N. 21 - Febbraio 2007
ALESSANDRO
MAGNO. ALESSANDRO III DI MACEDONIA
Il lungo rientro
- Parte XVII
di Antonio Montesanti
I massacri dei malli, giunti all’orecchio degli abitanti di Patala, dove i macedoni giunsero nel luglio
del 325 a:C., costarono assai cari all’intera
spedizione. Questo perché gli abitanti di
quest’ultima città, si rifiutarono e
continuarono a rifiutare una collaborazione
attiva. L’intera preparazione, l’esplorazione
delle aree circostanti l’invio di
avanscoperte, la ricerca di armenti e mezzi,
vennero tutti assegnati al caso e alla sorte.
Era necessario preparare il viaggio del rientro con cura;
sarebbe avvenuto per terra e per mare e la
costa del Makran è una rada totalmente arida,
schiacciata tra le rocce desertiche e e
l’acqua dell’Oceano. Alessandro sapeva che
avrebbe rischiato tanto, così come aveva
saputo dalle sue fonti, lasciando la via più
comoda a Cratero e ai suoi veterani attraverso
le gole dell’Helmand. Fondamentale era non
lasciare la flotta senza assistenza.
Per questo motivo, Nearco, insieme ad Aristobulo, unico
narratore in prima persona della spedizione,
ci ha lasciato una descrizione di un
Alessandro per la prima volta colto da
numerosi dubbi e da una indecisione che non
gli apparteneva. L’Oceano, solcato per la
prima volta da una spedizione ufficiale
occidentale aveva fatto sentire già il peso
delle sue incognite; non vi erano approdi, o
per lo meno non se ne conoscevano, neanche
punti di riferimento, di riparo o di
rifornimento: si trattava di problematiche
effettive. Forse le uniche cose di cui si era
a conoscenza erano il clima, la composizione
desertica e la lunghezza; si sarebbe trattato
di almeno 2500 km dalla foce dell’Indo a
quella dell’Eufrate. Ma era necessario
affrontare l’ennesima impresa; era
fondamentale aprire una nuova rotta marittima
che congiungesse il Golfo Persico all’India,
anche a costo di enormi sacrifici.
Per questo il Sovrano preparò l’intero rientro nei pur
minimi particolari: Patala col suo ampio
bacino lacustre venne trasformata in una sorta
di porto-arsenale con il duplice scopo di
luogo di costruzione e deposito navale. Ad
Efestione venne assegnato il compito di
controllare la guarnigione e la città stessa,
mentre Lui si (pre)occupò personalmente di
seguire i lavori sul posto e di esplorare i
vari bracci del fiume.
Le prime ricerche avevano creato numerosi problemi, e solo
quando Alessandro riuscì a raggiungere
un’altra isola, dopo quella di Cilluta, in
mare aperto, solo allora si sentì di celebrare
un sacrificio a Poseidone e alle Nereidi al
pari di quello che aveva compiuto quando aveva
abbandonato il mare sullo stretto dei
Dardanelli.
Nei pressi del lago/arsenale, venne iniziato lo scavo di
pozzi per i rifornimenti di acqua potabile e
vennero ammucchiate tonnellate di grano e
provviste necessarie a sfamare l’intero
esercito per quattro mesi. Tra metà e fine
luglio del 325 a.C., si attese la sfuriata dei
primi monsoni ma il tardare dei venti, proprio
quell’anno, fu fatale: si decise di prendere
il largo ugualmente da Patala e subito dopo i
venti meridionali iniziarono a spirare e ad
aumentare gradualmente di intensità, tuttavia
gli abitanti locali avvisarono che se avesse
proseguito nel viaggio da li a poco, il Re
avrebbe perso l’intera flotta. Solo ai primi
di novembre il vento avrebbe concesso la lunga
tregua monsonica. Sarebbero dovuti passare
circa tre mesi prima che la flotta potesse
partire senza pericolo, ma Alessandro la
lasciava in una base massicciamente
fortificata, ben provvista di scorte e con
delle attrezzature portuali secondarie vicino
alla foce dell'Indo.
La spedizione ebbe dunque inizio non come Alessandro aveva
previsto. Lui aveva calcolato al meglio
l’intero iter del rientro, tuttavia
Nearco, benché fido, iniziò col disattendere
gli ordini del suo Monarca, la flotta al suo
comando, composta da circa 150 navi e forse
5-10.000 uomini d’equipaggio, invece di
discendere il ramo orientale si affidò a
quello occidentale, ritardando le operazioni
di una flotta. Per rendere le navi più veloci
le provviste erano state limitate, dopotutto
rientrava nei piani un appoggio costante delle
truppe di terra e la flotta sarebbe dovuta
partire prima per tenere il loro passo.
Inoltre i venti contrari, dei monsoni meridionali, che
iniziarono a tirare burrascosamente verso i
primi di ottobre, la tennero dapprima in secca
lungo la costa e, non appena in mare aperto,
fu spinta su un'isola al largo dove rimase
bloccata per 24 giorni, finché non cessarono i
fortunali.
Gli indiani del luogo avevano spinto il navarco verso
quegli errori fatali: l’ostilità degli
abitatori di Patala, già fuggiti di fronte
all’arrivo macedone, si perpetrò per tutta la
durata della presenza europea sul territorio,
e non solo. Durante le missioni di
avanscoperta nel deserto, gli indiani, avevano
tentato degli attacchi isolati, efficaci
contro degli squadroni rimasti lontani
dall’armata centrale, per continuare queste
azioni con atti di pirateria riportati da
Nearco nei sui rendiconti.
Le installazioni lacustri dell’arsenale vennero abbattute e
distrutte presumibilmente alla partenza dal
lago e la flotta venne inseguita a lungo fino
a rifugiarsi su un’isola a largo dove rimase
bloccata a causa dei venti.
Alessandro, invece, si era premunito congedando le numerose
truppe indiane mercenarie che l’avevano
seguito sull'Indo, rimanendo col solo nucleo
di iranici e di macedoni effettivi: esclusi i
falangiti al comando di Cratero, i mercenari
greci e la cavalleria ausiliaria iranica.
Inoltre seguiva il convoglio di salmerie,
mercanti, donne e bambini, forse per un totale
di 30.000 uomini.
Prima della partenza della carovana, il convoglio fece
scorta d’acqua nei pozzi scavati al confine
del deserto, dopo pochi giorni di marcia da
Patala, da qui seguì fino alle pendici dei
monti del Kirthar e quindi verso le foci del
fiume Arbio (Hab o Purali). Lungo la costa
verso occidente attaccarono di sorpresa gli
oriti, una popolazione indiana libera che si
trovava nei pressi dell’odierna Ras Bela (Belucistan).
Il piano del Duce macedone era geniale, come sempre
d’altronde… sapeva che li avrebbe aspettati il
deserto, quindi ordinò che lo schema dovesse
essere il seguente: divise i combattenti in 4
squadroni: un’avanguardia doveva avanzare e
scavare nei pressi della costa dei pozzi
preceduta però da Egli stesso in avanscoperta,
perché invadesse le località degli oriti e ne
facesse razzia, Leonnato aveva l’ordine di
coprire il fianco nord, Tolomeo quello
costiero a sud mentre il grosso del convoglio
sarebbe stato guidato a distanza da Efestione
che seguiva, sulla stessa asse, il primo
distaccamento.
La prima squadra si sarebbe mossa solo di notte; Alessandro
in quell’occasione si prodigò nell’ennesima
marcia forzata attraversando il deserto
costiero a nord dell’Arbio, scagliandosi
d’improvviso e saccheggiando la piana di Ras
Bela concentrandosi sulla ferace piana
settentrionale di Welpat.
Quindi prima di ripartire precedendo il grosso della
carovana, Alessandro attese Efestione con il
seguito nel principale centro dell’area,
Rambacia, che venne trovata disabitata e data
alle fiamme, come era successo per Patala, qui
vennero impartiti gli ordini all’amico
affinché questa divenisse una nuova fondazione
e affinché operasse il sinecismo dell’area.
In seguito alle azioni macedoni, iniziò una forma di
resistenza atta a bloccare gli invasori in
modo che rimanesse limitata ad oriente e non
si spingesse nei territori del Makran; agli
oriti superstiti si unirono i gedrosi che
tentarono un blocco dei passi del Makran ai
confini del deserto, bloccando la via che
conduceva nella valle di Kolwa (il passo Kumbh
attraverso il Jau Lak), lungo il fiume Arbio.
Alessandro si riversò contro di loro con le
uniche truppe leggere, i cavalieri dahi e l'agema,
e molto presto la situazione ai contrastanti
fu chiara: i gedrosi e i loro alleati non
avevano modo alcuno di supportare lo scontro
con i macedoni e ben presto furono costretti a
alla resa, imponendo agli oriti che inviassero
rifornimenti. La regione degli oriti venne
costituita satrapia sotto il controllo di
Apollofane, mentre la retroguardia di Leonnato
avrebbe avuto il compito di ripulire l’area
dalle sacche di resistenza, di rendere
controllabile il territorio, di popolare la
nuova città e di assistere l’arrivo della
flotta al comando di un drappello di agriani,
arcieri, fanti e cavalieri mercenari.
Qui venne creata la nuova Alessandria colonizzata dagli
Aratosi, che anticamente doveva sorgere sul
mare o in prossimità di esso; attualmente il
bradisisismo ha portato la linea di costa a 60
km ca. da Ras Bela.
Alessandro, e il grosso del contingente ripartirono
immediatamente e una volta giunti nuovamente
sulla costa, venne raggiunto dalle notizie
dell’insurrezione avvenuta subito dopo il suo
allontanamento: Apollofane era morto e
Leonnato era attaccato da oriti e gedrosi che
ne frattempo si erano rifugiati sulle
montagne, riuscendo però a sconfiggerli
uccidendone circa 6000 con perdite minime.
Grazie a questa vittoria Nearco riuscì a
rifornire la flotta imbarcando le agognate
provviste di frumento per dieci giorni, che
saranno anche le uniche che riuscirà ad
ottenere lungo tutto il tragitto costiero.
Intanto a fine ottobre o ai primi di novembre il grosso
dell’esercito macedone era giunto ai confini
della Gedrosia. Da qui iniziava il lungo
deserto.
Alessandro lo sapeva bene, conosceva i racconti persiani
che narravano le disavventure della
leggendaria Semiramide e di Ciro il Grande che
avevano portato allo sfacelo i loro eserciti,
ma come per il Sahara a Siwa e come per e
montagne della Media, si ostinò nel voler
proseguire, sfidando ancora una volta la
storia e dimostrando di voler riuscire dove le
leggende avevano fallito. Ma oltre a dover
badare agli uomini appiedati avrebbe dovuto
preoccuparsi anche della flotta lungo la
costa. Tuttavia insieme alle difficoltà dovute
al deserto e al clima, il re avrebbe dovuto
affrontare anche le popolazioni tribali della
regione del Sind.
La linea di costa che normalmente è ricca di vegetazione,
di fauna, una vera fonte di vita, lungo questo
versante riserva un’aridità assimilabile
esclusivamente alle coste della penisola
arabica. Alessandro dovette predisporre le
derrate non solo per l’esercito ma soprattutto
per gli approvvigionamenti della flotta. Se
nei piani la linea della marcia si sarebbe
dovuta svolgere parallelamente a quella
navale, la carenza piuttosto ingente di scorte
condusse la carovana necessariamente verso
l’interno in modo da incontrare i centri più
densamente popolati della Gedrosia.
Trovandosi in vantaggio sulla flotta, la spedizione
terrestre non poteva togliere derrate ai
naviganti, saccheggiando i già poveri
insediamenti marini. Lo stesso Nearco non ebbe
mai a lamentarsi dell’assenza di risorse al
suo passaggio e conferma che il Re e il suo
seguito presero la strada interna e che
nessuno dei centri costieri era stato spoliato
dalla spedizione terrestre.
Il Principe macedone si tenne ad una distanza adatta dalla
costa, che Strabone definisce in 500 stadi,
scavando dei pozzi a distanze fisse di modo
che non fosse troppo vicino alla costa per non
sottrarre rifornimenti, ma che la stessa linea
costiera fosse sempre a vista per qualsiasi
evenienza.
L’esercito, vedendo che il passaggio lungo la rada era più
complessa, vista la presenza della catena del
Talai, nei pressi del fiume Tomeros, con un
alto margine di probabilità, seguì la via
principale che virava verso il cuore del
deserto, attraverso il passo Jau Lak, e da li
si sarebbe spinto all’interno delle valli
Kolwa e Kech, raggiungendo le fertilissime ed
ampie distese della Gedrosia. In quest’area
vennero inviati, come locuste, migliaia di
foraggiatori fin nel nord della regione
(sembra fino all’attuale Panjgur) con l’ordine
di rifornire ambedue i contingenti, anche se
le disposizioni per la flotta vennero ignorate
dopo il suo allontanamento. A questo punto,
con le spalle coperte dai rifornimenti, il
viaggio poteva proseguire verso la costa per
tornare a supportare la flotta. L’ipotesi più
accreditata è che dall’oasi di Turbat, a circa
400 km da Ras Bela ridiscendesse verso la
costa attraverso un’ampia valle naturale
segnata dal letto del fiume Dasht,
raggiungendo il mare nei pressi di Pasni, e da
li a Gwadar.
Ma Alessandro disattese i suoi propositi con questa mossa
inaspettata; ancor prima di giungere nei
pressi del mare e convinto che le derrate
potessero essere sufficienti, si trovò nella
situazione in cui l’area, di tipo
desertico-roccioso, rimaneva ancora a secco
dalle piogge che sarebbero giunte dopo qualche
settimana.
Da questo momento in poi jncominciarono a terminare le
scorte e si diede iniziò, prima, con
l’uccidere gli animali che trasportavano i
bagagli per ricavarne cibo, in questo modo
veniva placata la fame ma aumentavano gli
sforzi per il trasporto, progressivamente.
Inoltre le piogge stagionali defluivano velocemente dalle
alte cime dei monti verso valle ed essendo il
suolo idrorepellente per le rocce e spesso la
carovana era preda di inondazioni improvvise,
dopo la più grave delle quali, che colpì gli
accampati durante una notte, il Macedone
ordinò che non si accampasse più nessuno nei
pressi dei letti dei fiumi.
La disciplina era l’unico modo per poter riuscire a
sopravvivere: cercò di regolare e razionare
l’acqua in modo che fosse data con cura
evitando improvvisi rigonfiamenti dovuti alla
sete oppure, p. es. evitò che l’acqua venisse
presa in maniera disordinata dai pozzi
scavati, affinchè non divenisse torbida per la
fanghiglia presente sul fondo.
Per garantire la salvezza dell’esercito la
stessa la Guida, in preda ai tormenti per la
sete, oltre a continuare a piedi, rifiutava
anche l’acqua che i suoi seguaci gli
offrivano, dando in questo modo il buon
esempio e rinfrancando il morale delle proprie
truppe.
Dopo Turbat fu difficile trovare anche l’acqua e la fame e
la sete iniziarono a divenire insopportabili,
i soldati di scorta al convoglio delle cibarie
destinate alla flotta, sciolsero i sigilli
reali delle vivande e divorarono la maggior
parte dei viveri.
Si continuò ancora verso ovest per altri 7 giorni, con
l’aumentare delle difficoltà e soprattutto
nell’attesa per le sperate piogge, prima di
voltare la marcia di nuovo verso il nord, per
riallacciarsi alla strada interna, da qui il
viaggio proseguì nella piana di Dashtiari a
nord del fiume Bampur, fino ad uno dei pochi
centri di un certo rilievo dell’intera area;
giunti a Pura (attuale Iranshahr o Fahrai).
Erano passati 60 giorni ed erano stati
compiuti circa 1200 km dall’inizio del viaggio
ed il convoglio dei bagagli era stato del
tutto consumato o abbandonato.
Qui, l’esercito affamato e stanco, attese inutilmente le
tanto sperate derrate che Stasanore, satrapo
della Drangiania (Sistan), uno dei granai
della Persia e del bacino del Bampur, annesso
alla satrapia durante l’avanzata verso oriente
nel 329 a.C., aveva inviato. Le provviste
servivano solo per pochi giorni e il Re fu
costretto a ripartire per integrare verso
occidente le scarse risorse attraverso la
depressione di Jaz Murian fino ai confini
della Carmania. Dove il convoglio ricevette
nuove provviste sia dallo stesso Stasanore che
dalla Partia.
Con quest’ultimo intervento dei satrapi terminavano le
torture patite in due mesi di attraversamento
del deserto, alcune fonti, tra cui Plutarco,
narrano di perdite gravissime che ridussero
l'esercito ad un quarto della sua forza di
partenza rispetto a quelle presenti sull’Idaspe.
Certamente se il dato può essere valido per il
convoglio che seguiva i militi ossia donne,
bambini e non combattenti, allo stesso modo
sembra che il calcolo possa essere eccessivo
per i guerrieri macedoni che non rimasero
decimati.
I sopravvissuti raccontarono la marcia come un’atrocità,
poiché il loro Re fino ad allora non gli aveva
fatto mancare nulla durante l’avanzata. Questo
sforzo infinito fu costellato da sofferenze di
ogni genere patite non solo dall'esercito ma
dall’intera carovana. La durezza della marcia
continua, la lunghezza delle stesse, la
penuria d'acqua a cui si contrapponevano
improvvise inondazioni e dissesti
idrogeologici che a loro volta rendevano il
cammino ancora più difficile; a questo si
doveva aggiungere l’ostinazione della Guida
nel portare rifornimenti alla flotta.
Ancora una volta il Sovrano del mondo conosciuto aveva
compiuto un’altra inesorabile impresa
superando Semiramide e Ciro il Grande
riuscendo a condurre il suo esercito oltre il
deserto, ma questa volta con sofferenze
infinite.
Dalla Carmania a Susa
A Pura, capitale della Gedrosia, il Principe iniziò a
riprendere i contatti ed i rapporti con i suoi
satrapi: oltre ad esser venuto a conoscenza
del colpo di mano subito dalle sue truppe
nell'Oritide, non fece in tempo a deporre il
suo satrapo, Apollofane che ricevette la nuova
della sua morte e della vittoria di Leonnato.
Cratero, avendo attraversato le più comode satrapie di
Aracosia e Drangiana, seguendo il tragitto più
comodo, si trova a pochissimi giorni di marcia
dal suo Re e gli si preannunciava l’avvenuto
tentativo di una ribellione nell’area. Ma più
gravi sembravano le sconcertanti notizie sulle
insurrezioni nelle province persiane e di
comportamenti anomali dei satrapi.
Nella condizione in cui si trovava, il Monarca non poteva
ancora agire come avrebbe voluto: il suo
esercito non si era ancora ricongiunto a
Cratero, e i superstiti del deserto erano
ancora sfiancati; per questo accolse
benevolmente, assecondandolo, Astaspe, satrapo
della Carmania, benché su di lui ricadeva il
sospetto di complotto nei suoi riguardi mentre
era in India, quindi si diresse verso di lui
attraversando la depressione di Jaz Murian e
da qui la valle di Halli Rud.
Finalmente, dopo più di 600 km, ricevette festosamente a
Galashkird, la colonna di Cratero il quale,
proveniente dal lago Seistan, dopo esser
passato per Kandahar, aveva radunato per il
suo Re cibo e bestiame dalle satrapie centrali
ma soprattutto grandi quantitativi di rinomato
vino della zona. Come nella perdita di
controllo di tutti gli eccessi, si passò in
pochi giorni da un estremo all’altro: c’era
forse la voglia di rifarsi o di dimenticare le
sofferenze patite nel deserto. Fonti non
ufficiali narrano di festeggiamenti continui
indetti da Alessandro nelle vesti di un
Dioniso trionfante, su un carro festoso, come
narra la mitologia al suo rientro dall’India,
e di tutti i sui generali seguiti da schiere
di ufficiali e di soldati in teorie continue
in lungo e largo per le vie della città,
terminati i festeggiamenti, la marcia proseguì
per sette giorni in uno stato confusionale
dovuto all’alcol.
Il Sovrano sapeva come lenire, curare e far dimenticare le
fatiche e i dolori patiti con la marcia in
Gedrosia. Tuttavia il grande controllo che
Alessandro aveva di se stesso, fece si che
nell’arco di pochissimi giorni si riprendesse
e prendesse i primi provvedimenti. Astaspe
venne giustiziato e subito dopo si iniziarono
delle proscrizioni e delle esecuzioni
sommarie: Alessandro aveva ricevuto notizie,
da alcuni notabili persiani, di comportamenti
tracotanti, come violenze e sacrilegi,
decisamente gravi, di alcuni dei suoi generali
macedoni: Oleandro, Agatone, Sitalce ed
Eracone erano stati convocati in Carmania e
con il proprio corpo di spedizione formato da
1500 uomini ognuno avevano percorso 1700 km da
Ecbatana, capitale della Media.
Le accuse dei sudditi vennero confrontate con le
testimonianze delle truppe, sappiamo della
messa a morte di Oleandro e Sitalce e di altri
600 uomini, ma si deve presupporre la fine
anche degli altri generali. Alessandro non
mostrò nessuna pietà, al pari della facilità
con cui aveva assegnato la propria fiducia,
per dare un segnale forte a tutti i funzionari
di qualsiasi livello.
Con questa mossa, lo Stratega faceva risalire la sua
popolarità dopo la tragedia del deserto del
Makran: i giustiziati erano coloro che erano
stati incaricati di uccidere Parmenione e la
loro messa a morte avrebbe soddisfatto i
ranghi macedoni dell'esercito, in particolare
i veterani, ancora in grado di formare un
nucleo piuttosto sostanzioso dell’esercito.
A questo punto l’azione del Re si rivolse, con la stessa
determinazione verso tutti i satrapi. Dalla
Carmania partirono strali sotto forma di
lettere che intimavano lo scioglimento di
tutte le truppe mercenarie al comando dei
singoli governatori utilizzate fino ad allora,
non come strumento di controllo, ma come
elemento di sottomissione dispotica personale.
Diodoro Siculo, unica fonte che ci parla di questo evento,
paragona questo provvedimento a quello preso
nel 359/58 a.C. da Artaserse III e che aveva
portato alla ribellione di Artabazo.
La differenza tra i due procedimenti fu che, con un buon
margine di probabilità, Alessandro inglobò nei
suoi ranghi questi mecenari, riunendoli tutti:
nell’anno e mezzo successivo iniziarono a
confluire tutti i convogli di mercenari al
centro dell'impero, operazione che terminò con
l'arrivo dei contingenti carii e lidii. Questo
ulteriore provvedimento seguiva un piano
progettato dallo Stratega già in India, quando
aveva richiesto il confluimento delle forze
delle satrapie mede e babilonesi nell'esercito
reale.
I satrapi più fedeli, forse per dimostrazione di
attaccamento al Sovrano o per pura demagogia
politica inviarono contingenti numerosissimi
come Peucesta, governatore di Perside, nel 324
a.C. radunava ed inviava 20.000 soldati, lo
stesso valse anche per Antipatro che aveva
avuto ordine di rimpiazzare i veterani.
Allo stesso tempo lo Stratega ordinava di ricostruire gli
eserciti.
Il piano non era chiaro a nessuno, nessuno poteva capire
quello che stesse passando per la testa del
Principe e per questo la confusione regnò
sovrana per i mesi a seguire.
Le milizie una volta raggiunto il centro dell’Asia vennero
congedate ma la maggior parte non gradì la
mossa del Sovrano: molti di essi si
costituirono in bande indipendenti che
iniziarono a saccheggiare le campagne e le
regioni. Anche se la maggior parte si unirono
alla causa dell'ateniese Leostene, che li
portò con se al Tenaro, in Laconia, con
l’intenzione di creare una forza che
proseguisse la guerra fallimentare dello
spartano Agide.
Un fremito di terrore percorreva ormai l’Asia, i satrapi
erano più controllabili ma l’instabilità
provinciale risultava altissima, le
convocazioni a corte erano prese come un
segnale che precedesse l’epurazione. Iperide
afferma che già sul finire del 324 a.C. molte
satrapie e diversi generali erano sul punto di
ribellarsi e il primo segnale fu la fuga del
tesoriere di corte da Babilonia, Arpalo, il
quale voltava le spalle per la seconda volta
al suo amico d’infanzia e suo Re, forse per la
sua convocazione insieme ad Apollodoro.
Dopotutto il tesoriere, si era comportato come
un vero e proprio governatore sui generis,
a questo si univano anche questioni personali
tra cui le accuse mossagli dal suo avversario,
Teopompo, che gli rinfacciava il fatto di aver
importunato l’amante ateniese Gli cera,
reggente di Cilicia.
Arpalo aveva posto il proprio centro nell'antico regno di
Elimiotide: Ecbatana, governata da Oleandro,
era stata uno dei centri finanziari a lui
sottoposti: per la proprietà transitiva, la
convocazione corrispondeva ad una condanna a
morte e forse sarebbe stato incolpato dei
medesimi reati attribuiti al satrapo.
L’amico fraterno di Alessandro si allontanò con 5000
talenti e un esercito di mercenari al suo
comando verso Atene, costituendosi come un
elemento di disturbo notevole. La notizia
della fuga raggiunse il Re che fu preso da
scompensi di ogni tipo reagendo incredulo
all’accaduto, fece arrestare gli informatori
come calunniatori, anche se poco dopo dovette
ricredersi di fronte alle notizie effettive e
la delusione si trasformò in astio. Arpalo
venne messo alla berlina e schernito per la
sua relazione con Glicera e per i suoi
rapporti con Atene che nel frattempo aveva
concesso asilo politico lasciando che la sua
flotta entrasse nel Pireo.
Il Sovrano lasciò sbollire la sua ira, ripromettendosi
future rappresaglie, ma questo ennesimo
episodio di insubordinazione non fece altro
che fomentare i sospetti sui suoi sottoposti.
Durante il suo rientro verso Susa, ogni
satrapo veniva interrogato con fare
accusatorio, coloro che cedevano o coloro che
erano accusati venivano deposti e al loro
posto venivano nominati, personaggi, tutti
europei, mediocri e di basso carisma.
Alle soglie dell’inverno, Alessandro raggiunse Salmo,
capitale, attualmente inindividuabile della
Carmania; secondo Diodoro e Nearco, si trovava
a cinque giorni di cammino dalla costa,
probabilmente sul versante occidentale della
valle dell'Halli Rud, forse nei pressi
dell’attuale città di Khanu.
Nei pressi dello Stretto di Ormuz, a pochi km da Salmo, si
fermò l’esercito che stava ancora smaltendo i
bagordi dei giorni passati, qui il Macedone
attendeva ansiosamente notizie di uno dei suoi
commilitoni di cui si fidava ancora,
l’ammiraglio Nearco. Quando seppe che ormai il
suo arrivo era imminente iniziò le
celebrazioni per le commemorazioni
dell’impresa indiana e soprattutto per la
scampata morte nel deserto gedrosiano. Vennero
celebrati sacrifici ed agoni ginnici e
musicali culminanti con il coro della
vittoria. Nearco giungeva allora ad Armozia,
alla foce del fiume Amanis (attuale Minab) e
principale porto della Carmania, con la flotta
pressoché integra, senza aver subito gravi
perdite, ma estremamente provata. Le
celebrazioni e i ringraziamenti alle divinità
proseguirono per giorni e vennero sospese
solamente in occasione del momento più
toccante, l’incontro tra Nearco e Alessandro.
Al termine delle celebrazioni, dei riti, dei giochi e dei
sacrifici di chiusura, Nearco preparò un
dettagliatissimo resoconto di un viaggio –
giuntoci attraverso Arriano e Strabone –
estremamente affascinatone ma estremamente
duro. L’esperienza aveva addirittura segnato
il navarca nel corpo e nel viso: la salsedine,
il sole, gli stenti, lo avevano bruciato a
livello epidermico e psichico; il racconto era
condito da narrazioni fantastiche alquanto
nutrite.
Il giornale di bordo, estremamente dettagliato, narrava che
non appena terminò la stagione dei monsoni,
verso la fine di ottobre, era uscito dalla
foce dell’Indo, raccontò dell’attacco dei
nativi indiani e dell’inseguimento fino
l’isola a largo della costa, da cui si diresse
a occidente, facendo una sosta alla foce dell'Arbio.
Lì, in particolare, ricordava di notizie false
che lo portarono ad attendere il Re per giorni
secondo le voci che lo volevano nei pressi
della costa, nel momento in cui il suo Signore
invece era già passato oltre, cercando di
incontrarlo inviando squadre di ricognitori
verso l’interno del paese. Non era riuscito
neanche a trovare i pozzi scavati
dall’esercito di terra tempo prima.
Prima che giungesse il peggio era riuscito a raggiungere le
provviste, molto più avanti nell'Oritide, che
Leonnato aveva preparato per lui a Cocala.
Da qui iniziò il viaggio per la terra sconosciuta detta
degli ittiofagi, popolazione assai povera
armata solo di lancia lignea temprata a fuoco
e dalle risorse estremamente scarse, qui i
naviganti dovettero accontentarsi di una
misera dieta a base di pesce e datteri,
alternata rarissimamente a carne di montone
essiccata. La fame e la sete rappresentarono
l’unico problema per la flotta e tutti i
centri venivano sistematicamente saccheggiati
e “spolpati” fino all’arrivo in una piccola
città portuale con cinta muraria anonima che i
geografi moderni identificano alla foce del
fiume Dasht.
Gli abitanti si comportarono in maniera molto ospitale
offrendo doni e cibo consentendo ai marinai
l’ingresso all’interno della cinta muraria.
Non appena dentro, Nearco diede l’ordine di
attaccare e sotto la minaccia delle armi gli
abitanti furono costretti a consegnare
l’intero raccolto che caricarono sulle navi ma
che terminò ben presto costringendo la flotta
a ritornare ai datteri di palma selvatica,
fino a quando, ancora una volta in bilico tra
la vita e la morte, lungo la costa venne
individuato un gregge di cammelli domestici.
Solo in Carmania non vi furono più problemi
fino al suo arrivo ad Armozia, forse nei
pressi dell’attuale Bandar Abbas.
Nearco e la sua flotta avevano navigato, fino ad allora,
per oltre 1300 km e quasi 80 giorni. Anche se
duro, per le condizioni, al contrario di
quello terreno impreso dal suo Generale,
questo era stato un viaggio privo di
sofferenze atroci. Di tutte le navi solo una,
con equipaggio egiziano, era scomparsa, e solo
pochissime navi risultavano danneggiate
superficialmente per i forti venti monsonici
quando si trovavano ancora lungo le coste
dell’India e del Belucistan.
Per aver portato a termine il suo compito in questo stato e
in queste condizioni, cioè senza danni e/o
perdite, Nearco s’ingraziò grandemente il
favore del Re e ricevette, oltre alle
ricompense per lui e per il suo equipaggio, il
compito di esplorare la linea costiera tra
Armozia e Susa.
Questo di Nearco non solo fu un successo estremo, per come
si erano svolti gli eventi, ma probabilmente
la lungimiranza di Alessandro lo aveva portato
a scommettere anche su questa impresa. Il
Macedone aveva innescato dentro la sua mente
un processo inarrestabile che considerava
definitivamente la soluzione marittima il
nuovo sistema di approccio, esplorativo,
economico e soprattutto militare facendo
scaturire all’interno della sua mente progetti
megalomani che se erano riusciti via terra
sarebbero stati ancora più semplici via mare.
Precedendo di qualche anno le grandi battaglie navali dei
suoi diadochi e di almeno un cinquantennio la
grande espansione romana all’interno del
Mediterraneo ai danni di Cartagine, per la
prima volta dopo le grandi colonizzazioni
greche e fenicie di VIII sec. a.C., dimostrava
che era possibile spingersi per migliaia di km
lungo coste inesplorate senza alcun sostegno
da terra.
Durante il tragitto da Salmo a Susa, Alessandro
pianificherà progetti che inizieranno a
prendere corpo immediatamente dopo
l’installazione a Babilonia.
Tra gennaio e febbraio del 324 a.C., Alessandro divise
ancora una volta il suo esercito, con Lui
prese due veloci manipoli di cavalleria e
fanteria leggera dirigendosi a nord verso il
capo Halli Rud e da qui, attraverso Sirjan e
Sahri Bahbeck, costeggiando il lago Nayriz
fino a Pasargade, mentre ad Efestione venne
affidato il grosso dell'esercito, elefanti
compresi, con il compito di seguire la costa
attraverso un percorso più agevole, passando
per Lar, Fasa e Shiraz.
Giunto nei pressi dell’antica capitale persiana con un
contingente modesto si trovò ad affrontare il
neoautoeletto satrapo della Perside, Orxine,
che basandosi sulla sua discendenza da Ciro il
Grande, aveva usurpato la carica in seguito
alla morte di Frasaorte. Vista la situazione,
i due si temevano vicendevolmente, e se da una
parte Alessandro desiderava porre sul trono
della satrapia un suo fedelissimo, dall’altra
temeva la forza militare e la popolarità di
Orxine. Dal canto suo il satrapo immaginava
quello che potesse attenderlo in caso di
incontro o di un eventuale scontro e per
questo decise di omaggiare il proprio sovrano
incondizionatamente e mentre alla sua destra
portava uno schieramento militare di tutto
rispetto alla sua sinistra conduceva doni
degni della migliore reverenza.
Alessandro lo accolse in maniera degna di un satrapo ma
probabilmente cercò un pretesto che comunque
non riusciva a trovare pr poterlo giustiziare,
fino a quando, una volta a Pasargade,
raggiunse la tomba di Ciro il Grande, i cui
resti costituiti da una piccola cella a
frontoni su basamento a gradoni – ancor oggi
dominano la spianata delle rovine della città
antica.
Qui il Principe notò, in seguito a ricerche personali, poi
appurate dall’apertura della stessa,
che la sepoltura era stata violata, il sarcofago fatto a
pezzi e il cadavere smembrato. Iniziarono così
delle indagini cruentissime che non condussero
a niente di fatto: la responsabilità ricadeva
allora sul satrapo che avrebbe dovuto
salvaguardarla dagli atti vandalici.
La tomba fu subito restaurata e sigillata sotto la
supervisione di Aristobulo e Ciro ricevette
nuovamente onori e gloria per le sue gesta, da
parte del suo più grande estimatore.
Ma l’episodio non poté essere preso da Alessandro come
escamotage per un’accusa diretta nei confronti
del satrapo e mentre si trasferiva a Persepoli,
per punire l’eunuco Bagoa, si preparava a
punire il satrapo che alla fine venne
crocifisso, come usurpatore e con lui anche il
comandante macedone della guarnigione. Dopo di
lui venne scelto il macedone Peucesta, che gli
aveva salvato la vita nell’episodio
dell’attacco isolato contro la città dei malli
in India.
Il nuovo governatore sotto le direttive di Alessandro
avrebbe dovuto imparare la lingua persiana,
comportasi e vestirsi da persiano per
accattivarsi i favori del popolo. Questo
satrapo sarà uno dei più amati dalla
popolazione, poiché aveva seguito
perfettamente i dettami del suo signore e la
sua rimozione da parte di Antigono, nel 317
a.C. porterà a ferventi proteste da parte
della popolazione fin quasi alla sommossa.
Attualmente non riusciamo a distinguere se fu realmente lui
a seguire le direttive date da Alessandro
oppure, come afferma Diodoro, Peucesta fu
l’unico a cui il Re permise di adottare gli
usi ed i costumi del luogo e che la sua
posizione, rispetto alla figura reale, fu
unica.
A Persepoli si riunirono i due amici, Efestione ed
Alessandro, dove celebrarono un evento rimasto
negli annali come unico nella storia
occidentale fino alla moderna Guerra in
Vietnam: Calano l'asceta, che si era unito
alla spedizione quando questa era entrata nel
regno diTaxila, soffriva da tempo per una
grave malattia ed espresse il desiderio di
suicidarsi. Secondo il suo volere venne
allestita una pira e mentre gli venivano
tributati onori e saluti dall'intero esercito
completamente schierato, tra cui gli elefantii
in prima fila, Calano terminò la sua vita
bruciando lentamente, in silenzio nella tipica
posizione ascetica e totalmente impassibile
fino alla fine; in suo onore vennero celebrati
agoni ginnici e musicali seguiti da una gara a
chi avesse bevuto più vino puro che condusse
alla morte 41 persone.
La spedizione si rimise allora in viaggio alla volta di
Susa attraverso la strada reale, che venne
raggiunta nel marzo del 324 a.C., dopo 24
giorni di marcia. Sul fiume che scorre a
fianco della città, trovò Nearco con la flotta
al completo giunto da poco da Armozia. Anche
questa seconda parte della navigazione era
andata a buon fine nonostante anche questa
seconda sezione fosse totalmente desertica
poiché prima di partire le navi erano state
enormemente rifornite di scorte dalle isole
lungo la costa, terminate le quali, questa
volta avevano trovato alla foce del Sitaco
altri viveri fatti ammassare da Efestione.
Anche in questo caso Nearco fornì un dettagliato resoconto
esplorativo privo di elementi salienti: i
bassi fondali, la costa dai pochissimi
attracchi sicuri, con rive inapprocciabili e
le forti correnti non consentivano sbarchi
continuativi. Il viaggio era terminato alla
foce dell'Eufrate e da qui aveva iniziato a
risalire l’estuario del Pastigli per
incontrare Alessandro a 20 km da Susa.
L’esercito era nuovamente al gran completo dopo tre mesi
dal disgiungimento di Salmo e come sempre si
svolsero i soliti riti seguiti dai soliti
festeggiamenti: venne gratificato ed elogiato
Peucesta per il suo atto eroico contro i
malli, Leonnato per la sua vittoria in Oritide
e Nearco e Onesicrito per il compimento della
loro impresa navale che avevano solcato le
pericolose acque dell'Oceano Indiano; a questi
si aggiunsero riconoscimenti per Efestione e
le altre guardie del corpo. |