[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 153 / SETTEMBRE 2020 (CLXXXIV)


contemporanea

ALEXANDRE DUMAS E LA STORIA

DAL DRAMMA ALL’ARTE

di Marialuisa Dus

 

Figlio di un generale napoleonico creolo, Alexander Dumas (1802-1870) ebbe straordinaria fortuna tra il pubblico dell’epoca come romanziere. Oggi è ricordato come il padre del Conte di Montecristo e del Ciclo dei moschettieri, capolavori della letteratura francese dell’Ottocento. «La storia è il chiodo al quale appendo i miei romanzi», affermava lo scrittore. A far peregrinare il vivace Dumas tra cronaca e arte è l’interesse per la storia che lo guida al connubio tra genio e bellezza.

 

Rimasto orfano del padre in tenerissima età, Dumas cresce con la madre in ristrettezze economiche trascurando lo studio fino a quando, ventenne, lascia la cittadina dov’è nato per trasferirsi a Parigi e lavorare come copista alla corte del Duca di Orléans. Sogna poesia e teatro e così abbandona presto l’impiego di scrivano avuto grazie all’appoggio del generale Foy e si dedica alla stesura di testi teatrali e allo studio dei classici.

 

L’amore per il teatro si era acceso già prima dell’arrivo a Parigi, nel giovanissimo Dumas, grazie alle opere di Walter Scott. Mentre i suoi drammi sono osannati dal pubblico parigino, nel 1824, dalla relazione con Marie-Catherine Labay nasce Alexander, figlio omonimo.

 

Il successo degli anni Venti tocca il culmine nel 1829 con Enrico III e la sua corte, primo dramma romantico, e trionfa due anni dopo con Antony, dramma di travolgente passione. L’amore per il teatro lo spinge nel 1847 a investire nella costruzione di un teatro di proprietà che poco dopo fallisce. A metà degli anni Trenta Dumas diventa imprenditore del suo talento, sposa l’invenzione della stampa economica e, avvalendosi di collaboratori, pubblica sui giornali per intrattenere un pubblico più vasto.

 

 

A inaugurare la stagione degli anni Quaranta, quando Dumas con i romanzi a puntate guadagna notorietà, è il soggiorno toscano del 1840-1843 che compie con Ida Ferrier, attrice da poco sua moglie. I viaggi nel Mediterraneo hanno grande risonanza nell’opera dello scrittore che firma non meno di trecento volumi nella sua carriera.

 

Dagli anni Trenta in poi, raggiunta l’agiatezza, viaggia all’estero con il taccuino sempre con sé. Da brillante drammaturgo diventerà memorialista enciclopedico, curioso di cronaca alla continua ricerca di fonti documentali. I frequenti tour all’estero terminano in età matura con un viaggio da San Pietroburgo al Caucaso e i successivi soggiorni in Austria, Ungheria e Germania.

 

La serie di Impressioni di viaggio ha inizio nel 1832 con il resoconto del tour elvetico che lo conduce fino alle Isole Borromee. Nella primavera di quell’anno, colpito dal colera che devastò Parigi, parte per una convalescenza in Svizzera. Fiero repubblicano e noto oppositore del regime di Luigi Filippo, venuto a conoscenza di un possibile arresto, si mette in viaggio verso le Alpi. Dall’Isola Bella scrive alla madre: «Questo viaggio mi sarà utilissimo per la mia salute, che tu hai visto così cattiva e che ora è tornata eccellente, e inoltre per dei lavori letterari che per tutto l’inverno mi dispenseranno dal lavorare ai drammi che tanto mi affaticano».

 

Nel 1835 Dumas viaggia nuovamente in Italia per visitare la penisola, da Genova a Palermo e poi, ancora, nel 1860-1864 per soggiornare in Sicilia e a Napoli, dove sostiene la spedizione dei Mille e fonda l’Indipendente, quotidiano bilingue. Poco dopo l’arrivo pubblica Le memorie di Garibaldi e I garibaldini e come ricompensa, dal generale italiano, ottiene l’incarico di sovrintendente dei musei partenopei.

 

L’esperienza a Firenze degli anni Quaranta, in aggiunta agli altri soggiorni italiani, avvalora la produzione dumaniana di nuove note storico-artistiche. Le impressioni di Dumas viaggiatore, continuamente in fuga e in cerca d’ispirazione, sono raccolte in diari e racconti: Un anno a Firenze, Lo Speronare, Il Corricolo e Villa Palmieri.

 

Dagli scritti di quegli anni si evince il valore del soggiorno italiano. Al rientro in Francia nel 1844 Dumas pubblica uno dei più celebri romanzi storici d’appendice, il più riadattato dal cinema: Il Conte di Montecristo. Il riferimento all’arte, ai costumi e, più in generale, alla storia d’Italia è una costante.

 

Roma con i palazzi e i ruderi antichi primeggia, molte le scene ambientate nei dintorni della città vaticana dove “il brigantaggio non è mai stato estirpato”. Attraverso acute e concitate descrizioni, con l’abilità del regista, Dumas fa vivere ai lettori il carnevale romano e scoprire le catacombe di San Sebastiano. «Farò decorare il carro, ci vestiamo da mietitori napoletani e rappresentiamo dal vero il magnifico quadro di Leopold Robert», dice Franz ad Albert mentre si preparano per la mascherata.

 

Figlio del suo tempo, Dumas sposa lo spirito dei giovani artisti e aristocratici che dall’estero raggiungono l’Italia per studiare e dilettarsi. Appare a intermittenza, tra i dialoghi, la Roma d’inizio Ottocento dove i monumenti in rovina ricordano le incisioni di Giovanni Battista Piranesi. Ripetuti i rimandi anche agli artisti italiani: Giotto che “da bambino disegnava su lastre di ardesia le sue pecore, gli alberi, le case”, Bartolomeo Pinelli, incisore e “scultore popolare” e Francesco Albani.

 

L’irrequieto scrittore, in fuga da Parigi per bancarotta, arrivato a Firenze nel 1840 riceve un’offerta generosa: redigere un testo sui tesori della Galleria degli Uffizi. L’incarico lo condurrà a una capillare ricerca d’informazioni, alla consultazione di manoscritti e bibliografie.

 

Nel 1844 esce La Galleria di Firenze in cinque volumi contenente diverse incisioni alcune di Hector Garriod. Mentre i primi due volumi sono dedicati alla Storia della pittura dagli egiziani ai giorni nostri e raccolgono biografie e aneddoti sui maggiori artisti presenti nella Galleria, i restanti tre, Galleria di Firenze incisa su rame per una società di amatori, attraverso un corredo di note illustrano le maggiori opere, riprodotte dai migliori incisori dell’epoca.

 

Dopo aver trattato di pittura antica Dumas scrive le vite dei massimi artisti del Rinascimento italiano: Masaccio, Pietro Perugino, Leonardo da Vinci, Raffaello Sanzio, Tiziano Vecellio e Giorgione da Castelfranco. Poi, affronta l’opera di pittori fiamminghi, Lucas Cranach, Hans Holbein e Quentin Metsys, e di altri maestri italiani, Giovanni Bellini, Andrea del Sarto, Fra Bartolomeo, Giulio Romano, il Primaticcio, Baccio Bandinelli, Baldassarre Peruzzi, Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma, Bernardino Pinturicchio e Andrea Mantegna.

 

L’interesse per la storia dell’arte si affianca a quello per la storia delle grandi dinastie. Le vicende criminali delle potenti famiglie appassionano Dumas. I Borgia, I Borboni di Napoli, La Casa dei Savoia sono i lavori che dedica ai nobili casati italiani. La prefazione del libro sulla collezione d’arte fiorentina è composta di due capitoli sull’epopea della famiglia dei Medici.

 

Un anno dopo, Dumas pubblica I Medici in forma autonoma aggiungendo il capitolo sulla Casa dei Lorena. Non è l’unico esempio di riedizione di testi che compongono La Galleria di Firenze. Nel 1843-1845 alcuni saggi riguardanti gli artisti italiani compaiono su riviste francesi: Masaccio e Fra Bartolomeo in L’Artiste, settimanale di letteratura e belle arti, Tiziano Vecellio in La Chronique de Paris, mensile fondato da Honoré de Balzac e Il Primaticcio in Revue pittoresque.

 

Il monumentale lavoro per la Galleria degli Uffizi avvicina il quarantenne Dumas all’arte italiana, e ancor più al Rinascimento fiorentino. La storica dell’arte Laetitia Levantis in Il Rinascimento fiorentino visto da Alexandre Dumas scrive: «Il suo atteggiamento nei confronti della storia dell’arte è del tutto paragonabile alla sua concezione della storia in generale che considera un soggetto “popolare” e utile ai suoi lettori. È in virtù di questo convincimento che egli accorda grande importanza all’accessibilità del sapere e della cultura».

 

Un’edizione di pregio, a tiratura limitata, divenuta presto introvabile, costruita servendosi di testi di storici e teorici dell’arte, scritti tra il XVI e XVIII secolo. Leggendo le vite dei Tre Maestri. Michelangelo, Tiziano, Raffaello, riedizione dei saggi contenuti in La Galleria di Firenze, risaltano alcune importanti fonti: Le vite de’ più illustri pittori, scultori e architetti di Giorgio Vasari, Vita di Benvenuto scritta da lui medesimo di Benvenuto Cellini, Le meraviglie dell’arte di Carlo Ridolfi e Storia pittorica dell’Italia di Luigi Antonio Lanzi. Protagonista del romanzo d’avventura Ascanio è lo scultore e orafo Benvenuto Cellini che nel 1540-1545 lavora alla corte di Francesco I di Francia. L’esuberante artista fiorentino conviene alla figura romantica che Dumas cerca per i suoi romanzi di cappa e spada.

 

Nel restituire le vite degli artisti Dumas non si limita all’attendibilità dei fatti, esplora l’ambiente in cui prendono forma creazioni e personalità esprimendo giudizi: «E vedete quel giovane uomo che si dirige al Vaticano circondato da una corte di cardinali e da una folla di allievi? Lui è l’angelo delle infinite misericordie, lui è Raffaello. Se s’incontrassero è così che si rivolgerebbero l’uno all’altro: “Accompagnato come un re!” direbbe Michelangelo. “Solo come un boia!” risponderebbe Raffaello».

 

Dumas delinea l’identità dell’artista attraverso il racconto di aneddoti, profusi d’ironica leggerezza. «Nello svolgere coscienziosamente il prestigioso ruolo di cicerone e guida, Vasari pensò bene di portare a Tiziano il grande Buonarroti […] Michelangelo rimase a lungo di fronte alla Danae […] Non appena uscirono l’artista scrittore si affrettò a chiedere al venerabile compatriota e amico quale fosse la sua vera opinione sul talento di Tiziano. “Ve l’ho già detto – rispose bruscamente l’inflessibile vegliardo – non ci sono elogi sufficienti per il genio di quell’uomo. Ma è comunque un peccato che a Venezia non s’impari presto a disegnare e che la scuola veneziana non sia più rigorosa” […] Questo giudizio, per quanto duro possa sembrare ai compatrioti e agli ammiratori dell’artista veneziano, è stato confermato dai posteri, ma è anche vero che Michelangelo – afferma Dumas – sentenziò sulla base di due opere minori e che mentre elogiava a gran voce Tiziano, sotto sotto pensava a Raffaello». 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]