N. 17 - Ottobre 2006
ALESSANDRO MAGNO. ALESSANDRO III DI MACEDONIA
Dissensi
- Parte XIII
di
Antonio Montesanti
Una volta spazzati via tutti i nemici di una certa
elevatura, Alessandro, nelle dichiarazioni pubbliche
sosteneva ormai di aver vendicato il tradimento e
l'assassinio di Dario.
L’atteggiamento nei confronti di Besso era cambiato
quando aveva assunto la darà, e la punizione che alla
fine gli fu inflitta era quella cui andavano incontro
gli usurpatori nel periodo achemenide. Con le modalità
più adatte ad un supplizio che ad una punizione, che
sarebbe terminata con la morte, il Re riservò
all’usurpatore, quanto accaduto a Fravartish:
proclamatosi re di Media al momento in cui salì al
trono Dario I, aveva subito l’identica sorte del
principe di Battriana, anche la città della condanna
era la stessa: Ecbatana.
In questo modo, il giovane Principe, riprendeva le
tradizioni achemenidi e questo non avvenne per le sole
rievocazioni mitiche.
In quest’ultima frase si cela la tragedia di
Alessandro. In questa si aprono due differenti scuole
di pensiero sulla sua intenzionalità: tutt’oggi siamo
convinti che fosse suo desiderio, non proprio fondare
un nuovo regno, ma che si potessero fondere
all’interno dei confini delle terre a lui soggette,
razze, società, religioni e ideologie. L’immensa
apertura mentale, che contraddistingueva il discepolo
di Aristotele, gli dava la possibilità di ghermire e
fare propri usanze e costumi dei popoli che
incontrava.
È naturale che trattandosi di un re si comportasse
come tale nei luoghi che di volta in volta aveva
annesso. Secondo la maggior parte degli storici, che
seguono un grande filone degli storici antichi, in
base alle decisioni di farsi proclamare figlio di
Ammone e successivamente di adottare il cerimoniale
persiano, l’atteggiamento era puramente
autoproclamante. Il centro di tutto non era più il
nuovo impero, dalle connotazioni confuse e prive di
identità nazionale, ma la persona di Alessandro.
A questo punto dobbiamo necessariamente chiarire la
questione che già contemporaneamente condusse lo
spirito di coloro che erano vicino al Re, ad un
atteggiamento particolarmente inviso del loro sovrano.
I piani, su cui si collocavano pericolosi e
serpeggianti moti di contrapposizione alla figura del
Basileus (Re), diventavano più di uno. Non si
trattava ormai di andare incontro ad ignominiose e
ridicole, seppur pericolose, cospirazioni.
La questione, che poi sarà destinata a fallire,
dell’introduzione della proskynesis, e quindi
ad un diverso approccio del rapporto monarca-sudditi,
sarà causa di un certo malcontento. Dapprima non colpì
la cerchia più intima, poiché dalla stessa forma di
saluto erano esentati i macedoni più vicini al
sovrano, i quali continuavano ad essere trattati con
la stessa familiarità di prima, ma quella
immediatamente ad essa più attigua che era soggetta ad
una distanza maggiore dal centro e quindi trattata con
meno riguardo.
La durezza e la continua incertezza della campagna
nelle province del nord, crudeltà accentuata dai
tentativi di congiure, opposte visioni, scambi di
battute aveva segnato profondamente l’animo del
Giovane. I problemi più gravi iniziarono a sorgere da
una parte per la persona di Alessandro, dall’altra per
i suoi piani, quando iniziò a definirsi “Signore
d’Asia” come appare in una delle prime dediche fatte
incidere sull’isola di Lindo e soprattutto quando
concesse alle zecche che coniavano monete con la sua
effige, di incidere sui coni la legenda “BASILEUS”
(Re).
L’apice dell’autoproclamazione effettiva, quotidiana e
quindi pratica, venne raggiunta quando iniziò a
porgere la mano per il bacio rituale (proskynesis)
verso i sudditi persiani e a farsi attendere per
l’inchino di rito contemporaneo all’abbassamento del
capo; mentre i problemi più seri avvennero quando lo
stesso venne gesto di venerazione venne “ricercato”
anche nei confronti dei fedelissimi e compatrioti che
rimanevano sconcertati davanti a questo movimento,
bacio di cui, tra gli Elleni, era degno solo il
simulacro degli dei. Dopotutto, non esigeva, da
macedoni e greci, alcuna riverenza, ma ovviamente
doveva giustificare ai dignitari persiani il perché
l’atto di prostrazione fosse riservato solo ai sudditi
orientali.
Il malumore che serpeggiava tra gli amici del Re, e
che poi si diffuse verso le cerchie mano a mano più
distanti, faceva si che questi si offrivano
all’inchino di controvoglia, mentre altri non si
curavano di schernire un tale atteggiamento: l’apice
di questa riluttanza venne raggiunta quando Leonnato,
sentinella personale del Re, derise in pubblico un
suddito orientale, mentre “salutava” il nuovo monarca,
che a sua volta si alterò per l’accaduto.
I Greci, sin dalla nascita della tirannia, in Asia
Minore, circa 400 anni prima, avevano sempre avuto ben
chiaro un concetto, ovvero che nessun essere umano
dovesse essere omaggiato in maniera quasi regale,
poiché, questa forma di dispotismo, ossia di non
potersi confrontare più da uomo a uomo, anche con un
sovrano, era ciò che differenziava i Persiani,
ritenuti schiavi del loro signore e gli Elleni,
ritenuti uomini liberi.
Teorico e rivelatore continuo della questione, divenne
il filosofo e storico della spedizione, nonché nipote
di Aristotele, Callistene, che però era anche stato il
primo “inventore” della leggenda del figlio di Ammone.
Alessandro, visti i risultati, le resistenze, la
mancanza di comprensione dei suoi amici e tanto meno
delle truppe, decise che non vi sarebbe più stato
bisogno della proskynesis, ben sapendo che
questo avrebbe provocato una forma di riluttanza nei
suoi sudditi orientali che avrebbero iniziato a
vederlo non più come un sovrano ma come un uomo, delle
incrinature nei rapporti con la sua cerchia più fidata
e un atteggiamento avverso nei confronti di Callistene
che iniziava ad avvalersi di congetture e parafrasi di
tipo antitirannico durante dei convivi.
D’altra parte il Macedone iniziava a circondarsi anche
di dignitari persiani fino a reclutarne alcuni a capo
dell’esercito pur distinguendoli bene dai reparti
macedoni.
È piuttosto normale che divenne inviso anche alle
truppe originarie, che si sentivano frustrate, perché
non più valorizzate, in quanto speciali, inoltre
veniva a galla il fatto che in molti si rendevano
conto della pericolosità degli inserimenti.
Queste due situazioni porteranno, oltre ad un soffuso
malcontento anche a manifestazioni più cruente che
esploderanno in pronunciamenti da un lato e vere e
proprie congiure dall’altro.
L’attività militare di Alessandro non si fermava. Era
necessario debellare ancora quattro generali sogdiani,
ancora in armi, che avevano trovato scampo e rifugio
sulle montagne a sud di Samarcanda.
La direttrice d’occupazione, per una totale
pacificazione e soppressione dei rivoltosi, portava
verso la barriera dell'Hissar, la grande catena
montuosa che separa la Sogdiana Orientale, che venne
facilmente sottomessa, da quella Occidentale con una
orografia complessa che consentiva l’istallazione di
numerose fortezze.
Prima di entrare nella regione orientale, il Macedone
lasciava, memore delle rivolte alle spalle, Cratero e
sotto di lui quattro comandanti falangiti a presidiare
la Battriana. Inoltre sul confine del nord, lungo il
corso dell’Oxo stabilì una frontiera costituita da sei
fondazioni fortificate costruite su siti elevati la
cui tipologia, nella lingua locale, prendeva il nome
di avarna.
Inoltre proseguiva nel nuovo modo di combattere,
suddividendo ulteriormente l'esercito in piccoli
contingenti per occupare le aree ed i settori di
territorio insorto.
Uno dei quattro “baroni” o capifamiglia era un certo
Ariamaze, inerpicatosi su una rupe difesa naturalmente
e circondata da mura, praticamente irraggiungibile.
Era l’estate del 328 a.C. e l’impresa di scalare per
attaccare una fortezza a pareti verticali era
impossibile. Ma ancora una volta Alessandro cercò una
soluzione che nel suo finale lascia sbalorditi per il
genio e per l’effetto che essa produsse.
La fortezza benché in posizione elevata, doveva essere
incastonata all’interno di un sistema montuoso ancora
più ampio che a sua volta doveva dominare il picco
della cittadella fortificata.
Dopo aver chiamato a se tutti i più ardui scalatori e
montanari, quindi indicò loro una cima che su un
fianco era coperta alla vista degli assediati e li
invitò a scalare proprio quella parete alla per
ottenere un premio di 12 talenti.
Dopo una strenua lotta tra loro, il gruppo di
scalatori raggiunse la vetta, da cui si dominava
l’intera fortezza: bastò solo la vista di quello
sparuto drappello di “uomini alati” per far crollare
il morale agli assediati tanto da chiedere
immediatamente la resa, per questo motivo gli abitanti
non vennero massacrati o schiavizzati, ma furono
utilizzati poi per nuove fondazioni di tipo sinecista.
Al termine della campagna e dell'estate i
distaccamenti si ritrovarono tutti a Maracanda per
svernare, da qui sarebbero partiti gli ultimi
drappelli per le ultime operazioni belliche prima del
freddo delle steppe.
Qui poté incontrare numerose ambascerie inviate da
tribù e riutilizzò un antico uso dei Greci, ed anche
del padre, di
ottenere, in inverno, con la diplomazia
notevoli successi e riconoscimenti che in fase bellica
gli sarebbero costati numerosi soldati.
Più che altro doveva assicurarsi l’alleanza delle
popolazioni scitiche e dei saci che vivevano a nord e
ad ovest del SyrDarya. Impressionati dalla facilità di
sottomissione della Sogdiana, molte tribù scitiche
confermarono
la loro l’alleanza, tra cui il re dei Corasmi,
Farasmane,
il cui regno era il più potente tra
quelli di frontiera, confinava con i possedimenti
macedoni
con il tratto più meridionale del fiume.
Lo scita, accompagnato da una scorta di 1500
catafratti, concluse un alleanza con il nuovo monarca.
Offrì anche il suo aiuto, nel qual caso il nuovo
signore d’Asia avesse voluto espandere i propri domini
verso nord. Probabilmente aveva saputo degli interessi
geografici del Macedone e degli studi che portavano a
concludere che il mare nel quale si gettava il
SyrDarya fosse il Ponto Eusino.
Per questo motivo, Farasmane, mise in ballo anche il
mitico popolo delle Amazzoni. Ma proprio in quel
frangente gli storici affermano che Alessandro
dichiarava che il suo interesse primario fosse
l’India, e che in seguito, al suo ritorno avrebbe
iniziato, con l’appoggio dei Corasmi, una campagna per
la riunificazione a nord del suo impero.
Gli altri monarchi offrirono tutti le loro alleanze
fino alle offerte di matrimonio che Alessandro declinò
ma che col tempo diverrà un fatto ossessivo.
Era terminato un altro anno di campagne militari e
questa volta, al contrario di quello precedente non
era estremamente felice. Benché Battriana e Sogdiana
fossero sottomesse i suoi abitanti erano restii a
sopportare la dominazione macedone. Le perdite
gravissime, in considerazione di scontri non diretti,
vennero rimpiazzate dalle nuove leve provenienti
dall’Europa, circa 20000 uomini.
Questi nuovi inserimenti, un riposo forzato, le nuove
visioni del Re condussero ad un clima estremamente
teso tra Lui e gli alti ranghi dell’esercito
macedone.
Morte di Clito
Un inverno particolarmente rigido e lungo imponeva
alla forza di spedizione di rimanere acquartierata a
lungo a Maracanda. Ci si dedicò al rilassamento e al
divertimento dopo una battuta di caccia nella mitica
riserva di Basista, in cui andavano a cacciare i
sovrani achemenidi, al ritorno vennero organizzati
giochi e sacrifici in onore dei Dioscuri.
Quindi, prima di entrare in clima festoso, il monarca
passò alle nomine delle satrapie appena occupate e
Clito venne nominato, al posto di Artabazo, nuovo
satrapo della Battriana-Sogdiana.
La festa proseguì con simposi e feste per giorni; i
festeggiamenti lasciarono il posto a un simposio e,
sotto l'influenza del vino locale, gli adulatori di
corte si produssero in panegirici di Alessandro e
denigrazioni di suo padre.
Durante queste feste si passò com’era uso a tutti gli
eccessi possibili e sembra che l’enturage dei
cantori, poeti ed attori di corte
Tra cui spiccava un certo Pranico,
composero dei versi per far ridere i simposiasti e con
l’intento adulativi che veniva incitato dallo stesso
Re: da una parte si negava implicitamente la progenie da parte di
Filippo, quando Alessandro veniva paragonato ai
Dioscuri medesimi e dell'altra si deridevano gli
insuccessi dei generali sconfitti e uccisi nello
Zeravsan da parte di Spitamene, sottolineando che le
vittorie macedoni erano solo frutto del Generale.
Forse compensato della nuova nomina a satrapo, o
considerando la stessa come una sorta di degradazione
o un preludio all'eliminazione al pari di Parmenione,
satrapo di Media, il più iroso, violento ma comunque
schietto tra i compagni macedoni catalizzò su se
stesso, tra i fumi dell’alcol il risentimento dei
generali macedoni. Il figlio di Dropide, uno dei
generali più anziani,
già abbondantemente ubriaco, s’alterò oltremodo e in
un attimo di silenzio generale, prendendo la parola,
citò un brano dell'Andromaca di Euripide,
sostenendo che il re sfruttava per la propria gloria
le vite dei suoi uomini
e che non era giusto oltraggiare dei valorosi soldati,
caduti in terra straniera per servire chi li derideva
e di cui erano molto migliori, anche se erano caduti
per sfortuna.
Alessandro semplicemente replicò alla battuta
rispondendo che “Il Nero” difendeva se stesso quando
chiamava fortuna la viltà.
Nella risposta il compagno ricordava che era stato lui
a salvargli la vita al Granico proseguendo con
l’elogio di
Filippo a scapito del figlio:
“Eppure questa mia viltà ti salvò la vita, o illustre
figlio degli dèi, quando avevi già voltato la schiena
alla spada di Spitridate; ed è il sangue di questi
Macedoni, queste loro ferite, che ti hanno reso tanto
grande, da rinnegare tuo padre Filippo e proclamarti
figlio di Ammone”.
Da considerazioni pesanti che comunque riflettevano lo
stato d’animo dei personaggi, il clima si iniziò a
fare incandescente quando, il subalterno e amico del
Re passò dalle proprie constatazioni a vere e proprie
battute di scherno verso il suo antagonista:
vennero ridicolizzato il nuovo corpo di guardie
Persiane e soprattutto il nuovo modo di vestire del
Re.
Fino a quando poté replicare, Alessandro, proseguì
fino a quando non riuscì a tenere più testa alla
valanga di insulti che gli provenivano da un
conoscente e che quindi conosceva ogni suo punto
debole. Preso dall’ira, giunto al limite accusò
pubblicamente Clito di complotto, a questo punto si
sentì autorizzato a richiedere ai
suoi ipaspisti, in rigoroso dialetto macedone,
un’arma per poter tappare la bocca al provocatore
(durante i banchetti gli ospiti erano disarmati).
Le guardie capirono la situazione e giunsero con
un’estrema lentezza nei pressi della kline del
loro signore, mentre questo stesso, bloccato dalle
stesse sentinelle
piangeva disperato per essere stato tradito dalla sua
corte, al pari di Dario.
Mentre da una parte il sovrano veniva tenuto a bada,
gli amici condussero
a forza Clito lontano dalla sala del banchetto, tra
questi il più solerte, Tolomeo
riuscì a trascinarlo ben oltre le mura del palazzo, ma
Clito, dopo essersi divincolato, decise di rientrare
nell’aula del simposio, dove ancora in piena fase di
delirio il Re si era procurato una lancia che in uno
scatto di totale distrazione da parte degli ospiti
infisse nello sterno provocando la morte immediata
dell’amico.
Nell’istante stesso in cui la punta dell’arma entrava
nel petto del Nero, lo stesso Alessandro si rendeva
conto di quello che ormai aveva fatto. Divorato
immediatamente dal rimorso, sempre sotto gli effetti dell'alcol,
tentò di suicidarsi immediatamente con la stessa arma,
mentre veniva bloccato e questa volta senza indugio,
dalle sue guardie del corpo.
Passarono tre giorni prima che il Giovane condottiero
uscisse dal suo isolamento, senza cibo ne acqua,
consolato saltuariamente dai filosofi di corte,
Callistene e Anassarco, che probabilmente ebbe il
sopravvento sul primo, in cui in un discorso, ripreso
dall’Anabasi di Senofonte o dalla Politica di
Aristotele, riconosceva giusta ogni azione di un re,
in quanto incarnazione della giustizia.
Intanto gli amici, la corte e l’esercito, ebbero il
tempo per trarre le loro conclusioni. Incredibilmente
l’ala che ne trasse i peggiori auspici
fu proprio la corte, soprattutto quella propriamente
greca, d’accompagno, che considerava un atto
inconcepibile uccidere un ospite, ancor di più e pieno
di sdegno lo era, poiché quell’uomo oltre ad essere
il fratello della sua nutrice, e quindi un parente
acquisito, era anche colui che gli aveva salvato la
vita al Granico.
Le truppe, benché divise sull’accaduto, non ebbero una
visione univoca degli eventi, ed una piccola parte,
forse i gradi più elevati, disapprovarono la sua
azione riconducendola proprio ai suoi atteggiamenti.
L’esercito, dunque, nella grande maggioranza
condivideva l’azione del suo Re, che aveva difeso
personalmente il suo onore, condannando il ribelle per
la sua insubordinazione tanto da negargli i funerali
e, come accaduto per Parmenione, il risentimento fu
limitato nel tempo.
Lo stesso nipote di Clito, Protea, propositore ed
organizzatore proprio del fatale simposio, godette
sempre di gran favore a corte.
Il dramma nel dramma e che rappresentava comunque uno
dei problemi principali, pratici, ma fondamentale è
che nell’arco di un anno solare spariva il terzo
generale, tra i più valenti dell’intero stato
maggiore, per colpa dello stesso Re.
Sottomissione della Sogdiana
Nonostante
la morte di Spitamene e le numerose relazioni
diplomatiche che il Re condusse durante l’inverno, la
rivolta non era ancora del tutto sedata: i nonostante i grandi “baroni” battriani
e sogdiani si fossero arresi, ancora numerose
fortezze, governate da capi tribù indipendenti
continuavano a opporsi al potere macedone, benché
la popolazione locale fosse allo strenuo e
i nomadi sulla frontiera fossero divenuti ottimi
alleati.
Intanto giungevano ottime notizie dai territori più a
sud: Stasanore e Fratafeme avevano definitivamente
sottomesso le rispettive satrapie a loro assegnate: la
Partia e l’Aria-Drangiana.
Rimaneva ormai una sola fortezza detta“Rocca
di Sogdiana” perché tutta la regione cadesse sotto il
controllo macedone. Alessandro decise, nonostante
fossimo ancora in pieno inverno d’intervenire con una
spedizione in grande stile per chiudere
definitivamente la questione sogdiana.
Dopo numerose difficoltà, occupò la fortezza e fece
prigioniero il principe di quelle zone, il sogliano
Oxiarte e con lui la figlia di questi, Rossane.
Ormai rimanevano pochissime cittadelle fortificate in
mano ai rivoltosi e forse Alessandro capì che era il
caso di utilizzare un’altra carta, intuendo che la
rivolta sarebbe potuta proseguire all’infinito.
Decise, forse per questo motivo, o per la cantata
bellezza, di prende re in moglie la nobile battriana
Rossane.
Alessandro, pur non congiungendosi con una donna del
suo paese, si sposava in stile macedone mentre
invitava i suoi cortigiani ad unirsi in matrimonio con
altre fanciulle della regione.
Nei ranghi più conservatori dei collaboratori di
Alessandro, anche quest’ennesima azione venne vista
negativamente da parte dei puristi dello stile e della
cultura macedone come un ulteriore passo verso l'orientalizzazione
dell’impero, e che sfocerà nelle agitazioni di
Babilonia del giugno 323 a.C.
Dissensi o meno, Alessandro pareva fare sempre “la
cosa giusta” al momento giusto: non diveniva signore
di quei territori per conquista ma per diritto di
signoria, così come aveva fatto suo padre con l’Epiro;
Oxiarte divenne un suo fedele alleato che collaborò
per la pacificazione dell’intera area che avvenne in
maniera definitiva all'inizio della primavera del 327
a.C.
convincendo gli altri capi locali, tra cui il potente
Choriene, a consegnare il proprio territorio, e
soprattutto il proprio avamposto, che sarebbe costato
altro sangue macedone, mentre
Cratero e tre comandanti della falange
completavano la conquista espugnando,
in breve tempo e con perdite minime,
le ultime due cittadelle sogdiane
che persistevano nella ribellione.
Due anni di sanguinosissime campagne erano stati
necessari alla sottomissione delle due nuove province,
Battriana e Sogdiana. Il re comprese che non si
trattava di regioni “comuni”, in particolare la
seconda. Per questo passò ad una serie di
provvedimenti eccezionali: al nuovo satrapo, Aminta,
lasciò una guarnigione non comune formata da 10.000
fanti e 3500 cavalieri; istituì moltissime colonie
formate da gruppi di veterani macedoni che avessero
voglia di ricreare una nuova patria, coltivando
e proteggendo la terra dagli Sciti e dalle rivolte
intestine; inoltre per la prima volta e forse in
previsione dei suoi progetti futuri, dispose che
30.000 giovani locali
venissero
formati
e istruiti
a affinché costituissero una falange, armata e
disciplinata in stile macedone.
In questo modo venivano associate
una serie di questioni tutte a vantaggio del monarca:
la satrapia perdeva il nerbo della rivolta, così che
la popolazione adulta non si sarebbe ribellata ed in
più si rinfoltivano le file dell’esercito e si
iniziava il processo di ellenizzazione che proseguirà
per oltre due secoli.
L’inverno tuttavia non lasciava il posto alla
primavera, dopo due mesi di campagne nella regione e
alcune operazioni minori a nord dell'Osso, Alessandro,
dopo esser stato salvato dalle provviste inviategli da
Sisimitre da una tempesta accompagnata da un drastico
abbassamento della temperatura, si trasferì per primo
nei quartieri d'inverno.
Condusse una parte consistente delle sue forze a sud
di Battra e qui fissò il punto di raccolta di tutte le
truppe per l’invasione dell'India.
La congiura dei Paggi
(estate 327)
Definita in maniera romanzesca “dei paggi”, questa
congiura prende spunto da un episodio che scatenò sul
sovrano tutti i dissapori che si stavano condensando
intorno alla sua figura. Come le grandi cospirazioni
della storia, incredibilmente non sarà il vecchio
sistema a opporsi apertamente alle nuove concezioni
dinastiche, al nuovo sistema provinciale, alla nuova
figura ideologica del sovrano soprattutto, ma in
questo caso saranno i più giovani, i figli dei signori
di corte.
Le fonti appaiono concordi su l’intera questione:
durante una battuta di caccia un giovane Ermolao,
aveva abbattuto un cinghiale, che sembra stesse per
caricare lo stesso gruppo del Re, ma che a sua volta
aveva già “mirato” la bestia prima di scoccare la
saetta che lo avrebbe ucciso. L’atto di Ermolao,
figlio di Sopoli,
venne interpretato come un travalicamento della figura
reale, un affronto alla dignità, che portarono al
giovane una fustigazione pubblica.
Questa “ingiusta” punizione diede adito ad Ermolao di
esprimere un risentimento nei confronti del proprio
Signore che sfociò in una vera e propria
organizzazione a capo della quale si pose proprio i
giovane punito.
Il giovane, che faceva parte delle guardie del reali,
dopo aver costituito un gruppo di fedelissimi definì
il piano che avrebbe dovuto concludersi con
l’assassinio di Alessandro quando questi fossero stati
a guardia della camera da letto: i
giovani dell’alta nobiltà Macedone, addetti alla cura
della sua persona, avevano deciso di pugnalarlo mentre
dormiva.
Imprevedibilmente, proprio quella notte, il Sovrano
rimase alzato a bere fino all'alba e non richiese le
sentinelle, che si trovarono totalmente spaesate.
Indipendentemente dal fatto che il Re abbia avuto il
sentore o sia stato avvertito dell’accaduto, con il
tempo, uno dei giovani cospiratori si lasciò sfuggire
qualcosa con il fratello, un tal Caricle, che riportò
tutto al sovrano.
Secondo la nuova legge, dopo la congiura di Filota,
gli accusati vennero immediatamente arrestati
torturati e lapidati.
Il Re si era salvato dal più pericoloso attentato alla
sua vita.
Attualmente si ritiene che dietro ai “paggi” vi
fossero le figure paterne di personaggi potenti
estremamente vicini al monarca e parte attiva della
corte come lo stesso Sopoli e l’anziano Asclepiodoro,
padre di Antipatro.
La maggior parte degli storici tende a definire la
prokynesis elemento catalizzatore di tali
“disaffezioni” e di scontenti ben più grandi, sia
degli esponenti più anziani della nobiltà sia dei più
giovani.
Ma la questione della congiura termina al livello
storico con una tragedia e non con la sola lapidazione
dei giovani coinvolti: Alessandro aveva probabilmente
capito che l’intero “sistema” d’opposizione venutosi a
creare a corte, dipendeva da una questione ideologica
e che come tutte le ideologie doveva avere un suo
ispiratore.
Già le fonti, che appunto da adesso in poi escludono
lo storico ufficiale, concordano sul fatto che il
gruppo fosse influenzato da Callistene e che Ermolao
fosse addirittura il suo prescelto.
Durante le torture, i paggi, incolparono se stessi e
altri ma non nominarono Callistene, benché sembra che
gli sia fosse richiesto più volte, cioè se in un
qualche modo fosse coinvolto.
Alessandro, benché privo di prove, fece arrestare
ugualmente Callistene,
considerato l'istigatore del progetto e quindi
accusato di tradimento, il quale poco dopo, sotto
tortura o per malattia morì in prigionia.
In futuro i filosofi della scuola peripatetica,
fondata dal suo maestro, dipingeranno il nuovo Re come
un tiranno sanguinario, privo di doti personali e
pieno solo di fortuna a cui si dovevano tutti i suoi
successi.
Cambiamenti radicali
Nonostante le difficoltà intestine, nonostante quelle
belliche patite negli ultimi due anni, la spedizione
era pronta a ripartire. Alessandro non si voleva
fermare, Lui e le sue truppe erano pronte a
raggiungere posti lontani, il primo cercava qualcosa
che al pari di un dio (Dioniso, Eracle) lo conducesse
verso la gloria eterna, le seconde erano pronte ad
accaparrarsi le ricchezze che quella terra era pronta
ad offrire, in base a quelle leggende che in Occidente
circolavano da millenni.
Si può dire che con le ultime due satrapie
conquistate, i Persiani erano totalmente debellati e
sottomessi. A questo punto si doveva innescare un
nuovo meccanismo affinché la l’impero fosse
governabile e perché la spedizione fosse motivata
seriamente a continuare il viaggio.
Il primo aspetto riguardava la conquista o riconquista
delle satrapie più orientali dell’Impero Achemenide,
alcune divenute indipendenti e che Alessandro sentiva
“sue” di diritto. L’impero non aveva ancora una
capitale, formalmente ancora Pella, ma in realtà già
il Re pensava a Babilonia, come ricettacolo di tutte
le culture, africana, europea e asiatica; tuttavia
aveva già predisposto che però venissero accolti
dall’Europa, cittadini greci affinché questi
colonizzassero, per iniziare uno sfruttamento
intensivo dei campi, i nuovi territori e che
infondessero la loro cultura nei centri abitati. In
questo modo secondo i piani del Macedone, le città e
le campagne sarebbero divenute dei microstati, così
come lo erano le città-stato nell’Ellade, dei
satelliti socialmente ed economicamente indipendenti
ma politicamente sotto le insegne di unico potere
centrale.
Il secondo aspetto, quello del proseguimento del
viaggio o della conquista, fu decisamente più
difficile da attuare, non in tempi brevi, ma si
sarebbe rivelato un problema in futuro.
Alessandro, secondo i dettami del suo precettore,
sapeva che un impero per reggersi ha necessità di
continuare ad inglobare una serie di introiti notevoli
oppure avere una salda situazione politico-economica
al suo interno che gli consenta una certa tranquillità
interna. Fino a quando l’organizzazione dello Stato
non sarebbe stata pienamente attuata, era necessario
proseguire la conquista di territori sempre più
ricchi: per questo era necessario che il nuovo regno
occupasse le satrapie sul confine indiano e che, se
necessario si spingesse ancora oltre. L’India, la
terra mitica, era conosciuta quasi esclusivamente
attraverso i racconti di mercanti che spesso
giungevano in Europa con sostanze quasi magiche:
spezie, tessuti pregiati, gemme preziose.
Mentre i soldati ben capivano l’accaparrarsi di tutti
questi beni d’altra parte da lì a poco avrebbero
capito che le fatiche, i logoramenti, le nuove ed
incredibili condizioni climatiche e le temibili
battaglie sarebbero bastate per poter rinunciare; per
la partenza verso la terra mitica, Alessandro utilizzò
racconti, miti, analogie promesse di ricchezze e
soprattutto il suo ascendente da leader convincendo
pienamente i suoi soldati a proseguire.
Dopo aver convinto le sue truppe, che lo veneravano
decise, con un proclama di invadere l'India senza
alcun freno, senza limiti spazi-temporali.
La parola fine non gli apparteneva. |