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N. 22 - Marzo 2007

ALESSANDRO MAGNO. ALESSANDRO III DI MACEDONIA

Il Monarca universale, incompreso - Parte XVIII

di Antonio Montesanti

 

Il matrimonio globale di Susa

 

Il progetto dell’Impero di Alessandro era fuori della portata di tutti: lo dimostra il fatto che già alla fine del 331 a.C., allontanandosi da Susa verso Oriente, aveva ordinato che le nobili principesse di Persia imparassero la lingua greca con la promessa che avrebbe trovato loro dei mariti. Se questo sia stato un piano per un impero globale oppure che fosse solo un modo per placare la coscienza delle innumerevoli stragi persiane, non ci è dato saperlo. Possiamo solo appellarci ai fatti e alle promesse che Alessandro manteneva, sempre.

 

Persiani e macedoni comunque andavano trattati allo stesso modo, Orxine e gli altri satrapi locali giustiziati dovevano portare alla mente che, prima di tutto, il singolo non doveva prevaricare mai il Re. D’altro canto era estremamente pericoloso concedere a nobili persiani delle nobildonne di estrazione persiana.

 

Lo stesso Signore aveva dato l’esempio sposando, ed invogliando a sposare, una donna persiana ai propri subalterni tramite i matrimoni misti in Battriana e Sogdiana, dove egli stesso si era congiunto con Roxane, figlia di Oxiarte.

 

A Susa venne decisa una festa fuori dal comune con il duplice scopo: da una parte doveva sancire la fine di quel periodo di terrore che correva nei sottoscala dell’Impero e dall’altro il Principe ‘esigeva’ che i suoi 91 membri di corte sposassero le donne della massima nobiltà persiana tramite una fastosa cerimonia nuziale che avesse la durata di cinque giorni, con il solito accompagnamento di musici, danzatori e attori fatti venire da tutto il mondo greco: i matrimoni sarebbero avvenuti in una particolare “area sacra” ben circoscritta dalla quale difficilmente si poteva uscire, secondo il rituale persiano, all’interno della quale vi era una camera nuziale per ogni coppia. Alessandro si congiunse con due principesse: Statira, la figlia maggiore di Dario e Parisatide, la più giovane di Artaserse III Oco, rispettivamente sua seconda e terza moglie ufficiale, dopo Rossane, insieme alla concubina Barsine, figlia di Artabazo.

 

Incredibilmente nella logica alessandrina, tutto aveva un senso, anche negli accoppiamenti: le unioni matrimoniali erano ‘scontate’ e a rigor di logica: Efestione sposò Dripetide,una figlia minore di Dario; Cratero Amastri, figlia di Ossiatre, e cugina di Dripetide, Amastri;  Perdicca la figlia di Atropate, satrapo di Media; Tolomeo ed Eumene Artacama e Artonide, figlie di Artabazo; Seleuco Apame, una figlia di Spitamene, l'insorto di Battriana e Nearco ebbe in sposa la figlia di Barsine e del suo primo marito Mentore.

 

Ognuna delle 90 coppie ricevette una dote dal Re, così come dei doni magnifici vennero elargiti a tutti quei soldati macedoni che si erano congiunti con donne asiatiche.

 

In questo modo si fondeva il ceppo aristocratico greco maschile con quello femminile persiano, anche se non è possibile stabilire in che proporzioni: gli unici Compagni persiani di corte rimarranno Ossiatre, fratello di Dario e l’eunuco Bagoa, figlio di Farnuche; inoltre un gruppo di nobili medi, veniva introdotto nei ranghi dell'agema della cavalleria dei Compagni. Efestione aveva assunto la carica di gran Visir o Chiliarca, in greco, mentre ai Compagni venne imposto l’uso dei mantelli porpora al pari dei principi achemenidi: la tendenza, comunque sembrava quella di abbassare il potere persiano rispetto a quello macedone.

 

Alessandro doveva e voleva sentirsi come l’unico e il solo, adesso, continuatore della dinastia achemenide essendosi congiunto con i rami terminali di quella dinastia: Dario e Artaserse. Al contrario, non sarebbero stati troppo soddisfatti dei matrimoni forzosi nei quali erano incappati i cortigiani: subito dopo la morte del suo Re, nessuno, eccetto Seleuco, avrebbe mantenuto la propria unione con le rispettiva moglie

 

Lo stato dell’esercito

 

Ai soldati in realtà interessavano ben poco i progetti del loro Re, ormai erano amareggiati per l’esito della spedizione; pareva che il loro obiettivo fosse solo quello di ritornare a casa: non erano interessati a crearsi una famiglia in Asia, né a proseguire la campagna né a difendere l’impero.

 

E soprattutto era cambiata la visione nei confronti del loro re per l’atteggiamento che un Macedone aveva nei confronti di una popolazione vinta, che proprio Lui si comportasse da principe orientale negli usi e nei costumi, li lasciava perplessi, amareggiati, nervosi… Quando Alessandro appariva loro e gli parlava si presentava con la tunica purpurea a strisce bianche tipica del dinasta sconfitto e anche se al di sopra primeggiava ancora il mantello macedone, il suo capo era cinto della mitra e del diadema persiano.

 

Venne ristabilita la vecchia guardia reale dei melophóroi o degli immortali al servizio del re che avrebbero affiancato gli ipaspisti macedoni.

 

Secondo i soldati Alessandro aveva perso ogni legame con le radici macedoni. Lui ed il suo (nuovo) esercito si distinguevano di poco dai persiani conquistati, i quali vennero immessi nei nuovi contingenti falangiti: dalle regioni nordorientali provenivano ben 30.000 giovani nobili molto ben addestrati nell'uso della sarissa ed inoltre dimostravano a tutti di saper utilizzare la tattica macedone a perfezione; questi, conoscevano il greco e avrebbero dovuto sostituire i veterani che sarebbero stati congedati, inoltre si erano attribuiti il nome preoccupante (per i macedoni) di Epigoni (Successori).

 

Oltre a poter rimpiazzare i macedoni stessi, questi giovani persiani, avrebbero anche potuto essere usati contro di loro. A questo si dovevano aggiungere le ultime fatiche nel deserto, ed il fatto che non solo i militi europei avevano speso i soldi delle paghe, avevano  inoltre sperperato i premi e il bottino e la maggior parte di loro aveva contratto numerosi debiti: il morale, per causa loro, era a terra.

 

Le conquiste, malgrado i grandi tesori che avevano consentito di ammassare, non avevano certo arricchito il grosso dell'esercito e le preoccupazioni derivanti dai debiti erano evidentemente diventate piuttosto oppressive.

 

Il Principe si accorse di tutto questo, offrendosi di saldare i loro debiti dopo la grande cerimonia di Susa, ma i militari invece di ringraziarlo, per ciò che faceva, iniziarono a cercare spiegazioni plausibili ad un tale gesto.

 

Alessandro chiedeva, a ragione, almeno un elenco sommario dei debitori che venne interpretato come una forma di controllo sui soldati stessi, se erano stati incapaci di amministrare le loro fortune, e conseguentemente nessuno si presentò. Il Re allora decise di pagare prima dietro la presentazione di un contratto di prestito e poi neanche più dietro a quello, ossia incondizionatamente e sulla parola dei creditori!

 

Quello che Alessandro temeva era accaduto, l’ignoranza, la superbia, il facile guadagno la bramosia e soprattutto l’incapacità gestionale di se stessi e del proprio patrimonio l’avevano fatta da padroni: la cifra più bassa dei debiti stornati ammontava a 9870 talenti: un capitale.

 

Finiti i festeggiamenti e i pagamenti, l’esercito riprendeva la propria marcia; tra marzo e aprile del  324  a.C. veniva abbandonata Susa. Efestione, con la maggior parte delle forze di terra, viaggiava verso il golfo Persico mentre Alessandro, s’imbarcò, con i soliti drappelli di fanteria leggera e di compagni alla volta della foce del fiume Euleo (Karun), volendo ripercorrere l'ultimo segmento del viaggio di Nearco. Arrivato nei pressi della parte terminale del fiume, raggiunse il mare aperto e da li la foce del Tigri, mentre il grosso della flotta entrava nel fiume mesopotamico tramite un canale che lo collegava con l'Euleo, con l’ordine di radunarsi e di ritrovarsi presso l’enorme estuario del Tigri.

 

Qui il Fondatore di città decise che sarebbe sorta una nuova Alessandria, la futura Spasinou-Charax ed anche in questo caso venne operato il solito sinecismo radunandovi la popolazione della piccola città di Durine; venne anche predisposto che sorgesse un buon porto e che l’area circostante fosse adibita ad area agricola e che in un quartiere, il Pelleo (dal nome della capitale macedone), fossero insediati i veterani macedoni che avessero scelto il congedo.

 

Ben pochi di quei coloni forzati saranno stati soddisfatti della propria sorte e il malcontento fra le truppe non poté che aumentare.

 

Dalla neofondazione Alessandro si addentrò lungo il corso del Tigri raggiungendo la Mesopotamia. Durante la navigazione ebbe modo di notare che sia il fiume che i suoi numerosi affluenti erano stati sezionati da una serie ripetuta di cataratte artificiali che in alcuni casi prendevano la conformazione di vere e proprie dighe, che consentivano ai terreni circostanti di essere irrigati ma che di fatto impedivano la navigazione del fiume stesso.

 

Giunto ad Opi, città sul Tigri dalla quale avrebbe dovuto raggiungere il centro del suo impero, Babilonia, i suoi soldati, asiatici ed europei, nuove leve e veterani furono sorpresi di trovarsi tutti nello stesso luogo.

 

In quella città, che rimarrà memorabile nella storia macedone, Alessandro mise al corrente che avrebbe congedato tutti i veterani ormai troppo avanti negli anni o inabili al servizio  per gli infortuni. Gioco-forza gli anziani, una volta tornati a casa, sarebbero divenuti riservisti, non prima di essere rimpiazzati dalle nuove leve, inviate da Antigono, che sarebbero giunte da li a poco dall’Europa.

 

Non possiamo immaginare se quest’annuncio venne preso a pretesto, o forse realmente scatenò delle effettive frustrazioni represse che serpeggiavano da qualche anno in seno ai soldati. Nell’uno o nell’altro caso l’effetto fu quello di creare una sollevazione militare che si avvicinava ad un vero e proprio ammutinamento. Alessandro riteneva di regalare il piacere del ‘meritato riposo’ ai propri soldati, ma la reazione, invece di gaudio fu totalmente inaspettata. Probabilmente il fattore scatenante fu la presenza del nuovo corpo iranico che avrebbe dovuto prendere il posto dei congedanti.

 

Come controrisposta, in segno di sfida, le rappresentanze militari richiesero che il congedo fosse generale e per scherno, o per sottolineare la loro amarezza, dissero che il loro Re e Signore avrebbe potuto continuare la campagna militare con il solo aiuto di suo padre: Ammone.

 

Inoltre, vista la superiorità di Alessandro, nel non scendere a livello delle provocazioni, le truppe iniziarono una serie di attacchi diretti verbali, che andavano a ledere la dignità del condottiero. Dopotutto l’assemblea macedone dei capi militari godeva di una certa libertà di parola nei confronti del re che era solo unus inter pares, un capo militare alla maniera minoica, i cui ordini, se presi univocamente potevano non solo essere dibattuti ma anche violentemente contestati. E se nei primi anni il Re poteva tener testa o sopportare serenamente le accuse, le ingiurie, le calunnie e gli attacchi, ormai era stanco, provato e sembrava che ogni sua decisione non andasse più a genio, a questo si univa la delusione di una reazione che si aspettava dovesse essere positiva.

 

Ma soprattutto le offese e le parole di scherno giungevano da quegli stessi soldati che davanti all’Ifasi si erano tirati indietro: realmente il Condottiero non capiva più cosa volessero, anche dopo che aveva pagato i loro debiti.

 

Questa volta però Alessandro tirò fuori tutta la spietatezza di cui era capace nei momenti in cui questa era necessaria: della moltitudine, che naturalmente era abituata a parlare con franchezza al proprio Re vennero arrestati i più insolenti e li fece giustiziare. Quindi con una adlocutio senza precedenti, volse le sue aspre critiche contro gli altri, spiegando a posteriori i motivi delle sue decisioni, accusando i suoi militi di ingratitudine, rimandando al mittente ogni accusa ed ogni insulto.

 

E come ultimo capitolo della sua lunga arringa, non li sfidava, ma addirittura li esortava a tornare tutti, in blocco a casa, che lo lasciassero da solo proseguire nella sua opera, poiché avrebbe continuato le sue conquiste grazie all’aiuto dei popoli conquistati. Quindi dopo essersi congedato dalla truppa s’isolò a palazzo nello stesso modo in cui si era isolato sulle sponde dell'Ifasi: se in quel caso poteva assumere i contorni di un capriccio, questa volta riteneva di avere tutte le ragioni.

 

Al secondo giorno di isolamento, decise di convocare alcuni nobili persiani, i generali più affidabili e i combattenti più virtuosi per offrir loro i posti di comando: veniva deciso che i subalterni militari macedoni fossero sostituiti da persiani.

 

Probabilmente non sarebbe tornato sui suoi passi. Ma questo non è possibile dirlo poiché dopo il quarto giorno i macedoni implorarono il loro re affinché placasse la sua ira e li perdonasse: mentre passavano in rassegna davanti alla porta del palazzo gettavano le loro armi per terra. Solo dopo qualche giorno Alessandro accettò le loro scuse e il loro atto di perdono.

 

Davanti all’intero esercito schierato. Alessandro baciò il portavoce Kallino, abbracciando con lui l’intero esercito macedone trattando i soldati come propri famigliari. Per l’occasione venne tenuto un grandioso banchetto che riconciliasse gli animi e i corpi con più di 9000 soldati invitati.

 

Nell’ordine vennero collocati vicino a se i macedoni, a sottolinearne l’affetto, e solo più dietro i persiani e pochi rappresentanti di altre nazionalità periferiche. I gesti erano talmente importanti che permise che tutti attingessero il vino dalla stessa anfora e mangiassero dalla stessa mensa. Alessandro esternò una supplica agli dei la cui chiave si basava sulla concordia e l’unione tra macedoni e persiani.

 

Al termine dei festeggiamenti, tutto andò come aveva predisposto il Gran Re: gli asiatici avrebbero formato la parte numericamente predominante dell’esercito, le cariche governative di corte e delle satrapie rimanevano saldamente in mano macedone, inoltre vennero congedati 8.500 fanti veterani macedoni e 1500 cavalieri, e metà del suo esercito ‘nazionale’ venne rimpatriato come riservista. Ad ogni congedato venne assegnata la paga promessa ed un talento in omaggio, dopo essere stati riuniti partirono sotto la guida di Createro, Poliperconte e Clito il Bianco.

 

Cratero, rappresentante dei veterani e loro Caronte verso i lidi della madrepatria, era anche il vero ed originale rappresentante della più pura tradizione militare macedone, quasi un sostituto di Parmenione. Dopo aver compiuto la propria missione ne avrebbe dovuta portare a termine subito un’altra: si sarebbe recato in Cilicia ad organizzare i preparativi per le prossime campagne navali nei progetti del suo Re e più tardi avrebbe dovuto dare il cambio ad Antipatro nella satrapia europea, che comprendeva Macedonia, Tracia e Grecia, quando questi avrebbe portato in Asia l’esercito fresco di reclutamento. I rapporti tra Antipatro e il proprio Sovrano non erano ormai come prima e questo era pesantemente sottolineato da alcune lettere che il re ricevette dalla madre Olimpiade.

 

In realtà parte dei contrasti riguardavano la madre di Alessandro che dopo alcuni scontri col reggente Antipatro, si era rifugiata in Epiro, sua terra natia, da dove al pari della figlia Cleopatra, rimasta vedova dopo la morte di Alessandro d'Epiro, sotto le mura di Pandosia nel Bruzio, si dedicava a minare la posizione del satrapo d’Europa.

 

Certamente nell’inasprimento dei rapporti fu decisiva l’ingerenza diretta di Alessandro nelle questioni elleniche: durante l’estate del 324 a.C., Nicanore di Stagira, inviato del Re, annunciava durante gli agoni olimpici che gli esuli greci  potevano fare rientro nelle loro terre, esclusi gli assassini, i sacrileghi e i Tebani. In questo modo, si concedeva il rimpatrio a coloro che si erano volontariamente o erano stati appositamente allontanati dalle terre di Grecia, ciò sarebbe servito anche a mettere pace all’interno delle fazioni anti- e filomacedoni e quindi a pacificare l’Ellade che gli sembrava in fermento.

 

Esclusi i pochi Tebani che erano sopravvissuti, il provvedimento toccava in particolar modo gli Acarnani della città di Eniade, scacciati dagli Etoli, e soprattutto gli abitanti originari dell’isola di Samo, allontanati dagli Ateniesi nel 365 a.C.

 

Anche in questo caso, come per la dispensa dall’esercito dei veterani, Alessandro, credendo di fare un atto di magnanimità si ritrovò nella situazione in cui aveva danneggiato la sempre potente Atene, che di li a poco si rivarrà ospitando Arpalo; inoltre toccava gli Etoli, popolazione di Grecia occidentale riunita in una lega e in forte crescita politico-militare; inoltre violava, con questo atto indipendente ed autoritario, l'autonomia delle città greche in base ai principi della Lega di Corinto, varcando il confine del diritto cittadino delle poleis membri del consiglio.

 

L’apice venne toccato in Grecia, quando con un editto assolutamente al di fuori dal concetto greco: il Signore del Mondo pretendeva che gli venissero tributati onori divini per essere figlio di Zeus Ammone e per essere al pari di Eracle per aver compiuto gesta eroiche sovrumane.

 

Seppur controvoglia gli Ateniesi si affrettarono ad omaggiarlo e con decreto della boulè (senato) gli dedicavano un culto cittadino, e la sua figura diveniva di fatto la 13° divinità del pantheon greco; inoltre al pari di molte altre città elleniche ed occidentali, gli Attici inviarono in Persia un’ambasceria perché fosse al corrente dei provvedimenti cittadini e venisse onorato come conquistatore della terra e dio invincibile.

 

Ovviamente questi editti alessandrini non fecero altro che aumentare la tensione tra il reggente d’Europa e il suo Re. Antipatro era di fatto scavalcato, come era giusto che fosse: dopotutto non sembrava rispondere ormai più da anni al suo Signore e il ritardo nell’invio dei rinforzi richiesti stava peggiorando una situazione già appesantita dall’esecuzione del genero Alessandro il Lincestide. Le sollecitazioni inviate dalla città di Nautaca nel 327 a.C. non avevano prodotto alcun risultato, era normale che Alessandro chiedesse ad Antipatro un interessamento che lo riguardasse personalmente.

 

Nuovamente Antipatro non si mosse e al contrario, inviò il figlio maggiore, Cassandro, al cospetto del Monarca con lo scopo di temporeggiare adducendo come scusa la solita resistenza spartana o i tentativi di rivolta di Atene. Alessandro non trovò il giovane di suo gradimento e lo trattò con un accanimento immotivato. Nelle mire di Alessandro vi era l’intera famiglia di Antipatro, tanto che al momento della Sua morte molti sospetti ricadranno proprio sul reggente e i membri diretti della sua famiglia. Probabilmente non ebbe mai l’ordine di abbandonare la Macedonia e Cratero fu impegnato in Cilicia fino alla morte del Sovrano.

 

Da Opi, la corte intera era pronta a svernare sugli altipiani dei monti Zagros, qui secondo l’uso achemenide, trascorsero buona parte dell’autunno ad Ecbatana, tradizionale capitale persiana d’estate. La voglia di conoscere era sempre immensa da parte del Conquistatore, che si concesse  una deviazione a Bagistane (Bisutun), luogo storicamente e religiosamente importante per l’Impero persiano. Qui i soldati godettero dei lussureggianti giardini irrigati sovrastati dagli alti monti Zagros, dove il Re poté osservare il decreto di Dario I e visitare il santuario locale al quale probabilmente associò il culto di Eracle. Da qui la spedizione s’inerpicò lungo la valle di Gamasiab fino alla Nisea, dove, nella riserva naturale, si trovava il pascolo dei 150.000 cavalli reali; in questo punto il Principe trovò un’amara sorpresa: della leggendaria mandria ne era rimasta solo un terzo depredata dai cossei dello Zagros, che indisturbati continuavano a compiere scorrerie nella riserva.

 

Dopo aver fatto godere gli uomini di quel ‘paradiso naturale’ per oltre un mese, tutti si rimisero in marcia verso Ecbatana. Accolto magnificamente da Atropate, satrapo di media, il Re si diede, per mezzo della sua consueta pietas, ai soliti riti celebrativi seguiti dai soliti prolungati festeggiamenti. Qui venne raggiunto da schiere di visitatori ed ambasciatori e tra le altre notizie ricevette anche quella terribile che l’amico e tesoriere Arpalo era scappato e trovato rifugio ad Atene.

 

Prima che contro il suo amico, incapace di giustificare il tradimento, durante un sacrificio a Dionisio rinnovò pubblicamente il suo odio contro quella città, che lui stesso aveva vendicato. Le sue minacce e le sue imprecazioni dovettero colpire a tal punto i membri a corte che Gorgo di Iaso, promise di fornire armamenti necessari e soprattutto terrificanti macchine d'assedio di proporzioni gigantesche per l’assedio di Atene.

 

Nei giorni successivi il Comandante avrebbe lanciato l’attacco contro la capitale dell’Attica se non avesse ricevuto la notizia immediata del fermo operato dalla popolazione ateniese ai danni di Arpalo e la sua conseguente fuga. Le feste, i giochi, gli agoni scenici e musicali contribuirono oltre alle consuete libagioni tra i Compagni, aiutarono Alessandro a sbollire l’astio e a mitigare la situazione.

 

Morte di Efestione e follia megalomane

 

Durante uno dei banchetti per le celebrazioni e i festeggiamenti, nel novembre 324 a.C., Efestione, amico più sincero, persona a lui più vicino, vice al comando e probabilmente unica persona che lo avesse compreso, interiormente e politicamente, in ogni suo gesto fu costo da improvviso malore.

 

Efestione rappresentava per Alessandro un’ancora un punto fermo una conferma quotidiana, poiché l’amico d’infanzia era l’unico che si comportava come Alessandro medesimo: anch’egli aveva adottato il cerimoniale persiano, nella gerarchia in qualità di chiliarca era il secondo di Alessandro e questo lo aveva spesso portato in contrasto con Cratero ed Eumene; già dal 330 a.C. era al comando della prima ipparchia dei Compagni oltre ad essere anche la prima guardia del corpo del Re. Per questo era profondamente rispettato come valente generale, riguardato come ruolo nobiliare e politico ed amato come amico fraterno dal Sovrano. Ed è anche normale che un personaggio di questo tipo fosse scomodo, invidiato e piuttosto pericoloso per l’intero entourage: spesso prendeva le difese del suo Signore e  per questo era rimasta famosa la lite con Eumene che si era scuota pochi giorni prima della sua morte e con il quale sembrava essersi appena riappacificato.

 

Nonostante le immediate e premurose cure mediche, le sue condizioni peggiorarono fino a condurlo alla morte nel giro di sette giorni.

 

Il medico nell’incertezza generale disse che si era lasciato andare a troppe intemperanze alimentari, ma ancora oggi si sospetta di un complotto di corte per eliminare il più scomodo dei personaggi di corte.

 

Alessandro si perse in un dolore smisurato: oltre a decretare la condanna a morte del medico personale di Efestione, mentre tutti gli ufficiali, tra cui lo stesso Eumene, furono quasi obbligati a tributargli grandi onori.

 

Il Re dal canto suo, emulando ancora Achile come aveva fatto sotto le mura di Gaza con il corpo del nemico, trascinandolo per diversi giri sotto le mura della città, su lacerò nello stesso tipo di dolore che aveva colto il Pelide, per la morte di Patroclo, con manifestazioni estreme.

 

In quasi totale stato d’incoscienza, vegliò sul cadavere in digiuno per più di tre giorni, annunciò un periodo decisamente lungo di lutto in tutto l'impero quindi, richiese all’oracolo del padre Ammone il permesso d’istituire il culto eroico basato sulla sua figura.

 

E poi iniziò a preparare la sua apoteosi con un fastoso funerale per l’amico che si sarebbe dovuto tenere a Babilonia dove il suo successore nella chiliarchia, Perdicca, ne condusse il corpo, qui il Re aveva predisposto che si riunissero 3000 partecipanti, artisti di tutte le discipline ed atleti affinché fossero onorate le esequie dell’amico.

 

Qui lo stesso sovrano progettò un immenso mausoleo a forma di grande parallelepipedo   interamente in mattoni lungo 340 m (1 stadio) di lato e ed alto più di 60 m; la base doveva essere ornata con prue di di quinqueremi dorate e nelle superfici verticali dovevano figurare cinque fregi in sequenza.

 

Benché vennero chiamati scultori ed ingegneri da tutto il mondo e nonostante lo stanziamento di 10.000 talenti, la struttura non venne mai neppure cominciata. Perdicca renderà pubblico questo progetto, dopo la morte di Alessandro, quando verrà esposto all'esercito macedone non più come progetto per la tomba di Efestione ma come quella stessa di Alessandro e che i soldati respingeranno fermamente.

 

Da questo momento il signore del Mondo venne colto da una megalomania progettuale coerente col progetto per la tomba di Efestione; Perdicca oltre al piano del progetto della tomba per Efestione, rese pubblici per un’eventuale approvazione, quelli perla tomba di Filippo simile, ma più grande della Piramide di Cheope, di sei grandiosi templi nei luoghi chiave del mondo conquistato, del costo di 1500 talenti ognuno e tra questi del più grande di tutti: un impressionante santuario di Atena a Troia. Alessandro si rendeva conto, ed anche molto bene, del fatto che lui aveva ottenuto il più grande impero mai visto nella storia; che fosse l’uomo della storia al di sopra di ogni altro e paragonabile ad un dio, ma che gli mancavano delle risultanze trasmettibili ossia qualcosa che di pratico ne testimoniasse il suo passaggio sulla terra e che anche questo, come la sua figura, come le sue conquiste, come le sue azioni fosse ineguagliabile.

 

Nell’inverno del 324/323 a.C. Alessandro affogò il suo dolore con il modo più “naturale” che lo potesse piacergli e quindi lo potesse distrarre: memore della spiacevole sorpresa incontrata in Nisea, dove aveva saputo delle incursioni dei Cossei, discendenti dei cassiti babilonesi, per accaparrarsi i cavalli imperiali e venuto a conoscenza della forma d’indipendenza che ancora mantenevano, si buttò interamente nella sua ultima campagna militare, contro le popolazioni dell’attuale Luristan, sulla catena dello Zagros al confine con la Media.

 

Il Re aveva continuato a lasciare a questa popolazione di montagna un’indipendenza che neanche i Persiani erano riusciti a debellare, illudendoli anche di pagare il pedaggio durante il transito. Ma adesso non tollerava più che fossero lasciati liberi di controllare la strada che andava da Ecbatana a Susa (odierna da Dezfùl e Korramabad verso Nahavand e Hamadan). Ancora con il dolore nel cuore, il Monarca si sfogò su di loro  non lasciando scampo a nessuno e terminò solo quando i Cossei scesero, dopo 40 giorni di guerriglia imperiale, a tutte le condizioni dettate da Alessandro, con atto di sottomissione incondizionato.

 

Anche se la campagna era stata tremenda nell’azione e nei risultati, il re volle che fossero creati in quel territorio  alcuni insediamenti urbani sorti con l’obbiettivo militare del controllo regionale, con lo scopo di trasformare i cossei da pastori a contadini.

Tuttavia sappiamo che la conquista fu piuttosto effimera poiché le fondazioni alessandrine scompariranno dalla storia e le fonti sono concordi nel ricordare l’avversione delle tribù cossee al momento dell’entrata di Antigono nel territorio, quando condurrà l’esercito europeo da Susa a Ecbatana solo nell'estate del 317 a.C.



 

 

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