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> Storia Antica

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N. 20 - Gennaio 2007

ALESSANDRO MAGNO. ALESSANDRO III DI MACEDONIA

Fino all’Oceano Meridionale - Parte XVI

di Antonio Montesanti

 

 

Alessandro ottenne da questa vittoria la massima soddisfazione: questa era davvero la consacrazione della sua spedizione. Come, all’indomani di ogni vittoria, diede le sue disposizioni: Poro, il re guerriero che aveva impressionato Alessandro sul campo di battaglia, venne confermato come  reggente dei territori e signore dei signore dei suoi sudditi oltre l'Idaspe, ampliò i territori del valoroso nemico, volle che fossero impiantate le fondazioni di Bucefalia e Nicea sotto la supervisione di Cratero e inoltre predispose la costruzione di una flotta che tramite l’Indo lo avrebbe condotto all’Oceano Meridionale e da qui dall’Etiopia in Europa.

 

Dopotutto Alessandro nonostante i racconti di terre oltre l’Indo molto più estese di quelle dalle quali proveniva, era convinto che l’Oceano Indiano fosse un lago dal quale nasceva il Nilo. Attraversando il “Lago Oceano” sarebbero giunti fin in Egitto. Giungendo alle foci dell’Indo, avrebbe screditato anche i racconti degli Indiani, i quali raccontavano che il fiume, oltre a non avere rami secondari dai quali scaturiva il Nilo, sfociava nel mare aperto.

 

Per questo motivo e per poter costituire una flotta in grado di condurre l’esercito, il Re iniziò a fare delle spedizioni per procurarsi il legname contro la popolazione dei glausi, che erano stanziati sulle pendici montuose, e ricche di legname a nordest, che si risolse con la resa immediata degli abitanti, le cui terre vennero annesse al regno di Poro.

 

Tassila, rimase deluso della vittoria di Alessandro, lui che si era offerto ancor prima che il re fosse entrato nei suoi territori, ora si trovava in una posizione di secondo piano, rispetto ai favoritismi che Alessandro riservava a Poro. La riconciliazione “forzata” da parte macedone tra i due ex nemici, lasciava Tassila amareggiato poiché in questo modo doveva trattare da pari il ex nemico.

 

Poro venne difeso da Alessandro quando i nemici di frontiera, a est dell'Acesine spingevano sul confine, dopo aver respinto e ribaltato un tentativo d'invasione da parte sua e di Abisare, suo confinante. Quest’ultimo terrorizzato fuggì oltrepassando l'Idraote (Ravi) con l'esercito, non prima di aver revocato la sua recente alleanza e promesso sostegno a Poro. Dopo un primo richiamo da parte di Alessandro, di presentazione, il Giovane Re iniziò una marcia verso est chiedendo a Poro di reclutare uomini per la campagna.

 

Mentre il tempo passava, ci si rendeva conto di due fattori, il primo era quello preminentemente meteorologico-climatico, legato al fenomeno dei monsoni all’insegna dei quali era iniziata la campagna, i quali proseguivano da alcuni giorni ininterrottamente e che non sarebbero terminati presto; ed il secondo era il fatto che la fuga di Abisare iniziava a prendere i contorni di una tattica.

 

Oltrepassato l'Acesine, la campagna si manifestava in tutta la sua durezza e le condizioni per l’esercito peggioravano quotidianamente. Il tutto mentre perduravano le insistenti piogge monsoniche che facevano marcire armi ed equipaggiamento dei soldati e che causavano la proliferazione di serpenti ed animali molesti che rendevano pericolosa la marcia.

 

Sangala

 

Entrando nei territori di Abisare, l’inizio della campagna fu piuttosto leggera, la resistenza nulla e le piogge neanche insistenti, tant’è che l’esercito, nelle figure di Cratero e Ceno, si concentrò più sulla scorta di foraggiamenti che in una vera e propria campagna militare, Efestione consolidò, tramite guarnigioni, la retroguardia, mentre l’Argeade  attraversava l'Idraote per avanzare contro gli indiani cosiddetti autonomi, e che furono i primi ad approntare una forma di resistenza, rinchiudendosi e fortificando la loro roccaforte, Sangala (presso Labore e Amritsar, non ancora individuata).

 

L’assedio di Sangala doveva risultare uno dei più semplici ma, allo stesso tempo, atroci capitoli della seppur breve storia poliorcetica macedone. I macedoni, non attaccavano in proporzione uguale alla difesa, ma ogni volta sfruttavano il loro potenziale al massimo. Tolomeo, che con l’andare del tempo era divenuto tra i più fidati e precisi generali di Alessandro, partecipò personalmente all’assedio, distinguendosi tra gli altri. Gli abitanti utilizzarono a difesa della città, una triplice linea di carri, con l’obbiettivo di respingere il nemico che la falange premeva prepotentemente contro le difese, con l’effetto di ritrovarsi imprigionati all’interno delle loro stesse mura  mentre i macedoni terminavano il montaggio delle macchine d'assedio. La prima sortita venne respinta da Tolomeo e solo all'arrivo di Poro, ebbe inizio l’assalto della fortezza.

 

Non vi fu neanche bisogno delle torri, le fragili mura di mattoni, cadevano ai primi colpi d’ariete e in brevissimo tempo la città fu presa. Gli abitanti, provati dalle avverse condizioni atmosferiche discriminante anche per la visibilità, registrarono un alto numero di feriti e in breve tempo abbandonarono, trascinandosi dietro i loro averi piuttosto che subire la conquista: gli esuli portavano con loro la desolazione di un popolo invasore che massacrava tutti coloro che trovava sul suo cammino e le notizie che presto raggiungevano tutti i centri limitrofi, portando gli altri verso l’abbandono.

 

Sangala venne ridotta ad un cumulo di macerie ed il suo territorio accorpato ai territori di Poro, che stabilì delle guarnigioni nelle città sconfitte o arrese mentre il corpo d’invasione raggiunse senza ostacoli il fiume Ifasi (Beas) dove tutti i sovrani porsero atto di resa. Alessandro voleva spingersi oltre il Beas; oltre questo confine fluviale sembra vi fosse un popolo numeroso, retto da un governo aristocratico, ricco di elefanti, forse i prasii e/o i gangaridi, che governava il bacino del Gange, della dinastia Nanda, la cui capitale, Pataliputra (la greca Palimbothra) era situata alla confluenza del Son col Gange, presso la moderna città di Patna.  

 

Alessandro mandò comunque una spedizione che in 12 giorni coprì 330 km nel deserto e che non portò notizie corrispondenti alle nozioni sul regno del Gange, ma del quale venne a conoscenza: non era “vicino ai confini della terra” e militarmente il re dei Gandaridi poteva schierare un esercito di molto superiore a quello di Poro.

 

Se si doveva chiedere all’esercito di marciare per giorni, di privarsi di cibo ed acqua, di combattere strenuamente, lo si poteva fare, ma la frustrazione di continuare a passare più di due mesi sotto la pioggia battente non lasciava tempo a dubbi sul proseguimento della marcia. I vestiti, le armi, la volontà e soprattutto il morale ne uscivano pesantemente  intaccati, accompagnati da prospettive di terre ancora più sconfinate e popolose, di attraversamenti fluviali faticosissimi, di eserciti rimpinguati da schiere di elefanti.

 

Il malcontento incominciava ad appesantire gravemente non solo il morale ma soprattutto la disciplina. La possibilità, sempre più concreta di un “non-ritorno” portò i soldati ad una vera e propria forma d’ammutinamento.

Per l’enorme rispetto ed ammirazione che i soldati nutrivano nei riguardi di Alessandro, non si ribellarono apertamente ma tentarono un approccio che avrebbe condotto ad una sorta di strategia basata sulle lamentele, che il giovane Generale carpì e fece sue cercando di risolverle con un consiglio degli ufficiali superiori.

 

Alessandro parlò ai suoi veterani, prima ancora che i vari generali di reparto esponessero le loro lamentele, il Condottiero dichiarò i suoi piani che prevedevano l’attraversamento dell’ultimo dei 5 fiumi del Punjab, l'Ifasi e di continuare le conquiste; ma questa volta il suo carisma non fu in grado di convincere il cuore di uomini logorati da anni di fatiche e spaventati dall'idea di sopportare disagi e scontri ben più pesanti.

 

Ceno, figlio di Polemocrate, un comandante di falange di notevole spessore, tenuto in altissima considerazione sia dai suoi soldati che dal suo superiore, spiegava a quest’ultimo le ragioni dei suoi uomini: se voleva andare avanti, Alessandro avrebbe proseguito fino al Gange esclusivamente con gli ausiliari asiatici, che, componevano numericamente il nucleo dell’esercito ma che erano al tempo stesso la parte più debole.

 

Il silenzio in cui si svolsero i discorsi dall’una e dall’altra parte, lasciavano adito a poche interpretazioni: i chiarimenti di Ceno riflettevano lo spirito dell’intera assemblea, tanto che Alessandro, preso da momenti di astio, sciolse il consiglio nervosamente. Il giorno dopo un nuovo incontro, non portò a nessuna soluzione. Anzi, più si andava oltre nel tempo e più i soldati apparivano restii. I tre giorni successivi furono d’isolamento, passati nella tenda, dove il Condottiero divenne inaccessibile persino ai suoi amici, mentre il quarto giorno si rifugiò nella sua pietas, chiedendo agli dei con un  sacrificio, la strada da intraprendere e se l'attraversamento sarebbe andato a buon fine. Per casualità o per forza maggiore, i presagi diedero esito negativo.

 

Il Sovrano del Mondo si piegava al volere degli  dei e non agli uomini. Laddove terminava la sua impresa, a ricordo fece erigere 12 altari giganteschi di pietra, in segno di ringraziamento all’intero pantheon che lo aveva protetto durante l’impresa.

 

Il Re quindi diede l’annuncio che la spedizione sarebbe rientrata in Patria e l’esercito esplose in un’esultanza oltremodo eccessiva che confermava la propria riluttanza a proseguire. Il fato volle, forse politico o casuale, che di li a poco Ceno, colto da una strana malattia, morì qualche giorno dopo... mentre a Cratero, vennero assegnati compiti lontani dal centro di comando. Ambedue erano stati oggetto di onorificenze smodate.

 

La carovana avrebbe ridisceso l’Idaspe fino all’Indo che avrebbe portato le truppe sull'Oceano Meridionale.

 

Prima di organizzare la partenza, il Signore d’Asia stabilì che Poro regnasse sui territori a oriente dell'Ifasi e che, contrariamente a Tassila, non fosse affiancato da satrapi europei, ordinandogli di proseguire la costruzione dei capisaldi di Nicea e Bucefala quindi si rivolse verso i possedimenti di Abisare, confermati al suo reggente ed espansi ai danni del sul suo vicino, Arsace.  A tutti e tre venne chiesto di fornire un aiuto per la costruzione della flotta.

 

Giunto sulle rive dell'Idaspe, alla base nei pressi di Bucefala e Nicea, alla fine di settembre, trovò ulteriori rinforzi dall'Europa: 7000 fanti mercenari assoldati dal tesoriere Arpalo, 6000 cavalieri dalla Grecia e dalla Tracia e ben 23000 fanti Greci, nonché due tonnellate e mezzo di rifornimenti medici e 25000 armature istoriate d'oro e d'argento che fece subito distribuire ai suoi fanti scudati. Quindi diede ordine di allestire una flotta. Qui venne istallato un cantiere supportato da un porto artificiale, dove veniva lavorato il legname proveniente dai monti.

 

Gli stessi Compagni acquisirono il ruolo di trierarchi, assumendosi l’onere di allestire le proprie navi con fondi personali. Comandante superiore dell’intera flotta era il navarco Nearco di Creta, amico d'infanzia ed ex satrapo di Licia e Panfilia; timoniere dell'imbarcazione reale e suo sottoposto era Onesicrito di Astipalea.

 

Tuttavia quella allestita, non doveva essere una flotta – stimata tra le 800 e le 2000 imbarcazioni – con  funzioni belliche, bensì doveva fungere da trasporto di cavalli, persone, armi e vettovaglie. La parte seguente del viaggio avrebbe avuto quindi un carattere esplorativo

 

Poche pagine della storia narrata dagli autori antichi sono dedicate a momenti così solenni, così spettacolari e mirabili al tempo stesso, per scenografia e sentimento che conducono ad una emozionalità comprensibile anche il lettore. Il momento della partenza, anzi del rientro a casa,  dalle melmose sponde dell’Idaspe è una scena che, per azioni e sacralità intrinseca, si fonde con lo spirito dei soldati felici di rientrare, è degno di poter essere annoverato alla pari di situazioni imponenti. La battaglia di Gaugamela, l’Ingresso a Babilonia, le Notti di Persepoli erano stati tutti momenti di una certa emozione, in cui decine di sentimenti, sensazioni ed emozioni si erano fusi con la spettacolarità della visuale e con la sacralità del momento.

 

Per questo furono istituiti dei giochi, agoni musicali e atletici, e vennero celebrati sacrifici imponenti agli dei ancestrali della Macedonia e alle divinità delle acque. Prima di partire venne espletato un sacrificio propiziatorio sull’ammiraglia a tutte le divinità. La partenza, annunciata da uno squillo di tromba, è l’attimo in cui la storia diventa spettacolare: l’immensa flotta scendeva lungo la corrente, mentre lungo le sponde erano occupate dalla marcia dei soldati guidati da Efesdone e Cratero. Tutti festeggiavano, soldati e indiani.

 

La cura che avevano avuto i macedoni nell’eseguire i sacrifici prima della partenza probabilmente aveva un qualche valido fondamento: il periodo dei monsoni non era ancora terminato ma soprattutto doveva esser giunta qualche notizia della pericolosità dei fiumi che avrebbero solcato.

 

Alla confluenza dell'Idaspe con l'Acesine, la corrente provoca numerosi danni e perdite alla spedizione tanto da trovarsi in pericolo anche l’ammiraglia, tanto da costringere una sosta abbastanza prolungata per la ricostruzione e la riparazione dei danni.

 

Nel periodo di acquartieramento, Alessandro si dedicò ad alcune campagne minori tra cui quella contro i Sibi e gli Agalassi e poi due maggiori, contro Ossidraci e i Malli (Ksudraka e Malava) , recalcitranti all’idea di un’invasione e conosciuti come i popoli più combattivi del Punjab.

 

Nonostante sia impossibile stabilire l’esatta ubicazione delle popolazioni sembra certo che i Malli abitassero il bacino Idraote, a nord della confluenza con l'Acesine.

 

I Malli

 

Lo Stratega iniziò a preparare quella che sarebbe stata la più cruenta campagna condotta in India; cominciò, come suo solito, a dividere le forze: la flotta avrebbe proseguito verso sud  e avrebbe atteso gli altri sulla linea del confine meridionale dei malli, otto giorni di distanza avrebbero separato le due colonne che avrebbero pattugliato le rive dell’Idraote guidate, quella occidentale da Cratero e Filippo (satrapo dell'India settentrionale), figlio di Macata, mentre quella orientale da Efestione e Tolomeo. Lo scopo di una tale manovra era quella di far chiudere la via di fuga verso sud con Nearco e lungo le sponde a nord con le due colonne che oltre a penetrare all’interno del paese dei malli, “tagliandolo in due”, avrebbero dovuto intercettare i fuggiaschi, colpendo tutti coloro che sarebbero riusciti a sfuggire al martello dell’intera operazione: Alessandro.

 

Il quale guidava la colonna maggiore ad armamento leggero, composta da squadroni di ipaspisti, un unico battaglione della falange, metà della cavalleria dei Compagni e gli ormai indispensabili arcieri a cavallo dahi.

 

Prese alla sprovvista da nord dopo, averlo aggirato, il paese mallio attraverso il deserto, trovando gli abitanti totalmente impreparati. Alessandro esplose in tutta la sua furia repressa: gli insediamenti  vennero presi esclusivamente con la forza, quindi assaltati, depredati e distrutti, gli abitanti vennero massacrati anche quelli che cercavano scampo, secondo le indicazioni date, solo alcuni si salvarono, coloro i quali trovarono rifugio nel deserto.

 

Dapprima i malli tentarono un timido tentativo di difesa in appostamento sull'Idraote, ma non resistettero neanche all’urto della vista,  ritirandosi all’interno ed evacuando la capitale ed occupando in massa la roccaforte più impervia della regione, di cui le fonti non riportano il nome, ma che sarebbe da identificarsi con l'odierna Multan.

 

La truppa sembrò riluttante ad assaltare la città, secondo gli ordini impartiti, in un momento in cui tutti bramavano il raggiungimento della patria. Per questo dopo il formale accerchiamento, Alessandro si scagliò quasi da solo contro le difese delle mura portandosi dietro tutti gli ipaspisti, guidati dal furore del loro generale; al quale, giunto in cima, la scala si spezzò lasciandolo isolato con un manipolo di compagni.

 

Alessandro si precipitò dagli spalti, all’interno delle mura, riparato parzialmente da un albero, dove divenne unico bersaglio dei difensori fino a quando una freccia non gli trapassò il petto bucandogli forse un polmone. Peucesta, Leonnato e i pochi compagni, tra cui Abrea, un soldato semplice, salvaguardarono Alessandro da morte certa difendendolo e proteggendolo dai nemici fino a quando gli ipaspisti irruppero riversandosi ovunque e, accecati dal fatto che Alessandro era stato ferito gravemente, o credendolo morto, iniziarono una durissima rappresaglia, uccidendo sistematicamente tutti, donne e i bambini compresi.

 

Immediatamente, Alessandro, dopo che  Perdicca gli estrasse la freccia venne sottoposto ad un delicato intervento chirurgico  da parte di Critobulo di Cos, rischiando la vita per dissanguamento. Dal luogo della confluenza dei due fiumi, dopo alcuni giorni venne condotto al campo base. Nonostante fosse ancora largamente convalescente, si mise davanti al suo esercito dopo essere riuscito a montare a cavallo da solo.

 

Tuttavia venne fatto riposare e nel frattempo ci si preparava a ripartire, qui giunse la notizia che gli ossidraci si sarebbero sottomessi, così come tutte le popolazioni della regione. Il loro territorio veniva annesso alla satrapia di Filippo, il cui territorio giungeva alla confluenza con l'Acesine con l'Indo dove si stava dirigendo la flotta. Qui grazie alla persuasione  operata da Perdicca, tramite operazioni di rappresaglia verso l’interno, Alessandro riceveva la resa delle tribù lungo il fiume, queste lo invitarono nel proprio territorio e nella loro capitale dove venne fondata una nuova Alessandria, detta di Opiene dove venne istituita la frontiera tra la satrapia settentrionale d’India e quella meridionale, nominando Pitone, figlio di Agenore, satrapo.

 

Dalla confluenza dell'Acesine con l’Indo alla foce dello stesso vi sono circa 2000 km, procedendo verso sud nella regione del Sind, l’ambiente va desolandosi fino a divenire il deserto del  Thar. Un principe indiano, Musicano, aveva ignorato la presenza del Re presso i suoi territori, Alessandro senza alcun preavviso, invase il suo territorio, e in breve tempo si vide arrivare incontro il rahaja che gli offriva doni e la sua stessa terra, scusandosi con il Sovrano che capì e riconfermandolo al suo posto, qui visitò la capitale (forse nell'antico sito di Alor, capitale medievale di Sind) rimanendo ammirato dal Paese e dalle sue istituzioni paragonabili, secondo la testimonianza del timoniere Onesicrito, alle doriche Creta e Sparta.

 

La città venne fortificata e provvista di un presidio militare che servisse da centro di controllo per la regione, quindi Alessandro si volse contro i confinanti, sottomettendo il territorio costiero a sud di Sukkur, governato da un tal Ossicano o Perticano – secondo la tradizione –, dopo aver assediato ed espugnato le sue due città principali. Quindi si rivolse ad una altro rahaja, Sambo, sovrano delle montagne ad occidente dell'Indo, che aveva fatto atto formale di sottomissione, ma aveva ritirato, come Abisare, la sua dichiarazione di fedeltà poco dopo. Una dimostrazione di forza gettò la capitale del regno, Sindimana, nello scompenso tanto da convincerla a sottomettersi.

 

Mentre il resto del regno di Sambo non decideva unanimemente provocando la reazione sanguinaria di Alessandro, il quale non era avvezzo ai giochi diplomatici indiani. Anche se il culmine della repressione, Alessandro lo raggiunse quando, durante la campagna contro Sambo, Musicano decise di sollevarsi. Questo voltafaccia venne ritenuto un affronto grondante di menzogna da parte del Re, il quale gli scagliò contro il neo-satrapo Pitone, che lo catturò e lo crocifisse con tutto il seguito di bramini, mentre Alessandro non faceva altro che portare devastazioni di ogni tipo nei due regni indiani.

 

Da una parte le rivolte cessarono sistematicamente, mentre il sovrano del regno del delta dell’Indo, Patalene, venuto a sapere dell’accaduto, fece atto di sottomissione incondizionato.

 

Ormai si era nei pressi del punto in cui il fiume e il mare si toccano, venne deciso che i veterani più anziani sotto il comando di Cratero, tre battaglioni falangiti, gli elefanti e le truppe, di fanteria e di cavalleria, considerate inadatte al servizio attivo, fossero distaccate e rispedite in occidente, oltre l’altopiano del Bolan e il passo Mulla, per la moderna città di Kandahar verso la valle dell'Helmand, dove, attraverso il Sistan, avrebbero raggiunto la Carmania.

 

Alessandro con la flotta, Pitone ed Efestione al comando dei reparti appiedati raggiunsero la capitale di Patala, (identificata con le rovine di Bahmanabad, 75 km ca. a nordest di Hyderabad), un luogo abbandonato dagli abitanti terrorizzati dalla terribile reazione di Alessandro contro  Sambo e Musicano dagli avvenimenti nei regni vicini, tanto che Alessandro fu costretto a dare garanzie di immunità e salvaguardia per ottenere un minimo di assistenza e di rifornimenti prima di solcare il grande Oceano Meridionale per verificare le antiche concezioni geografiche ma soprattutto per verificare l’esistenza di una rotta che collegasse l'India al Golfo Persico e all'Egitto.

 

Patala, per la posizione particolarmente favorevole sul delta dell'Indo, venne trasformata in un vero e proprio cantiere navale, che divenne tale dopo le varie rassicurazioni fatte agli abitanti sulla loro incolumità.

 

Iniziò quindi l’esplorazione alla cieca del delta dell'Indo, allora diviso in due rami principali e prese il ramo destro del fiume. Le avvisaglie per il rientro, iniziavano già con questa esplorazione, pr mantenendo una scorta armata sulla terraferma al comando di Leonnato, le difficoltà si presentarono sin dapprincipio.

 

Un uragano monsonico, prima e l’effetto delle maree oceaniche, sconosciute fino ad allora, causarono il danneggiamento di parecchie imbarcazioni e la distruzione perlomeno di un numero uguale, altre ancora vennero ritrovate arenate arenate a centinaia di metri dalle sponde.

Sull’isola nei pressi della foce, detta Ciluta, vennero riparare le imbarcazioni danneggiate e dopo avere compiuto i sacrifici di rito e innalzato altari a all'Oceano, a Teti e agli dei marini, Alessandro ratificava la fine del viaggio e soprattutto l’inversione di rotta. Dopo anni, per la macia non si guardava più all’alba ma al tramonto. Prima di rimabarcarsi la spedizione si riorganizzò, durante l’estate del 325 nel tentativo di costruire la base di Patala.

 

Durante questo periodo venne esplorato il secondo braccio dell'Indoche venne considerato decisamente più agevole da percorrere perché più riparato delle maree.

Iniziava così il viaggio lungo la costa dell’antico regno achemenide dell’Oceano Meridionale: vennero inviati, per la ricerca e la scoperta di acqua e messi, delle truppe in avanscoperta; inoltre venne deciso l’avanzamento, la rotta e le disposizioni e gli ordini verso i satrapi di Gedrosia e Carmania affinché provvedessero ai rifornimenti, bastevoli per quattro mesi.



 

 

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