ALESSANDRO ICONA POP
SULLA SERIE SERIGRAFICA
DI ANDY WARHOL
di
Teresa Nicolangelo
La fascinazione del mito di
Alessandro scavalla ampiamente i
limiti spazio-temporali della sua
vicenda storica, giungendo
inalterata, pur attraverso alterne
vicende, sino ai nostri giorni.
Da sempre in Occidente, considerata
emblematica della grandiosità
europea (e della sua vocazione
colonialista-imperialista), in tempi
più recenti la figura di Alessandro
si è ritrovata al centro di
riflessioni e dibattiti su temi di
rinnovata attualità, quali quelli
legati all’identità – nazionale e di
genere –, divenendo perno e icona di
riaffermazione nazionale (con
conseguenti ripensamenti
sull’inevitabile, ineluttabile
connessione con la violenza a
fondamento degli imperi) in Grecia e
nella Repubblica di Macedonia, e
persino d’identità di genere nella
cultura occidentale.
Forte di un radicamento di secoli,
la figura del Macedone si è dunque
progressivamente invischiata nella
memoria collettiva dell’umanità,
motivo per il quale la serie
serigrafica che nel 1982 Andy Warhol
realizza assume maggiore e ulteriore
significato, omaggio, certo
(l’unico, nella carriera
dell’artista, che riguarderà
un’opera antica), a un celebre e
celebrato leader, ma anche
testimonianza delle modalità con le
quali il postmodernismo rievoca,
reinterpretandolo in chiave
collettiva, il passato classico: «Alessandro,
in breve, costituisce un
riallineamento del passato per
accordarsi con le questioni
contemporanee» (Nygard,
Thomasso 2015), con un
approccio alla storia che,
paradossalmente,
sottolinea la sua importanza mentre
irriverentemente la decontestualizza
e rielabora.
La serie, commissionata all’artista
dal gallerista e mecenate di origine
ellenica Alexander Iolas, si
colloca, nella storia personale di
entrambi, all’interno di un lungo
sodalizio amicale e professionale
che, dal 1945, si protrarrà sino
alla duplice scomparsa avvenuta – a
pochi mesi di distanza l’una
dall’altra – nel 1987 e, più in
generale, all’interno di un clima di
rinnovato orgoglio identitario
greco, generato dalle recenti
scoperte archeologiche di Vergina
(1977), i cui risultati in America
trovano eccezionale risonanza
nell’esposizione itinerante –
dedicata al Macedone e alle tombe
reali –, che dal 1980 al 1983 tocca
le principali metropoli e
istituzioni culturali del Paese,
generando nel pubblico americano
interesse e familiarità con il
personaggio e, al contempo,
sottolineando con un certo
compiacimento le radici greche della
cultura occidentale e quindi,
latu sensu, di quella
americana,
che di essa rivendica la legittima
eredità.
La mostra “The Search for
Alexander”, finanziata dalla Banca
Nazionale di Grecia e dal Ministero
greco della Cultura e delle Scienze,
viene dunque a costituire l’impulso
non ufficiale di Iolas per la
commissione (che prevede anch’essa
una collaborazione finanziaria con
l’Hellenic Heritage Foundation di
New York, a ulteriore riprova del
sentimento nazionalistico, greco, ma
anche americano, sotteso al
progetto) a Warhol delle stampe
dedicate ad Alessandro, sottile
omaggio celebrativo su base
onomastica a un personaggio cui il
committente stesso ama accostarsi, a
partire dalla scelta del nome d’arte
fino all’appellativo di “Alessandro
il Grande”,
con il quale viene spesso indicato
all’interno del suo
entourage
di amici e artisti.
Ancor più che Iolas, nato ad
Alessandria d’Egitto – coincidenza,
prima delle numerose fondazioni
ecistiche proprio del Macedone –
come Costantino Koutsoudis, quelle
radici e quell’orgoglio ellenici
(anche se diasporici) può vantarli
realmente: «Sono puro greco»
– scrive nel 1984 – «ma come mia
madre, mio
padre
e i miei nonni, sono nato in Egitto.
C’era una grande comunità greca al
Cairo, con scuole meravigliose. I
greci egiziani non sono come i greci
di Grecia,
che sono così incolti. In Egitto
abbiamo preso parte a tutte le
culture: greca, inglese, francese,
egiziana. La vita era molto viva e
cosmopolita».
Nel percorso artistico di Warhol la
serie trova, invece,
contestualizzazione nelle
riflessioni e creazioni del periodo,
in particolare se rapportata
all’altra, datata 1981, celebrativa
dei miti del XX secolo: da Superman
a Dracula e allo Zio Tom, i miti di
una generazione vengono riprodotti
serigraficamente, a partire da una
fotografia, nel caratteristico stile
pop a colori vividi e linee
addizionate direttamente
dall’artista. Esattamente come nel
suo Alessandro, al punto che il
critico Robert Huge si spinge ad
affermare: «Rendendo l’immagine
di Alessandro nel suo famoso stile,
Warhol integrò così l’antichità
nella grande narrazione della storia
e dell’arte americana. Alessandro il
Grande di Warhol diventa parte della
cultura americana così come i vari
Marilyn Monroe [1962-1967],
Jimmy Carter [1976] e
Sylvester Stallone [1980]».
Ma l’arte di Warhol, universalmente
nota per la sua celebrazione della
cultura di massa (che oltre ai miti
e alle star del cinema immortala
prodotti di consumo celeberrimi
quali la zuppa Campbell o la Coca
Cola, rendendoli iconici), si muove
spesso su un altro binario, che non
potrebbe essere più diverso:
un’indagine sottile e sfumata,
evocata, a tratti persino
inquietante di tabù culturali
riguardanti, per dirla alla greca,
éros (esemplare la serie di
scatti dai contenuti piuttosto
espliciti) e thánatos (basti
citare ad esempio le Death and
Disaster series degli anni
Settanta).
Forse può essere letta anche sotto
tale luce la scelta del soggetto
Alessandro che, sicuramente
collegato a un immaginario violento
derivante dalla natura stessa di
condottiero e avvalorato da aneddoti
storici (il trattamento riservato a
Batis dopo la presa di Gaza e
l’uccisione di Clito il Nero, solo
per citarne i più celebri) presenta
egualmente l’altro risvolto della
stessa medaglia: seppur non
esplicitamente sensuale nella resa
dell’opera, l’Alessandro di Warhol
conserva inalterato il fascino che
le fonti tramandano abbia emanato in
vita (Plutarco ne decanta avvenenza
e carisma) e che certo non può
lasciare indifferente la vivace
comunità gay americana, di cui sia
Iolas che Warhol fanno parte,
caricando il personaggio storico
(per via del noto rapporto
intrattenuto con l’etaĩros
Efestione e con Bagoas, eunuco dell’harem
di Dario III) di una valenza di
attualità ed ergendolo a precedente
storico e moderna icona “per
l’identità, l’orgoglio e la
liberazione gay del XX secolo” (Nygard,
Thomasso 2015), nonostante la
conclamata e riconosciuta dagli
studiosi diffusissima pratica della
bisessualità nel mondo greco.
Nelle stampe dell’artista la
colossale testa bronzea di età
romana (231-249 d.C., secondo la
datazione proposta da Frédérique
van der Wielen) non è fissata da
Warhol nella sua reale, un po’
algida, resa metallica, ma
amplificata nella sua avvenenza
dalla scelta dell’angolazione degli
scatti alla base della serie – nella
gradevolezza del profilo e
nell’intensa espressività regalata
dal tre quarti –, enfatizzata dalla
resa grafica della corona di morbidi
riccioli che incorniciano i tratti
iconici e intriganti del Macedone e
ravvivata dall’accesa policromia che
accentua ulteriormente la presenza
di un giovane affascinante, dal
quale uomini come Iolas e Warhol
potrebbero gradire l’idea di essere
sedotti.
.
Testa colossale di Alessandro,
bronzo.
Provenienza ignota. Losanna,
collezione privata.
La testa, dalla provenienza non
chiara (forse parte di un Sebasteion
in Lycia) in quanto frutto di
probabile scavo illegale negli anni
Sessanta del secolo scorso – e
pertanto priva di documentazione del
relativo contesto archeologico – e
dal 1975 proprietà di Samuel
Josefowitz di Losanna, rientra, come
accennato in precedenza, tra i
reperti fruibili nell’ambito
dell’esposizione di successo “The
Search for Alexander”
e, sebbene non siano parte
integrante dell’evento, le stampe di
Warhol vengono ideate e realizzate
per coincidere con esso,
assecondando una logica mirante a
una maggiore appetibilità sul
mercato collezionistico.
Una fotografia, si è già detto, è
alla base della serie – in un
modus operandi tipico
dell’artista –, che conserva un
riferimento sostanziale, però, a
un’opera scultorea antica;
costituirebbe un grave errore,
tuttavia, considerarla mera
documentazione ‘antiquaria’, poiché
Warhol la tramuta in qualcosa di
nuovo, mantenendo l’immagine
originale al centro del suo lavoro e
al tempo stesso manipolandola,
rilevandone le linee di contorno e i
dettagli essenziali con tratti
grafici che ne esaltano i lineamenti
e utilizzando una vivace cromia,
generando un effetto tipicamente
pop: la testa, nelle riproduzioni, è
centrata sul supporto cartaceo,
emergendo da fondi quasi sempre
cromaticamente di forte impatto.
Il gioco del contrasto tra sfondo e
toni altrettanto vivaci, con i quali
l’artista sceglie di rendere
incarnato e chioma, si realizza
attraverso un processo serigrafico
che prevede l’utilizzo di
un’emulsione fotosensibile e la
sovrapposizione di più strati
d’inchiostro, sovrapposizione che,
unitamente alle linee reduplicate,
conferisce una certa
tridimensionalità all’immagine.
Warhol sceglie di mantenere
“filologicamente” il bordo
frastagliato del punto di
congiunzione tra la base del collo e
il busto, piuttosto che cercare di
ricostruire il contesto originale
come parte di un insieme più ampio,
e lo enfatizza con una netta
definizione grafica delle linee di
contorno, così come mantiene
inalterata rispetto all’originale la
cavità delle orbite vuote, un tempo
vivificate da un riempimento a
incrostazione vitrea e in pietre
dure, con un espediente volto a
porre l’attenzione sulla storia
della testa, piuttosto che a
cancellare i segni del tempo: in
questo modo gli interventi artistici
narrano un’irrecuperabilità della
classicità e una frattura con
l’attualità.
Un particolare iconografico sembra,
infine, avvalorare la tesi di un
Alessandro icona pop tra
rivendicazioni identitarie
nazionalistiche e di genere, la
presenza costante del colore oro o
giallo nelle serigrafie policrome,
rimando alla regalità sacra, ma
anche alla caratteristica fisica
della bionda capigliatura che lo
accomuna ad Achille: xanthós
lo definiscono le fonti (Eliano,
Storia varia,
12, 4),
esattamente come l’eroe omerico (Iliade,
1, 197)
e altra assurta icona, se si vuole,
di violenza e omo-bisessualità.
E come in un’ideale
ringkomposition, il cerchio di
éros e thánatos si
chiude così attorno ad Alessandro e
al suo mitico avo e modello:
suggestione personale dell’autrice o
evidenza dei fatti, chissà.
Quel che è certo è che una delle
serigrafie della serie,
probabilmente la più importante,
perché di proprietà del committente
(ereditata dalla nipote del
mecenate, Sylvia De Cuevas, e da lei
donata all’istituzione), è
attualmente esposta e fruibile
presso il Baltimore Museum of Art,
testimonianza di quanto, a distanza
di oltre venti secoli, il fascino di
Alessandro sia ancora attuale.
.
Alexander the Great,
serigrafia su carta.
Dalla collezione di A. Iolas.
Baltimora, Baltimore Museum of Arts.
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