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N. 23 - Aprile 2007

ALESSANDRO MAGNO. ALESSANDRO III DI MACEDONIA

Progetti e politica - Parte XIX

di Antonio Montesanti

 

Dopo essersi gettato nell’ennesima campagna militare per affogare il dolore seguito alla morte di Efestione, Alessandro, che probabilmente non riuscì a colmare del tutto la sofferenza trovò molto più interessante disilludere la propria ragione tenendola impegnata non più con lo sforzo fisico ma con quello mentale: il periodo che seguì fu dedicato alla progettazione e alle prime attuazioni di idee straordinarie.

 

Era chiaro che il primo scopo doveva essere quello di mantenere i rapporti tra le diverse parti dello sterminato impero via terra tramite enormi e rettilinee strade, e via mare soprattutto tramite la rotta navale tra India e Golfo Persico.

 

Soprattutto per quest’ultimo piano vennero ideati una serie di porti, sia lungo le foci del Tigri e dell’Eufrate nella Mesopotamia Meridionale, sia sulle rive iraniche del Golfo Persico; tra questi il più importante sarebbe stato quello, tra l’altro già iniziato della colonia della futura Charax-Mesene.


Questo tuttavia era solo il primo passo che avrebbe collegato la regione più orientale dell’impero con il Golfo Persico, in realtà il progetto prevedeva ben altre mire: l’obbiettivo principale avrebbe visto il collegamento diretto marittimo tra Egitto ed India.

 

Per fare questo era necessario annettere e rendere sicure le regioni arabiche che si affacciavano sull’oceano Indiano: il Re iniziò così a predisporre una flotta di 1000 navi per circumnavigare l'Arabia.

 

Vista la dimensione della flotta, nacque la leggenda che Alessandro volesse conquistare anche l’Occidente. Non vi è fondamento nel considerare ipotetici o addirittura apocrifi i racconti che narrano di un piano di conquista totale dell’Occidente conosciuto: la preoccupazione dei popoli europei, in particolare quelli più vicini e quindi più esposti lascia adito a pochi dubbi a riguardo.

 

Questa leggenda non lontana probabilmente dal vero e viene storicamente confermata anche dalla portata storica che ebbe il regno di Alessandro sull’Occidente, quando da tutte le regioni d’Europa e d’Africa Settentrionale iniziarono ad affluire a corte, nell’inverno 324/23 a.C. durante il viaggio che il Re stava compiendo per insediarsi a Babilonia, una serie quasi interminabile di ambascerie.

 

Le audizioni, nella bolgia generale di palazzo, probabilmente seguirono un ordine ben preciso: vennero suddivise in categorie, prima i propositori di questioni che riguardavano gli affari sacri, con priorità data ai centri panellenici e ai grandi santuari tra tutti quello di Ammone, considerato da Alessandro secondo solo a quello Olimpico, poi i portatori di doni, i sottomettenti e i proclamatori di decreti in suo onore, quindi i questionatori politici, i messi privati e, alla fine delle audizioni vennero collocati gli interdittori e gli obiettori di qualsiasi genere, come per esempio i contestatori del decreto sugli esuli. Nel bene o nel male di ogni singola ambasceria il Re non avrebbe modificato in qualsiasi caso i suoi progetti: la guerra in occidente restava inevitabile.

 

Tutti volevano ingraziarsi i favori del Re e del suo entourage ed evitare che fossero oggetto della conquista o per lo meno di una sottomissione incondizionata, dalla Grecia alla Spagna dalla Libia al Marocco.

 

Si ricordano con particolare fervore le ambascerie dei popoli che avevano un conto aperto con il Re, il quale non si era mai tirato indietro dal minacciare o dal promettere pesantissime rappresaglie per ogni evento in cui queste si erano rese responsabili di azioni da punire.

 

Dapprima si iniziò con le città Greche, di cui Arriano ricorda Epidauro, che avevano qualcosa da reclamare per i problemi creati dal decreto sugli esuli, anche se, in realtà, come per Atene, spesso queste ambascerie portavano segni di omaggio più spesso per farsi perdonare qualcosa piuttosto che per aprire trattative vere e proprie.

 

Alessandro non dimenticava. Cartagine probabilmente avrebbe rappresentato il suo primo obbiettivo, primo per la temibile potenza navale, che affrontata al pieno delle forze, e poi per l’atteggiamento dei Punici durante l’assedio di Tiro, in cui i Cartaginesi avevano dato un aiuto morale per prometterne altri concreti in futuro.

 

Quindi sarebbe stato il turno sia d’ambasceria, sia di conquista, per ordine d’importanza, della delegazione Libica e quindi di tutti i popoli nordafricani in genere e quindi dei bretti e dei lucani che si sentivano seriamente minacciati poiché non solo erano riusciti a fermare l’omonimo zio d’Alessandro, l’epirota fratello di Olimpiade, nella sua liberazione delle colonie greche dagli italici, ma lo avevano ucciso sotto le mura della città di Pandosia.

 

Quindi giunse anche una delegazione etrusca che doveva difendersi davanti al Re dalle numerose proteste, da parte delle città greche ed in particolare di Atene, la quale rimostrava pesantemente per le loro spregiudicate azioni di pirateria soprattutto nell'Adriatico.

 

Insieme alle delegazioni iberiche giunsero timidi segnali di riconciliazione da parte dei popoli balcanici: sciti europei, illiri, geti e traci. Infatti a nord del confine macedone, Alessandro, convinto della facilità degli eventi, aveva mandato un suo luogo tenente di basso profilo, Zopirio, il quale non solo non era riuscito a conquistare il territorio scita ma dopo aver superato il fiume Boristene, era caduto in una clamorosa imboscata che gli era costata l’intero esercito (326 a.C.). Non solo. I Traci spinti dalle popolazioni nordiche, guidati dall’odrisio Seute si sollevarono rendendosi di fatto indipendenti.

 

Tra tutte le ambasciate viene ricordata quella inviata dai romani, forse convocati o forse spontanea, gli ambasciatori della città capitolina inviarono dei messi di cui ci è rimasta traccia negli scritti di Arriano tramite due autori tardi: Aristo e Asclepiade.

 

Roma era all’alba della Seconda Guerra Sannitica, e visto il grado di parentela tra Lucani, Bretti e Sanniti, considerati quest’ultimi stirpe madre delle altre due, non è improbabile la possibilità di un accordo tra i romani e il Macedone che invece doveva vendicare la morte dello zio.

 

Le fonti, Clitarco, filtrato da Diodoro e dall’epitome di Giustino a Pompeo trogo, ci parlano di un ammonimento da parte del Re ai romani i quali controllavano il territorio degli Anziati, i quali erano accusati di atti di pirateria contro le colonie greche.

 

La volgata più tarda, considerata apocrifa, vedrà nell’incontro tra i delegati e il Monarca, un momento solenne in cui Alessandro avrebbe profetizzato per la città tiberina un glorioso futuro, pur sapendo ad oggi che il testo arrianeo, riporta l'episodio coscente che Roma è già una potenza mondiale.

 

Ma è più che probabile che quel momento nella storia vi fu, un momento in cui i due imperi per un istante solo si guardarono in faccia, e in cui Alessandro, involontariamente passava il testimone alla giovane potenza mediterranea.

 

E Alessandro l’avrebbe incontrata, quella potenza, probabilmente se la sua vita non fosse terminata prima di attuare quel progetto che Roma stessa dimostrerà realizzabile tre secoli dopo.

 

Come spesso accade alla luce di piani e progetti, di idee o supposizioni, di intenzioni e di presupposti non realizzati gli studiosi si scagliano contro l’inconsapevolezza dell’ipotesi e ancor di più contro l’irrealizzato. Definendo come impossibile ciò che invece in 10 anni per Alessandro era stato tale: la conquista totale del mondo orientale allora conosciuto. Alessandro pianificava ancora conquiste ed esplorazioni, di portata gigantesca ma non impossibile, almeno per Lui.

 

Alla sua morte furono resi pubblici alcuni documenti relativi a piani per la costruzione, sulla costa mediorientale, di 1000 navi da guerra e di una strada militare che corresse di pari passo a porti e darsene navali in luoghi strategici che gli permettessero di raggiungere le Colonne d’Ercole, chiudere il cerchio terraqueo del Mediterraneo, conquistare l’Europa e circumnavigare l’Africa.

 

Diverse fonti parlano di questo piano immenso e non è giusto che esso venga bollato come assurdo o addirittura apocrifo. Aristobulo, suo contemporaneo affermava che la voglia di conquista e conoscenza era interminabile. Già di ritorno dalla regione di Nisea, Alessandro aveva predisposto che venissero effettuate delle spedizioni esplorative.

 

I primi obbiettivi dovevano essere l’Impero Cartaginese, già sotto tiro per l’incoraggiamento morale durante l’assedio Tiro nel 332 a.C., inoltre nel 328 a.C. aveva pensato di raggiungere il Ponto Eusino, partendo da nord, seguendo il Syr Darya o il Mar Caspio.

 

Questa missione venne affidata a Eracleide di Argo, in modo che esplorasse il continente Eurasiatico con una flotta da guerra, seguendo le rive del Mar Caspio, per capire se si trattasse di un golfo dell’Oceano Settentrionale oppure parte del Ponto Eusino. In questo modo Alessandro progettava di conquistare la Scizia passando per Mar Nero collegando così il suo impero Orientale con l’occidente. 

 

Gli ultimi mesi di vita furono spesi dallo Stratega per preparare la grande spedizione, il Condottiero sapeva che la partita si sarebbe giocata sul mare e per questo predispose l’inizio della costruzione della immensa flotta nei numeri e nelle dimensioni: 1000 navi più grandi delle triremi.

 

La costruzione ed il reclutamento della manodopera, affidato a Miccalo di Clazomene, partito per la costa mediterranea dell’Asia con 500 talenti per procurare marinai, avrebbe esaurito le braccia disponibili sull’arco dell’intera costa fenicio-siriaca, che iniziò la produzione nei suoi arsenali di scafi, che inutilizzati saranno decisivi durante la Guerra Lamiaca. Da buon conoscitore di storie e narrazioni Alessandro, oltre a sapere che l’intera guerra si sarebbe svolta via mare, voleva, come sempre nella sua megalomania o prevenzione, costruire una flotta che fosse superiore a quelle sommate di tutti i potenziali avversari ed in particolare di Cartagine e Siracusa.

 

Aveva letto tramite lo storico Filisto di Siracusa dello spettacolare assedio di Mozia da parte di Dionisio il Vecchio e che in mare aveva messo 400 navi da guerra e che la flotta cartaginese fosse anche più grande.

 

Mentre si trovava in Carmania, al termine del ritorno dall’India, il Re aveva concepito il suo piano che non era un piano semplice di attacco lineare dai levantini a quelli punici e siculi.

 

L’offensiva, costituita da una prima trance della flotta per la spedizione araba era quasi pronta e sarebbe partita da Babilonia, scendendo dall’Eufrate sarebbe arrivata nel Golfo Persico per aggirare l’Arabia e forse l’Africa. Nearco intanto era giunto con i marinai risalendo l'Eufrate dal Golfo Persico.

 

Il legname per le navi stava arrivando, una parte dalla stessa regione babilonese, tramite l’abbattimento sistematico di tutti i boschi di cedro dell’area, mentre il grosso smistato a Tapsaco, come ordinato a Cratero, proveniva dalla Fenicia e dalla Cilicia, negli stessi cantieri dell’area sarebbero stati costruiti i componenti e una volta condotte sull’Eufrate sarebbero state montate, secondo la stessa tecnica usata in India, e mandate a sud fino alla Babilonia dove si stava dragando un bacino portuale che potesse accoglierle le 1000 imbarcazioni. Dopo appena un mese erano pronte le prime 47 navi provenienti dall'Asia Minore.

 

Rimanevano ancora due cose da fare prima di dare il via alle conquiste, per prima cosa attendere i resoconti degli esploratori Archia, Androstene e Gerone di Soli che avevano avuto il compito di esplorare le coste africane sull’Oceano Meridionale (Pacifico) per consentire a Nearco di portare a termine il progetto davvero ambizioso di circumnavigare l'Africa e contemporaneamente valutare la situazione in Arabia.

 

Secondo Arriano era intenzione ferrea del Re raggiungere le mitiche terre delle spezie e dei balsami (incenso e mirra) e conquistare insieme al “porto franco” di Gerrha, probabilmente anche lo Yemen. Due dei ricognitori, Androstene e Archia, erano rientrati dopo aver raggiunto la penisola di Musandam, relazionarono riguardo l’isola di Icaro (Falaika) e la fertilità di quella di Tilo (Bahrain), fertili e adatte all'insediamento.

 

Anche il pretesto per l’invasione si presentava su un piatto d’argento: gli arabi erano gli unici di tutta l'area a non aver mandato nessuna ambasciata per rivolgergli atto di omaggio formale.

L’intera costa meridionale arabica del Golfo Persico doveva essere fornita di basi navali e militari che avrebbero sostenuto la conquista armata dell'Arabia Felix, preludio alla conquista dell’Occidente.

 

La seconda cosa fondamentale da fare per poter portare a termine i preparativi per la partenza era consentire il passaggio, fino al mare, dell’intera flotta. Nel dare udienza alle ambasciate occidentali, e nel predisporre i lavori per il restauro dell'Esagila e per l’innalzamento del monumento per Efestione, Alessandro continuava a porre in primo piano le questioni militari: era necessario rendere navigabile tutto il tratto dell’Eufrate da Babilonia al mare Arabico.

 

Dopo aver studiato la situazione, vide che i fiumi che danno il nome alla regione, in alcuni punti presentavano un pescaggio troppo basso per ogni tipo d’imbarcazione, questo perchè benché la portata d’acqua fosse immensa, i fiumi erano utilizzati per l’irrigazione di centinaia di migliaia di ettari.

 

Sul finire della primavera la portata dei fiumi era immensa. Per quanto riguarda il Tigri l'acqua superava le dighe di sbarramento, scavalcandole, mentre in estate e autunno vi si fermava per immettersi nei canali d'irrigazione. Secondo gli abitanti del luogo il sistema di dighe sarebbe servito da difesa contro un ipotetico attacco navale. Alessandro ordinò di rimuovere immediatamente gli sbarramenti in modo che il Tigri fosse nuovamente interamente navigabile: il fiume avrebbe ricevuto traffico navale da entrambe le direzioni, Alessandria Charax avrebbe avuto la funzione di arsenale.

 

Sull'Eufrate invece non c'erano barriere al trasporto navale e una rapida analisi della situazione idrica, il Monarca osservò che la rete idrica non solo non era potenziata ma non appariva neanche ottimizzata e ciò era raggiungibile aprendo le bocche di alcuni canali e chiudendone altri, così da potenziare sia la navigazione sia l’irrigazione.

 

In particolare Alessandro agì fondamentalmente sul principale canale di deflusso del fiume. Il Pallacotta era il canale di drenaggio più esteso, che nelle piene consentiva un deflusso ordinato controllato delle acque, allagando l’area nei pressi della costa, formando al confine col territorio arabo, una vasta area paludosa. Durante i periodi di secca la bocca del canale era bloccata dalla manodopera babilonese con uno sforzo decisamente esagerato rispetto all’utilità che se ne otteneva e che richiedeva troppo tempo.

 

Inoltre non si otteneva, alla fine dei conti, un risultato perfetto non riuscendo a ottemperare al meglio alla sua funzione di sfiatatoio. Infatti il terreno alluvionale rendeva l'opera durissima da attuare; per questo motivo Alessandro diede ordine di tagliare una imboccatura del canale una decina di km più a nord dove il terreno più duro avrebbe consentito l’innalzamento di una vera e prorpria diga stagionale. Chiudendo l’imboccatura del Pallacotta, il livello dell'acqua si alzava rendendo la navigazione verso i laghi arabi agevole. Qui il Signore del Mondo fondava la sua ultima Alessandria, il cui il nucleo colonizzatore era costituito da mercenari greci, speculare Alessandria Charax alla foce del Tigri.

 

In questo modo le paludi arabe venivano parzialmente drenate, rendendo pronto il territorio ad una invasione terrestre, e la portata d’acqua dell'Eufrate avrebbe consentito la navigazione al mare della flotta.

 

Secondo i piani, e come sempre nel modus operandi di Alessandro, la forza di spedizione sarebbe stata divisa in due parti, l’una, affidata a Nearco, avrebbe conquistato e colonizzato il golfo Persico e l'Arabia e forse avrebbe proseguito con la circumnavigazione dell'Africa, la seconda parte della flotta, con il nucleo dell’esercito, si sarebbe spinto nel Mediterraneo dando ufficialmente il via alla guerra di conquista.

 

Intanto ormai, proprio a Babilonia, il raduno delle forze era completo: la flotta era più che pronta, testata da esercitazioni sull’Eufrate; il morale dell’esercito era alto, rimpinguato con forze mercenarie inviate dai satrapi di Lidia e di Caria. Inoltre era giunto il contingente più impressionante condotto da Peucesta: 20.000 fanti persiani, compresi cossei e montanari della Tapuria. Le truppe vennero inserite nello schema falangita macedone mantenendo le loro armi tradizionali, l'arco e il giavellotto. I macedoni formavano le prime tre file e il fondo, mentre al centro di ciascuna fila verticale erano disposti 12 persiani.

 

La loro funzione era di fare massa per dare impeto alle tre schiere di sarisse sul fronte nel momento dell'attacco. Una falange nuova e leggera come questa avrebbe comunque avuto ragione sugli avversari arabi dall'armamento leggero, e ben avrebbero svolto il loro dovere finché non fossero arrivati i rinforzi di Antipatro dalla Macedonia. Venne mandato allora un primo contingente navale per sorvegliare a costa araba fino agli stretti di Hormuz.

 

Tuttavia la nuova formazione non avrà mai modo di esprimersi poiché all’inizio dell’estate Alessandro si ammalò.



 

 

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