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N. 26 - Luglio 2007

ALESSANDRO MAGNO. ALESSANDRO III DI MACEDONIA

L'Essere Alessandro - Parte XXII

di Antonio Montesanti

 

Come tutte le opere che hanno un senso e tengono ad averne, questa differentemente da molte altre si autolimita, a ricercare nell’animo della trattazione e del soggetto trattato lo spirito dell’analisi storica.

 

Il soggetto, Alessandro III di Macedonia detto il Grande, è stato spesso oggetto di narrazioni, discorsi, storie e soprattutto ricostruzioni storiche, tese a rivisitare in toto o parzialmente la figura del monarca.

 

Lo scopo di questa serie di articoli di tipo trattativo, è stata la ricerca non di una definizione caratteriale o intrinseca dell’uomo Alessandro ma degli avvenimenti e dei fatti come essi si svolsero.

 

E per questo che in questi ultimi “capitoli” si cercherà un riscontro della persona in rapporto con gli uomini e gli dei.

 

Se osserviamo la sua figura, o quello che realmente è stato da un punto di vista narrativo, vedremo come il suo essere non è delimitato. Possiamo leggere e cercare di interpretare la persona, ed è per questo che la maggior parte degli storici ripiega su quest’aspetto, perché è quello che necessita di chiarimenti. Le azioni, gli accadimenti, le mosse, i fatti, i pragmata: il come si sono svolti, la tempistica, le modalità quasi divine, le imprese sono apparentemente già chiare ma difficilmente si riesce a leggere la caratterizzazione di un personaggio che sta lì immobile, imbelle privo di ogni connotazione caratteriale, che nella maggior parte dei casi sembra totalmente statuario, splendido nelle immagini che abbiamo ricevuto e che ci sono giunte, e che come tale è divenuto immortale.

 

Le fattezze che lo investono sono, nell’immaginario collettivo, quelle eroiche, quelle che si confanno ad una persona straordinaria che spesso sconfinano nella divinità olimpica. Quella capacità di definire ed autodefinirsi come un essere superiore, un dio o un uomo che diviene dio, senza nessuna particolare connotazione miracolistica, ma con un carisma ed un’autostima emergenti dal resto della massa, di cui rimane un unico dato realmente al di sopra di ogni altro essere, il fatto di aver guidato, con successo, in un tempo brevissimo, una spedizione che sottomise una porzione di terra vastissima, di poco, molto poco, più piccola dell’espansione massima dell’Impero Romano.

 

Per questo motivo l’impero da lui sottomesso, raramente assume nelle trattazioni, il nome di Impero Macedone e molto più spesso quello di Impero di Alessandro.

Al momento della partenza verso l’oriente gli obiettivi primari dichiarati di Alessandro erano di liberare i Greci d'Asia dal giogo persiano e la Grecia dalle invasioni dal 490 al 480 a.C.

Con questi due scopi si celava l’obbiettivo principale della politica macedone ben teorizzata dal filosofo di corte macedone, annettere l'Asia alla Grecia. Aristotele, consigliere di Filippo II ed educatore di Alessandro, dichiara espressamente nella  Politica che

 

"La conquista di terre rappresenta la funzione primordiale della monarchia macedone".

 

Gli storici, soprattutto dal dopoguerra in poi hanno demonizzato in qualche occasione la figura di Alessandro poiché ancora appare confusa l’intenzionalità dei suoi piani ossia se fin dall'inizio sia partito con l’idea di conquistare il mondo intero.

 

Tuttavia sappiamo che portò al seguito artisti, geografi, storici, botanici, geologi, astrologi, matematici, e altri scienziati, ben di più di quanto richiedesse una spedizione militare normale.

 

Il background delle conquiste di Alessandro si deve a Filippo, nelle intenzioni e nella preparazione, trasformando, in 23 anni di regno, una serie di tribù, un popolo di pastori in uno Stato acculturato, politicamente efficiente e militarmente invincibile.

 

L'esercito, basato dapprincipio solo su giovani macedoni, combatte secondo dettami nazionalisti, per la gloria e l'espansione della propria nazione, guidata da quello che anacronisticamente può essere definito un Imperatore, il quale scagliando la propria lancia sul suolo Asiatico (a Kumkale), dichiara quella terra, territorio di conquista.

 

Con questo primo suo atto completato dalla visita di Troia, il luogo della grande vittoria dei greci sull'Asia poco meno di 1000 anni prima. La visita aveva anche un interesse personale, egli aveva sempre ammirato Omero e gli eroi della Guerra di Troia.

 

Esattamente da questo momento (invero-primavera 336 a.C.) si evidenzia in Alessandro una concezione particolarmente “mistica” di condottiero-capo con un crescendo della propria coscienza-concezione divina di se stesso: emulando Achille nel conficcare l’asta su suolo micrasiatico, sottolineata dalla resa degli onori al tumulo del suo antenato, non ci da solo una pratica pia ma un rifacimento non occultato dalla mitologia.

 

Certamente è lui, a volere che la sua figura divenga parte o essere mito. Lui vuole essere l’eroe, in un mondo in cui la definizione di Eroe, sconfinava ancora in quel crogiuolo mistico divino, che naturalmente riconfigurava la figura umana come l’anello complementare della catena che unisce il materiale all’iperuranico.

 

Lui lo voleva, quasi lo esigeva, quasi fosse oppresso da quello strano morbo che mille anni prima avviluppava e tormentava Achille. La paura del non ricordo, o meglio il voler essere ricordato, non per la persona, ma per le gesta.

 

Eppure quella lontana figura, simbolo dell’eroe umano per antonomasia, opposto all’Eracle, essere divino, è proprio, incredibilmente e non scontatamente “umano”. Una linea molto evidente del carattere di Achille, di come è dentro, di quello che prova, di ciò che sente è piuttosto chiara. L’iliade ci da un carattere, una personalità di una trasparenza che definiremmo naturale.

 

Alessandro dopotutto era un crogiuolo di contraddizioni ed eccessi: mistico e pratico, sognatore e pragmatico, capace di pianificare grandi strategie, ma in grado di valutare e calcolare seppur i minimi dettagli che potevano riguardare l'approvvigionamento e la logistica soprattutto durante gli spostamenti.

 

Si preoccupava oltremisura per la sua immagine tanto che è estremamente difficile per noi disgiungere la realtà dalla propaganda. I suoi soldati l'adoravano, ed egli poteva contare su di loro anche per le imprese apparentemente più disperate. Oltre alle doti apollinee di bellezza, coraggio ed arguzia, in campo aperto era spavaldo e veemente condottiero tanto che tutti coloro che lo circondavano davano il meglio di sé. Era molto influenzato dai sogni che influenzavano le sue azioni e i suoi comportamenti. Aveva delle visioni. Sua madre gli aveva detto che non era il figlio di Filippo ma figlio di Zeus. In breve, lui era tutto quello che una leggenda dovrebbe essere.

 

Oltre a tutti questi fattori, Alessandro esibì un valore personale e tremendo. Lui era in prima linea sempre e sempre in mezzo alle mischie più serrate. Di solito i generali guidavano l'esercito in battaglia rimanendo nelle posizioni arretrate, Alessandro faceva il contrario. Questo, chiaramente metteva il grande uomo in grande pericolo. Alessandro fu ferito al collo sul fiume Granico, nella coscia ad Isso, alla spalla a Gaza. Si fratturò una gamba in Turkestan, fu ferito in tre occasioni in Afghanistan, e, più seriamente, ebbe il suo polmone forato da una freccia in India. Spesso Alessandro era il primo uomo a saltare il muro di una città assediata.

 

Non perse mai una battaglia. Mano a mano che si accumulavano le vittorie, i suoi uomini giunsero a credere che lui era invincibile. Lo stesso pensavano suoi nemici. Come ogni grande generale egli capiva e amava i suoi uomini. Ricordava i loro nomi e le loro azioni, li chiamava per nome prima dell'inizio di una battaglia e citava le loro imprese. Concedeva ai suoi veterani dei permessi per andare a trovare le loro famiglie. Era generoso nel concedere regali ed onori. Tutti di questi fattori crearono un esercito che semplicemente non poteva essere fermato. Le sue imprese eclissarono qualsiasi cosa fosse stata mai fatta prima di lui. I Macedoni e la loro falange divennero leggenda e Alessandro divenne quella mistione sublime tra umano e divino: un Eroe dalle fattezze divine.

 

Ma chiaramente Alessandro non conquistò l'Asia da solo.

 

I Re contava sui suoi soldati che a loro volta lo ricambiavano con una fiducia quasi cieca, quasi perché i Greci e ancor di più i Macedoni credevano nel carisma del loro condottiero e non nel supposto potere regale o divino o di discendenza. Per questo potendo gli uni contare sull’altro o viceversa Alessandro impose la propria supremazia con solo quattro battaglie in poco più di 10 anni: Granico (334 a.C.), quella di Isso (333 a.C), Gaugamela (331 a.C.), Gialalampur o Idaspe (326 a.C.).

 

La campagna fu durissima, ma al contempo si trattava di una continua scoperta intervallata da divertimenti che dovevano coinvolgere tutti, che dovevano far dimenticare le sofferenze e rappresentare quasi un premio al termine delle fatiche.

 

L’esercito, i commilitoni, l’entourage, i compagni e il seguito di Alessandro si divertivano con quello che più amava fare il sovrano: il primo divertimento gradito al Re era la caccia, in particolare quella al leone, in cui era seguito dai cavalieri e dai nobili macedoni: le varie rappresentazioni ne giustificano il piacere della condivisione venatoria; dal mosaico di pella in cui si vedono Alessandro ed Efestione, ai bassorilievi del c.d. sarcofago di Alessandro, nel museo di Istanbul, che rappresenta l’apertura dei "giardini privati" del Re di Sidone al Macedone, Efestione e Lisimaco, fino al gruppo bronzeo, scolpito da Lisippo e Leocare, dedicato da Cratero a Delfi.

 

Le campagne militari vennero spesso intramezzate da banchetti che degeneravano spesso in orge sacre, processioni e in eccessi alcolici (komoi). I commensali terminata la serata e scolate le loro parti di vino, inebriati uscivano per le strade in una sorta di festa confusionaria che mischiava suoni e canti con le danze bacchiche.

 

In questo modo terminavano tutte quelle occasioni che era necessario consacrare: sacrifici alle divinità, tornei, ricongiungimenti di truppe, conquiste di città e vittorie campali ed anche funerali.

 

L'obbedienza assoluta e la disciplina ferrea, dovevano condurre ad una preparazione militare durissima che formasse il soldato macedone. Tuttavia al rispetto disciplinato nei confronti del Re, corrispondevano delle regole precise che prescrivevano che il soldato poteva reclamare nei confronti di un suo superiore solo dopo aver obbedito ad un suo ordine. Per questo i sudditi di Alessandro erano stati abituati ad avere libertà di parola anche con il Re il quale nel primo periodo acconsente a critiche, confronti, discussioni con coloro i quali erano in disaccordo con Lui.

 

Che come tale era già stato imbevuto sin da piccolo dei concetti sulla sua presunta origine divina dalla madre, che o convinse di essere figlio del Cronide attraverso i santuario di Dodona e la filiazione diretta attraverso Olimpiade. La stessa madre, sarebbe stata vista dormire in presenza di un serpente o dragone. Il dio sotto mentite spoglie s'insinuava in lei attraverso il seno.

 

La familiarità della regina col serpente sacro, oggetto di ammirazione per gli uni, tema di scandalo per altri, dà credito all'opinione che suo figlio sia di origine divina: un dio-serpente ha generato Alessandro. A causa dei legami che uniscono Sabazio a Zeus, il dio-serpente di Olimpia e' un'ipostasi dell'uno e dell'altro insieme; ciò che spiega la raccomandazione di onorare Ammone fatta dalla Pizia a Filippo.

 

L’ellenizzazione del monarca risente come la cultura greca della consueta duplice influenza: quella di Apollo per la bellezza e quella dionisiaca che trascura l'apparenza delle cose e mira ad esprimerne l'essenza.

 

Il processo di divinizzazione di Alessandro si può dire iniziato già nel 334 a.C., quando si era visto il discendente degli eroi omerici, lasciare a Sesto l'intero esercito per andare a Troia e celebrare sacrifici sulla tomba del suo antenato Achille e a prendere nel Santuario di Atena uno degli scudi consacrati alla dea.

 

L’iter prosegue a Gordio, nodo di comunicazioni, centro militare e luogo di rifornimento, l’apoteosi ancora sottintesa  con lo scioglimento del nodo, risolto a colpi di spada, che prosegue l’epopea eroica in cui Otreo e Migdone parteciparono alla guerra di Troia, promettendo al vincitore la sovranità universale. Qui Alessandro visita il tempio di Giove nel quale si trovava il carro sul quale Gordio, padre di Mida, si muoveva. Un carro né splendido ne' più fastoso dei carri comuni; il giogo del carro era legato da parecchi nodi talmente confusi e intrecciati gli uni con gli altri, che non se ne vedevano i capi.

 

L'oracolo aveva previsto che colui che lo avesse sciolto sarebbe divenuto padrone dell’Asia. Dopo diversi tentativi, si rese conto dell'inutilità dei suoi sforzi e troncò con un colpo di spada i lacci che formavano l’intricato nodo.

 

Durante la notte successiva lampi e tuoni avallarono l’infallibilità del presagio e il compimento dell’oracolo secondo l’adempimento ed il superamento della prova.

 

Il raggiungimento dei luoghi, secondo una klimax ben delineata trova il compimento di una serie di prove che conducono alla salita all’Olimpo. L'apice ultraterreno venne nel 331 a.C. proclamato definitivamente dall'oracolo Zeus Ammone.

 

Da queste concezioni o credenze nasce la necessità di effettuare il viaggio all'Oasi di Siwa, dopo quattro giorni estremamente duri che conducono al termine non alla morte come sembrava imminente, ma all’epifania divina tramite un’improvvisa tempesta fece cadere pioggia in abbondanza.

 

Anche questo fatto venne considerato come prova del favore celeste, rafforzato ad un nuovo messaggio divino quando, perduta la via a causa di una tempesta di sabbia, due corvi o due serpenti avrebbero indicato la strada fino all'Oasi.

 

L'oracolo di Ammone fu affermativo per Alessandro su tre punti essenziali: la discendenza e  l'origine divina, la dominazione mondiale , la vittoria indefinita:

 

"Il profeta lo ha salutato da parte del dio come fosse suo figlio; non aveva come padre un mortale".

 

A Gerusalemme, Jeddoha, gran sacerdote accompagnato da tutto l'ordine, ricevette il rispetto di Alessandro che affermava:

 

"Io non mi inchino davanti al Gran Sacerdote, ma dinanzi al dio che gli ha affidato l'onore del suo culto".

 

La notte gli apparse in sogno un sacerdote vestito come Jeddoha che lo esortò a non temere nulla perchè avrebbe conquistato l'Asia. Il giorno dopo avrebbe sacrificato, seguito nel rito dai sacerdoti di Gerusalemme a Jehovah, così come in Egitto, secondo i riti egizi, aveva sacrificato a Ftah.

 

Questa visione politeista del mondo segna enormemente l'Argeade fino ad allora legato all'Olimpo greco. La sua epopea rimane elladica nella forma fino all’incontro con il Medio Oriente quando le concezioni  orientali, sigillate dalla dottrina teocratica a Babilonia e consacrate da quelle monocratiche a Susa e Pasargade dove il Re diviene Dio in terra che deve ordinare ad immagine del cielo.

 

Qui ed ora, nel 330 a.C., dopo la morte di Dario, i rapporti tra Alessandro e le sue truppe cambiano radicalmente: egli e' proclamato Re dell'Asia e si comporta sempre più come un despota asiatico, con sogni di sovranità universale. Subisce, il giovane vincitore, l'influenza dello sconfitto e della cultura persiana, con modalità simili a quello che accadrà 1100 anni più tardi tra Barbari e Romani.

 

Lo si può notare dal fatto che sia durante le marce che durante le battaglie, egli mantiene sempre lo stesso abbigliamento: elmo di ferro con pennacchi piumati, gorgiera a scaglie metalliche, doppia corazza di lino, tunica corta orlata d'oro. Ormai per la truppa e' sempre più difficile scorgerlo, anche se si e' inventato un abbigliamento "misto" che egli ritiene possa riavvicinargli i sudditi orientali: intorno al cappello rosso a larghe tese (kausia) annoda una fascia blu a strisce bianche (kidaris): Altre volte indossa una tunica di porpora con al traverso una fascia bianca ricamata con sparvieri dorati che abbelliscono il manto ricamato d'oro. D'oro e' anche la cintura annodata in maniera femminile, su cui e' appesa una scimitarra, il cui fodero e' tutto una gemma.

 

Prendeva ormai a modello la monarchia persiana, che era pari in potenza a quella degli dei. Egli voleva vedere anche i vincitori di tante battaglie riverirlo, compiere per lui funzioni servili. Questo comportava grandi insofferenze e mugugni da parte dei Greci e Macedoni, uomini liberi. Questo gli provocò 4 congiure nei suoi confronti: Dragiana (330 a.C.), Marakanda (Samarcanda 328 a.C.), Bactriana (327 a.C.), Opis (324 a.C.). Le discussioni su questo argomento portarono alla morte il filosofo Callistene (327 a.C.). E chi si ribella viene giustiziato senza processo, così come avvenne per alcuni insorti di Susa nel 324.

 

questo fatto portò alla morte Clito, che espresse in maniera non consona i suoi pensieri, durante un banchetto, ubriaco com'era. La stessa sorte toccò a Callistene. Costoro urlarono ad Alessandro il loro disprezzo perche' pretendeva di essere discendente dagli dei, figlio di Ammone, rinnegando suo padre Filippo; dicendogli che invece era diventato potente unicamente grazie al sangue dei soldati macedoni. La stessa fine e' riservata a Filota che vorrebbe conservare il diritto di discutere, cosa iscritta da sempre nelle loro leggi ed usanze.

 

I suoi sudditi non si sentono dominati da uno straniero, ma mantengono la loro indipendenza. Alessandro aveva capito che il territorio era troppo vasto e gli uomini a sua disposizione erano pochi. Aveva inserito macedoni nei punti chiave dal punto di vista politico ed amministrativo. Aveva favorito la fusione tra greci ed orientali, rispettando forse anche troppo i loro usi.

 

La sua origine divina veniva accuratamente alimentata essendo sopravvissuto ai combattimenti, ai complotti, alle ferite ed alle febbri dell' India dove assume il carattere di Neos Dionysos e si materializza nel 324 a.C. quando viene istituito il culto dedicato "Al Re Alessandro, al dio invitto". Contemporaneamente lo scultore Lisippo ricevette l'incarico di rappresentare il Re divinizzato con la lancia in mano e lo sguardo rivolto al cielo; il pittore Apelle lo raffigurò con il fulmine in pugno; l'incisore Pirgotelete lo mostrò, su monete d'argento, a cavallo mentre puntava la lancia contro il Re indiano Poro, in groppa ad un elefante.

 

Fosse o no dovuta ad un avvelenamento, la rapida fine di Alessandro e l'apoteosi di Babilonia dove sia Greci che barbari riconoscono la nuova divinità contribuirono alla fama postuma che si andrà costruendo intorno a lui.

 

Gli si attribuirono progetti fantastici di conquista di Cartagine e della costa libica, dell'esplorazione del mondo al di là delle Colonne d'Ercole, di costruzioni di templi superiori alle piramidi, dello spostamento di popolazioni dall'Europa all'Asia e dall'Asia all'Europa per favorire l'integrazione dei popoli, che solo la morte gli aveva impedito di conseguire. Ma già quello che aveva fatto aveva lasciato il segno. Certamente con le sue conquiste e le sue esplorazioni aveva inaugurato una nuova era nella storia dell'uomo: quella dell'ellenismo.

 

La cultura Ellenica, sull'onda delle armate Macedoni e dei coloni che si erano stabiliti nelle città da lui fondate, si sarebbe diffusa fino agli angoli più remoti del mondo conosciuto, mentre quella Persiana, travolta ma non cancellata, sarebbe entrata in un secolare letargo e questa particolare nuova forma di cultura greco-orientale (ellenistica), in grado di influenzare il mondo attuale, giungerà a noi attraverso Roma, Bisanzio, l'Islam e che rappresenta ad oggi la più importante eredità di Alessandro.



 

 

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