N. 69 - Settembre 2013
(C)
Alessandro interprete di Achille
Un mito in atto alla conquista del mondo
di Paola Scollo
Nel
mondo
antico
il
mito
è
incarnato
dall’eroe
su
cui
vengono
proiettati
i
sentimenti
più
nobili
della
comunità.
Tale
figura
risulta
indispensabile
affinché
l’uomo
comune
possa
individuare
e
coltivare
ideali,
valori
e
aspettative.
In
altre
parole,
si
tratta
di
un
bisogno
di
modelli
di
riferimento,
di
criteri
d’azione,
di
principi
etici
che
possano
essere
tradotti
in
esempi
concreti
e
reali.
La
storia
offre
svariati
esempi
di
personaggi
che,
mediante
le
loro
azioni
e le
loro
scelte,
hanno
tentato
di
trascendere
la
quotidianità
per
elevarsi
a
una
dimensione
eroica
e/o
mitica.
Tuttavia,
soltanto
in
pochi
sono
riusciti
a
imprimere
il
sigillo
della
loro
personalità
a
tal
punto
da
rimanere
eterni,
continuando
-anche
a
distanza
di
secoli-
a
guidare
e a
condizionare
il
nostro
modus
vivendi.
Proponendosi
di
imitare
ed
emulare
gli
eroi
del
mito,
Alessandro
Magno
può
essere
considerato
l’essenza
stessa
dell’eroismo.
Un
vero
e
proprio
“mito
in
atto”.
Nella
definizione
della
dimensione
eroica
della
personalità
di
Alessandro
un
ruolo
vitale
è
stato
esercitato
dalla
cultura
e
dalla
formazione
letteraria.
I re
macedoni
vantavano
origini
greche,
pertanto
al
giovane
principe
furono
divulgati
i
poemi
di
Omero,
il
presupposto
stesso
della
cultura
greca.
Stando
a
Plutarco,
Alessandro
-amante
per
natura
del
leggere
e
dello
studio
letterario-
considerava
il
poema
di
Ilio
un
«viatico
di
virtù
bellica»,
per
cui
lo
custodiva
nell’edizione
di
Aristotele,
ponendolo
sempre
con
il
pugnale
sotto
il
cuscino
(Alex.
VIII
2).
Nell’ethos
del
Macedone
la
dimensione
eroica
traeva
linfa
vitale
dalla
continua
evocazione
dei
modelli,
paradeigmata,
di
Achille
e di
Odisseo,
interpretati
alla
luce
degli
insegnamenti
di
Aristotele,
il
maestro
scelto
per
lui
dal
padre
Filippo
II.
Con
ogni
probabilità,
il
filosofo
di
Stagira
tentò
di
convertire
Alessandro
alla
saggezza
filosofica.
Tra
i
due
si
instaurò
un
legame
indissolubile,
sulla
scia
dell’exemplum
platonico.
Un
costante
esercizio
filosofico
volto
all’acquisizione
del
sapere,
alimentato
da
un
dialogo
aperto
e
proficuo
in
grado
di
far
germogliare
nell’anima
altre
verità.
Alessandro
custodì
sempre
il
ricordo
e la
profonda
impressione
suscitata
in
lui
dalla
personalità
del
grande
filosofo.
Come
ebbe
modo
di
affermare
successivamente,
a
Filippo
doveva
la
vita,
mentre
ad
Aristotele
il
saper
vivere
rettamente.
In
età
avanzata
Aristotele
dedicò
all’amato
discepolo
lo
scritto
Alessandro
o
sulle
colonie
e
l’opera
Sulla
monarchia,
una
sorta
di
manuale
per
i
regnanti.
Forse
un
ultimo
disperato
tentativo
di
trasmettergli
la
passione
per
la
politica,
intesa
come
partecipazione
alla
vita
pubblica.
Al
di
là
dei
risultati
raggiunti,
fu
proprio
Aristotele
a
inculcare
in
Alessandro
l’amore
per
la
grecità
e
per
i
classici
-in
particolare
per
Omero
e i
tragici-
e a
suscitare
interesse
per
le
scienze
naturali.
Non
sorprende,
in
tal
quadro,
l’attenzione
da
parte
del
giovane
re
nel
circondarsi
di
studiosi
in
occasione
della
spedizione
in
Asia,
quindi
la
missione
di
ricognizione
«geografica»
conferita
a
Nearco
durante
la
marcia
di
ritorno.
«Io
vorrei
distinguermi
per
la
conoscenza
di
ciò
che
è
meglio,
più
che
per
la
potenza»:
in
queste
parole
di
Alessandro
è
racchiuso
il
germe
e il
valore
inestimabile
degli
insegnamenti
del
maestro.
Un
patrimonio
che
lo
avrebbe
guidato
e
illuminato
lungo
i
suoi
passi.
Alla
luce
di
queste
considerazioni,
è
possibile
affermare
che
la
frequentazione
di
Aristotele
e
l’incontro
folgorante
con
i
poemi
di
Omero
abbiano
rappresentato
due
tappe
fondamentali
e
decisive
nell’iter
di
Alessandro
verso
l’incarnazione
del
mito.
Numerosi
sono
stati
gli
episodi
attraverso
cui
il
giovane
re
ha
proposto
di
sé
l’immagine
di
un
“nuovo”
Achille,
l’eroe
che
per
eccellenza
incarnava
la
tradizione
e le
virtù
dei
Greci.
Tali
ambiziose
inclinazioni
ebbero
modo
di
manifestarsi
già
in
occasione
dell’arrivo
in
Troade.
Durante
la
campagna
del
490
-
480
a.C.
i
Persiani
avevano
saccheggiato
sia
il
tempio
di
Protesilao
a
Eleo
sia
la
polis
di
Atene,
arrecando
indirettamente
offesa
alla
dea
Iliaca
protettrice
della
regione.
Pertanto
Alessandro
decise
di
offrire
sacrifici
di
fronte
alla
tomba
dell’eroe
nel
Protesilaion,
quindi
a
Poseidone
e
alle
Nereidi.
Approdato
poi
sulla
sponda
opposta
presso
il
porto
degli
Achei,
evocò
l’atto
che,
secondo
la
tradizione,
era
stato
compiuto
da
Protesilao
o da
Achille.
Balzando
sulla
riva,
rivestito
dell’intera
armatura
scagliò
la
propria
lancia
sulla
sabbia,
prendendo
simbolicamente
possesso
della
terra
e
indicando
espressamente
che
avrebbe
combattuto
per
la
sua
conquista.
Alessandro
marcava
idealmente
un
territorio
che
aveva
ricevuto
dagli
dèi
per
diritto
di
conquista.
Si
trattava
di
un
gesto
gravido
di
conseguenze.
Soprattutto
per
il
riferimento
al
passato,
ovvero
all’arrivo
della
spedizione
degli
Achei
a
Troia.
Secondo
il
mito,
l’indovino
Calcante
aveva
profetizzato
che
il
primo
a
toccare
il
suolo
troiano
sarebbe
morto
in
battaglia.
Achille
decise
quindi
di
non
scendere,
lasciando
l’iniziativa
a
Protesilao,
«l’eroe
bellicoso»
(Il.
II
708),
che
fu
infatti
il
primo
a
trovare
la
morte.
L’episodio
del
lancio
dell’asta
può
inoltre
evocare,
con
sfumature
diverse,
l’incipit
dell’Iliade,
laddove
Achille,
dopo
la
lite
fatale
con
Agamennone,
dichiara
di
volersi
ritirare
dalla
guerra.
Un
atto
di
rinuncia
ribadito
con
forza
dal
lancio
dello
scettro
a
terra.
Un
episodio
intenso,
ricco
di
pathos,
sostenuto
dalle
seguenti
parole:
«Ma
ti
dirò
una
cosa,
e
farò
un
gran
giuramento:/
in
nome
di
questo
scettro,
che
mai
più
foglie
né
rami/
metterà,
una
volta
che
sui
monti
ha
lasciato
il
suo
tronco,/
né
più
rifiorirà,
ché
tutto
all’intorno
la
lama
gli
ha
tolto/
foglie
e
corteccia;
ora,
invece,
i
figli
degli
Achei/
lo
stringono
in
pugno,
ministri
di
giustizia,
loro
che
le
leggi/
per
volere
di
Zeus
preservano;
questo
dunque
sarà
gran
giuramento:/
certo
un
giorno
verrà
rimpianto
di
Achille
ai
figli
degli
Achei,/
a
tutti
quanti;
e
allora
non
sarai
capace,
per
quanto
ti
affligga,
di
dare
un
aiuto,
quando
molti
per
mano
di
Ettore
massacratore
cederanno
morendo;
e tu
dentro
ti
mangerai
l’anima,
crucciandoti
che
al
migliore
degli
Achei
negasti
un
compenso./
Così
disse
il
Pelide
e
scagliò
a
terra
lo
scettro/
adorno
di
borchie
d’oro
e si
mise
a
sedere»
(Il.
I
233
-
246).
A
soccorrere
l’eroe
è la
madre
Teti,
che
promette
di
pregare
Zeus
affinché
gli
Achei
vengano
sconfitti
sino
a
quando
l’offesa
non
sia
vendicata.
Achille
si
astiene
dunque
dallo
scontro,
mentre
Odisseo
guida
l’ambasceria
da
Crise,
placando
così
l’ira
di
Apollo.
Il
dodicesimo
giorno
Teti
si
reca
da
Zeus,
che
accoglie
le
sue
preghiere.
Il
padre
degli
dèi
conferma
la
decisione
con
un
cenno
del
capo
che
fa
tremare
l’Olimpo:
«Certo
saranno
guai,
se
mi
farai
litigare
con
Era,/
quando
mi
verrà
a
provocare
con
parole
ingiuriose:/
lei
sempre,
anche
così,
fra
gli
dèi
immortali/
mi
insulta,
e
dice
che
io,
in
battaglia,
aiuto
i
Troiani./
Ma
tu
ora
vattene,
che
non
ti
veda/
Era;
alla
cosa
penserò
io,
come
attuarla;
orsù,
con
la
testa
ti
farò
cenno,
perché
tu
creda:/
questo
è da
parte
mia,
tra
gli
immortali,
il
segno
più
grande;/
non
può
essere,
infatti,
rinnegata
né
tradita
né
inadempiuta/
una
mia
promessa,
alla
quale
abbia
fatto
cenno
di
sì
con
la
testa./
Disse,
e
con
le
scure
sopracciglia
annuì
il
Cronide:/
oscillarono
le
chiome
eterne
del
dio/
sul
capo
immortale;
fece
tremare
la
massa
enorme
dell’Olimpo»
(Il.
I
518
-
530).
Il
gesto
di
Zeus
equivale
simbolicamente
al
lancio
dello
scettro
da
parte
di
Achille.
In
queste
due
scene
decisive
la
volontà
del
semidio
e
l’assenso
del
padre
degli
dèi
si
intrecciano,
decretando
l’inevitabile
sconfitta
degli
Achei.
Due
scene
che
segnano
sia
l’arché
dell’Iliade
sia
del
furor
di
Achille.
Questa
sintetica
incursione
nel
poema
di
Omero
risulta
utile
ai
fini
del
nostro
ragionamento.
Emerge
con
chiarezza
la
forte
connotazione
omerica
degli
atti
di
Alessandro.
Per
quanto
motivati
dalla
suggestione
dell’epos,
tali
azioni
possono
anche
configurarsi
come
il
frutto
di
una
rielaborazione
storiografica
dalle
finalità
spiccatamente
ideologiche.
Sul
suolo
asiatico
Alessandro
avvertiva
la
necessità
di
infondere
ottimismo
nelle
truppe
alla
vigilia
del
primo
decisivo
scontro
con
i
Persiani.
La
rievocazione
mitica
riguardava
la
figura
di
Eracle
e,
soprattutto,
di
diversi
eroi
della
guerra
contro
Troia,
quali
Protesilao,
Achille,
Priamo
e
Patroclo.
Già
in
occasione
di
questa
importante
e
sorprendentemente
rapida
vittoria,
Alessandro
si
proponeva
quale
liberatore
e
salvatore.
E la
liberazione
non
poteva
che
prendere
avvio
da
Ilio.
Per
Alessandro
la
spedizione
in
Asia
non
si
configurava
come
uno
scontro
tra
Greci
e
barbari,
tra
Occidente
e
Oriente,
poiché
nelle
sue
vene
scorreva
sangue
troiano,
essendo
un
discendente
dei
Molossi.
I
Troiani
non
erano
barbari,
ma
Elleni
in
suolo
asiatico.
La
spedizione
nasceva
pertanto
dal
desiderio
di
liberare
i
Greci
d’Asia
dal
giogo
persiano,
quindi
di
vendicarli
dai
tentativi
di
invasione
del
490
-
480.
Obiettivo
precipuo
era
quello
di
annettere
l’Asia
alla
Grecia,
quindi
di
ampliare
i
confini
dell’impero
e
realizzare
la
completa
fusione
del
popolo
macedone
con
quello
persiano.
Illuminanti
a
tal
proposito
le
affermazioni
di
Aristotele
nella
Politica:
«La
conquista
di
terre
rappresenta
la
funzione
primordiale
della
monarchia
macedone».
Per
queste
ragioni
Alessandro
intendeva
nobilitare
fin
da
subito
la
sua
impresa
con
atti
marcatamente
simbolici.
Scagliando
la
lancia
sulla
sabbia,
si
presentava
idealmente
quale
continuatore
del
Pelide,
suo
erede
diretto,
nei
confronti
del
quale
sin
da
piccolo
nutriva
sentimenti
di
rivalità,
philotimia
(Arriano,
Anabasi
VII
14.
4).
Il
gesto
di
Alessandro
rappresentava
simbolicamente
l’arché
della
spedizione
in
Asia
e,
più
in
generale,
della
sua
storia
personale
di
conquista
dell’universo.
È a
partire
da
quel
momento
che
Alessandro
si
proiettava
in
una
dimensione
mitica.
Dopo
aver
preso
possesso
dei
luoghi,
il
giovane
si
diresse
verso
il
santuario
di
Atena
a
Ilio,
cercando
di
procurarsi
la
benevolenza
della
dea.
Sostituì
l’armatura
da
parata
con
le
reliquie
custodite
nel
tempio,
che
al
pari
delle
insegne
avrebbero
dovuto
precederlo
in
battaglia.
Tributò
onori
agli
eroi
del
passato,
ai
suoi
antenati
Eacidi,
Achille
e
Aiace.
Nei
luoghi
sacri
di
Ilio,
sulla
piana
dello
Scamandro,
depose
infine
una
corona
sulla
tomba
del
Pelide
e
celebrò
a
Priamo
un
sacrificio
di
riconciliazione
(Giustino
XI
5.
10).
Narra
a
tal
proposito
Plutarco:
«Salito
a
Ilio
fece
un
sacrificio
ad
Atena
e
libagioni
agli
eroi,
poi
cosparsosi
d’olio
con
i
compagni,
nudo,
girò
attorno
di
corsa,
come
si
usa,
alla
stele
di
Achille,
che
poi
adornò
di
una
corona,
dichiarando
fortunato
quell’eroe
che
in
vita
aveva
avuto
un
amico
fidato
e da
morto
un
eccelso
cantore
della
sua
fama»
(Alex.
XV
8).
L’episodio
viene
riportato
anche
da
Arriano:
«Si
dice
che,
dapprima,
scese
dalla
nave
con
le
armi
sulla
terra
d’Asia
e
fece
innalzare
altari
a
Zeus,
protettore
di
sbarchi,
ad
Atena
e ad
Eracle
quando
partì
dall’Europa
verso
l’Asia.
Una
volta
giunto
a
Ilio,
sacrificò
ad
Atena
Iliaca,
donò
la
sua
armatura
completa
al
tempio
e
prese
in
cambio
un’armatura
dei
sacerdoti,
sottratta
all’incendio
di
Troia.
Dicono
che
gli
ipaspisti
procedevano
in
battaglia
davanti
a
lui.
Il
mito
spiega
che
Alessandro
sacrificò
anche
a
Priamo,
sull’altare
di
Zeus
protettore
del
recinto,
chiedendo
perdono
per
la
follia
di
Priamo
alla
stirpe
di
Neottolemo
da
cui
discendeva»
(Anabasi
I
11.
8).
Inoltre,
a
Troia
Alessandro
rifiutò
la
cetra
di
Paride
per
andare
alla
ricerca
di
quella
di
Achille:
«Mentre
si
aggirava
per
la
città
uno
gli
chiese
se
desiderava
vedere
la
cetra
di
Paride:
egli
rispose
che
non
gli
interessava
minimamente;
piuttosto,
cercava
quella
sulla
quale
Achille
soleva
celebrare
le
imprese
gloriose
degli
eroi»
(Plut.,
Alex.
XV
9).
Nello
stesso
anno
sostò
a
Faselide,
in
Licia,
dove
si
dice
fosse
custodita
la
lancia
di
Achille
(Plut.,
Alex.
XVII
8).
Il
valore
di
questi
atti
non
può
essere
ricondotto
a
una
pura
ambizione
personale.
Essi
appaiono
infatti
anticipatori
del
progressivo
mutamento
ideologico
avvenuto
in
Alessandro.
Un
cambiamento
che
lo
avrebbe
indotto
a
non
mostrarsi
semplice
erede
del
padre
Filippo,
dell’avo
Eracle
o
del
glorioso
Achille,
ma a
nutrire
una
visione
divina
di
sé
quale
figlio
di
Zeus.