranno dal lavorare
ai drammi che tanto mi affaticano».
Nel 1835 Dumas viaggia nuovamente in
Italia per visitare la penisola, da
Genova a Palermo e poi, ancora, nel
1860-1864 per soggiornare in Sicilia e a
Napoli, dove sostiene la spedizione dei
Mille e fonda l’Indipendente,
quotidiano bilingue. Poco dopo l’arrivo
pubblica Le memorie di Garibaldi
e I garibaldini e come
ricompensa, dal generale italiano,
ottiene l’incarico di sovrintendente dei
musei partenopei.
L’esperienza a Firenze degli anni
Quaranta, in aggiunta agli altri
soggiorni italiani, avvalora la
produzione dumaniana di nuove note
storico-artistiche. Le impressioni di
Dumas viaggiatore, continuamente in fuga
e in cerca d’ispirazione, sono raccolte
in diari e racconti: Un anno a
Firenze, Lo Speronare, Il Corricolo
e Villa Palmieri.
Dagli scritti di quegli anni si evince
il valore del soggiorno italiano. Al
rientro in Francia nel 1844 Dumas
pubblica uno dei più celebri romanzi
storici d’appendice, il più riadattato
dal cinema: Il Conte di Montecristo.
Il riferimento all’arte, ai costumi e,
più in generale, alla storia d’Italia è
una costante.
Roma con i palazzi e i ruderi antichi
primeggia, molte le scene ambientate nei
dintorni della città vaticana dove “il
brigantaggio non è mai stato estirpato”.
Attraverso acute e concitate
descrizioni, con l’abilità del regista,
Dumas fa vivere ai lettori il carnevale
romano e scoprire le catacombe di San
Sebastiano. «Farò decorare il carro,
ci vestiamo da mietitori napoletani e
rappresentiamo dal vero il magnifico
quadro di Leopold Robert», dice
Franz ad Albert mentre si preparano per
la mascherata.
Figlio del suo tempo, Dumas sposa lo
spirito dei giovani artisti e
aristocratici che dall’estero
raggiungono l’Italia per studiare e
dilettarsi. Appare a intermittenza, tra
i dialoghi, la Roma d’inizio Ottocento
dove i monumenti in rovina ricordano le
incisioni di Giovanni Battista Piranesi.
Ripetuti i rimandi anche agli artisti
italiani: Giotto che “da bambino
disegnava su lastre di ardesia le sue
pecore, gli alberi, le case”,
Bartolomeo Pinelli, incisore e “scultore
popolare” e Francesco Albani.
L’irrequieto scrittore, in fuga da
Parigi per bancarotta, arrivato a
Firenze nel 1840 riceve un’offerta
generosa: redigere un testo sui tesori
della Galleria degli Uffizi. L’incarico
lo condurrà a una capillare ricerca
d’informazioni, alla consultazione di
manoscritti e bibliografie.
Nel 1844 esce La Galleria di Firenze
in cinque volumi contenente
diverse incisioni alcune di Hector
Garriod. Mentre i primi due volumi sono
dedicati alla Storia della pittura
dagli egiziani ai giorni nostri e
raccolgono biografie e
aneddoti sui maggiori artisti
presenti nella Galleria, i restanti tre,
Galleria di Firenze incisa su rame
per una società di amatori,
attraverso un corredo di note illustrano
le maggiori opere, riprodotte dai
migliori incisori dell’epoca.
Dopo aver trattato di pittura antica
Dumas scrive le vite dei massimi artisti
del Rinascimento italiano: Masaccio,
Pietro Perugino, Leonardo da Vinci,
Raffaello Sanzio, Tiziano Vecellio e
Giorgione da Castelfranco. Poi, affronta
l’opera di pittori fiamminghi, Lucas
Cranach, Hans Holbein e Quentin Metsys,
e di altri maestri italiani, Giovanni
Bellini, Andrea del Sarto, Fra
Bartolomeo, Giulio Romano, il
Primaticcio, Baccio Bandinelli,
Baldassarre Peruzzi, Giovanni Antonio
Bazzi detto il Sodoma, Bernardino
Pinturicchio e Andrea Mantegna.
L’interesse per la storia dell’arte si
affianca a quello per la storia delle
grandi dinastie. Le vicende criminali
delle potenti famiglie appassionano
Dumas. I Borgia, I Borboni di
Napoli, La Casa dei Savoia
sono i lavori che dedica ai nobili
casati italiani. La prefazione del libro
sulla collezione d’arte fiorentina è
composta di due capitoli sull’epopea
della famiglia dei Medici.
Un anno dopo, Dumas pubblica I Medici
in forma autonoma aggiungendo il
capitolo sulla Casa dei Lorena.
Non è l’unico esempio di riedizione di
testi che compongono La Galleria di
Firenze. Nel 1843-1845 alcuni saggi
riguardanti gli artisti italiani
compaiono su riviste francesi: Masaccio
e Fra Bartolomeo in L’Artiste,
settimanale di letteratura e belle arti,
Tiziano Vecellio in La Chronique de
Paris, mensile fondato da
Honoré de Balzac e Il Primaticcio
in Revue pittoresque.
Il monumentale lavoro per la Galleria
degli Uffizi avvicina il quarantenne
Dumas all’arte italiana, e ancor più al
Rinascimento fiorentino. La storica
dell’arte Laetitia Levantis in Il
Rinascimento fiorentino visto da
Alexandre Dumas scrive: «Il suo
atteggiamento nei confronti della storia
dell’arte è del tutto paragonabile alla
sua concezione della storia in generale
che considera un soggetto “popolare” e
utile ai suoi lettori. È in virtù di
questo convincimento che egli accorda
grande importanza all’accessibilità del
sapere e della cultura».
Un’edizione di pregio, a tiratura
limitata, divenuta presto introvabile,
costruita servendosi di testi di storici
e teorici dell’arte, scritti tra il XVI
e XVIII secolo. Leggendo le vite dei
Tre Maestri. Michelangelo, Tiziano,
Raffaello, riedizione dei saggi
contenuti in La Galleria di Firenze,
risaltano alcune importanti fonti: Le
vite de’ più illustri pittori, scultori
e architetti di Giorgio Vasari,
Vita di Benvenuto scritta da lui
medesimo di Benvenuto Cellini, Le
meraviglie dell’arte di Carlo
Ridolfi e Storia pittorica
dell’Italia di Luigi Antonio Lanzi.
Protagonista del romanzo d’avventura
Ascanio è lo scultore e orafo
Benvenuto Cellini che nel 1540-1545
lavora alla corte di Francesco I di
Francia. L’esuberante artista fiorentino
conviene alla figura romantica che Dumas
cerca per i suoi romanzi di cappa e
spada.
Nel restituire le vite degli artisti
Dumas non si limita all’attendibilità
dei fatti, esplora l’ambiente in cui
prendono forma creazioni e personalità
esprimendo giudizi: «E vedete quel
giovane uomo che si dirige al Vaticano
circondato da una corte di cardinali e
da una folla di allievi? Lui è l’angelo
delle infinite misericordie, lui è
Raffaello. Se s’incontrassero è così che
si rivolgerebbero l’uno all’altro:
“Accompagnato come un re!” direbbe
Michelangelo. “Solo come un boia!”
risponderebbe Raffaello».
Dumas delinea l’identità dell’artista
attraverso il racconto di aneddoti,
profusi d’ironica leggerezza. «Nello
svolgere coscienziosamente il
prestigioso ruolo di cicerone e guida,
Vasari pensò bene di portare a Tiziano
il grande Buonarroti […] Michelangelo
rimase a lungo di fronte alla Danae […]
Non appena uscirono l’artista scrittore
si affrettò a chiedere al venerabile
compatriota e amico quale fosse la sua
vera opinione sul talento di Tiziano.
“Ve l’ho già detto – rispose bruscamente
l’inflessibile vegliardo – non ci sono
elogi sufficienti per il genio di
quell’uomo. Ma è comunque un peccato che
a Venezia non s’impari presto a
disegnare e che la scuola veneziana non
sia più rigorosa” […] Questo giudizio,
per quanto duro possa sembrare ai
compatrioti e agli ammiratori
dell’artista veneziano, è stato
confermato dai posteri, ma è anche vero
che Michelangelo – afferma Dumas –
sentenziò sulla base di due opere minori
e che mentre elogiava a gran voce
Tiziano, sotto sotto pensava a Raffaello». |