I DIAVOLI DI LOUDUN
UN’ODISSEA TRA GRAZIA E ISTERIA
FIRMATA ALDOUS HUXLEY
di Alessio Guglielmini
Avventurarsi tra le pagine di
I diavoli di Loudun
di Aldous Huxley non è
un’operazione semplice. La vicenda
realmente avvenuta, di per sé, è
perfetta per essere romanzata.
Urbain Grandier, parroco gesuita
ambizioso e libertino, sconvolge la
vita della cittadina di Loudun.
Prima, intraprendendo una serie di
relazioni illecite con vedove e
figlie eccellenti dei dignitari
locali, poi finendo coinvolto in un
celebre episodio di possessione
demoniaca. Viene infatti accusato di
aver traviato, attraverso
l’evocazione delle forze diaboliche,
le monache del convento delle
Orsoline. Sono le allucinazioni
notturne delle suore e di Jeanne des
Anges, priora del convento,
istericamente ossessionata da
Grandier, insieme alle inimicizie
che il prete si procura da anni, a
portare al rogo di quest’ultimo, il
18 agosto 1634.
Huxley non drammatizza oltre il
lecito i fatti, a cui
aggiungepassaggi di fantasia,
adottando l’approccio più del
saggista e dello storico che del
romanziere, intrattenendosi con le
materie etiche e politiche che la
società del tempo offre al
ricercatore postumo. La più
affascinante concerne il rapporto
tra fede e sessualità.
Annota Huxley nelle prime pagine,
introducendo uno dei temi portanti
della narrazione, scrive: «La
sessualità si mescola facilmente con
la religione e la loro fusione emana
uno di quegli aromi leggermente
ripugnanti eppure squisiti e
penetranti che eccitano il palato
come una rivelazione: di che? Questa
è proprio la questione».
Grandier è esemplare nel riunire
queste due energie antitetiche:
seduce per gioco Philippe Trincant,
figlia del pubblico ministero di
Loudun, ma forse si innamora
seriamente di Madeleine de Brou, che
sposa in gran segreto con una
funzione autocelebrata, tutta da
verificare dal punto di vista del
diritto canonico. In questo secondo
legame pare subentrare un che di
mistico e provvidenziale: per un
libertino come Grandier, eleggere
una donna sull’altare dell’amore
sembra quasi un atto religioso.
Ovviamente, non la pensano così i
divulgatori dell’epoca e gli
antagonisti di Grandier: Huxley
indugia lungo le teorie di coloro
che vedono nella coercizione degli
appetiti della carne la chiave della
redenzione. È il caso di un grande
gesuita contemplativo, Louis
Lallemant, che per breve tempo a
Rouen, nel 1629, è istruttore di
Jean-Joseph Surin, l’esorcista che
andrà a “liberare” Jeanne des Anges,
quando ormai le ceneri di Grandier
sono già state sparse. Le tecniche
di Lallemant si riassumono in una
sistematica mortificazione
“dell’uomo naturale”. Da questo
punto di vista, spiega Huxley: «Lallemant
era un rigorista e aveva un’opinione
molto severa e agostiniana circa la
completa depravazione della natura
decaduta».
Questo accenno ad Agostino d’Ippona,
nella descrizione del portamento di
un gesuita, è degno di rilievo, dal
momento che stabilisce un contatto
tra i grandi contendenti teologici
della Francia di Grandier e Surin: i
giansenisti e, per l’appunto, la
Compagnia di Gesù. Secondo i seguaci
dell’olandese Giansenio (1585-1638),
che si rifanno alla dottrina di
Agostino, l’essere umano nasce
irrimediabilmente corrotto e solo
alcuni sono predestinati alla
salvezza, per intervento
provvidenziale della grazia divina.
I gesuiti, facendo leva sul credo di
Luis de Molina (1535-1600),
ribattono che la volontà umana è
fondamentale nel procacciarsi
l’azione salvifica della grazia,
negando quindi l’assunto della
predestinazione.
Huxley cita nelle sue digressioni
anche il più famoso “amico” dei
giansenisti, Blaise Pascal. Le
Lettere Provinciali
appaiono oltre vent’anni dopo la
morte di Grandier, inserendosi nella
contesa fatidica. Huxley prende le
distanze dalle inclinazioni
religiose di Pascal, preferendogli
il genio della sua esposizione: «Il
piacere che ci procurano le
esibizioni di Pascal è tale da
renderci ciechi al fatto che, nella
polemica tra gesuiti e giansenisti,
il nostro impareggiabile virtuoso
combatteva per quella che, in
sostanza, era la causa peggiore».
Huxley la definisce tale per
l’illimitato puritanesimo della
fazione giansenista che, a ogni
modo, non risparmia
nemmenol’approccio di gesuiti
implacabili come padre Lallemant. È
proprio un membro della Compagnia di
Gesù, il già menzionato Surin, che
per qualche tempo si è abbeverato
del pensiero di Lallemant, a essere
chiamato a Loudun per esaminare il
caso della priora posseduta. Il
generale dell’Ordine, Vitelleschi,
non gradisce questo coinvolgimento,
ma le pressioni di Richelieu sono
più forti di ogni ritegno.
Surin, che ai tempi del Collegio di
Bordeaux si è verosimilmente
imbattuto nell’intrigante Grandier,
giunge a Loudun il 15 dicembre 1634.
Ha 34 anni e, stando a Huxley,
mostra un rigorismo pessimista,
quasi più agostiniano che molinista.
Inoltre, è incline ad assecondare le
manifestazioni di estasi presso il
gentil sesso: recentemente haseguito
due penitenti degne d’interesse,
nella città portuale di Marennes.
Una di esse è madame du Verger,
moglie di un facoltoso mercante e
soggetta a visioni. Ma perché
preoccuparsi, si chiede Huxley,
delle grazie straordinarie che non
si sa mai se possono provenire “da
Dio, dall’immaginazione, da frode
deliberata o dal demonio?”.
La stessa pasta di Surin pare
suscettibile alla confusione e alla
manipolazione. Huxley gli
attribuisce una mente debole,
facilmente suggestionabile, indotta
a credere al reiterato intervento
del soprannaturale nelle maglie
della storia. A differenza di
numerosi colleghi, Surin sottoscrive
la possessione delle Orsoline di
Loudun. Jeanne des Anges, in cui il
confine tra recitazione, plagio e
isteria è particolarmente intricato,
non accetta di buon grado la venuta
di Surin. Prima dell’arrivo dello
zelante gesuita, si informa su di
lui, sui casi che ha seguito a
Marennes, per potersi preparare al
meglio.
Uno dei demoni che la comanda,
Isacaaron, ride delle buone
intenzioni del gesuita: «Soeur
Jeanne lo interrompeva con scoppi di
riso, barzellette (…), rutti
clamorosi, frammenti di canzoni,
imitazioni di porci che mangiano».
Surin, falliti i primi tentativi,
chiede di sobbarcarsi il delirio che
la priora sta subendo, per poterla
alleggerire del peso. Il 19 gennaio
1635 inizia un degrado psicologico
che a maggio descrive in questo modo
al confratello d’Attichy: «Per
gli ultimi tre mesi e mezzo non sono
mai stato senza un diavolo di turno.
La situazione è diventata tale (per
i miei peccati, penso) che Dio ha
permesso (…) ai diavoli di uscire
dal corpo della persona indemoniata
e di entrare nel mio, di assalirmi,
di buttarmi a terra, di tormentarmi
in modo che tutti possano vedere,
possedendomi per diverse ore di
seguito come un indemoniato».
Surin dichiara di avereal suo
interno “due anime”, un secondo “me”
che è intruso, tanto che due spiriti
si danno battaglia nel suo corpo. Da
una parte vige una pace assoluta,
una benevolenza massima ispirata da
Dio, dall’altra preme una forza
odiosa e terribile che si ribella
contro l’Onnipotente. Purtroppo per
Surin, d’Attichy non mantiene la
discrezione e la lettera viene
diffusa tra i gesuiti, facendo di
Surin oggetto di “divertimento”.
Se non altro, i progressi con la
priora sono tangibili, benché Huxley
alluda per lei a una nuova parte da
recitare: da posseduta a illuminata,
attraverso un faticoso training di
punizioni: «Abolì il materasso di
piume per dormire sulle tavole nude;
preparò decotti di assenzio da
versare sui cibi invece della salsa;
indossò un cilicio e una cintura
cosparsa di chiodi; si percuoteva
con una frusta almeno tre volte al
giorno».
Nel corso dell’estate, Jeanne va in
estasi mentre medita sulla passione
di Cristo. Quando si risveglia
ammette di “essere arrivata così
vicino a Dio da ricevere, per così
dire, un bacio dalle sue labbra”. La
tensione erotica, di nuovo, si fonde
alla rivelazione divina, producendo
“uno di quegli aromi leggermente
ripugnanti eppure squisiti e
penetranti” su cui Huxley ha
ammonito in apertura.
Malgrado l’esposizione del caso e le
pressioni del padre provinciale dei
gesuiti per riportare Surin a
Bordeaux, l’esorcista riesce a
scacciare quasi tutti i demoni che
turbano la salute della monaca. Dopo
un breve intermezzo di padre Ressès,
Surin torna a Loudun dove viene
stabilito un accordo con l’ultimo
demone: lui e Jeanne si recheranno
insieme in pellegrinaggio sulla
tomba di San Francesco di Sales ad
Annecy e l’entità diabolica si
leverà di torno. Per evitare
ulteriore scandalo, si decide che
Jeanne e Surin si trovino
direttamentead Annecy, viaggiando
per strade separate. A fine ottobre
del 1636, Surin ha concluso la sua
faticosa missione.
Per Jeanne si inaugura, viceversa,
un periodo di grande visibilità: in
qualità di santa vivente, è ricevuta
in pompa magna da arcivescovi, dallo
stesso Richelieu e dai reali di
Francia. Nel 1644 comincia a
redigere le sue memorie. Il suo
“salvatore”, di contro, tra il 1637
e il 1638, inizia a dare segni di
annichilimento. Huxley registra dal
1639 al 1657 un vuoto totale nella
sua corrispondenza, “un
analfabetismo patologico” che lo
rende incapace di scrivere e di
leggere. Per lunghi anni Surin si
convince di essere inevitabilmente
destinato alla dannazione, aderendo
di fatto alla dottrina giansenista.
Il 17 maggio 1645 tenta il suicidio.
È la simpatia affettuosa di padre
Bastide, nominato rettore del
collegio di Saintes nel 1648, a
riportare Surin sulla via della
redenzione: nel 1651, Surin inizia a
dettare a un amanuense le
composizioni che daranno vita al suo
Le catéchisme spirituel.
Le opere successive le scriverà di
suo pugno, così come sarà in grado
di tenere una qualche corrispondenza
con Jeanne.
Più che Grandier e Jeanne, è forse
Surin il protagonista della vicenda
dipinta da Huxley. È lui a vivere
più intensamente la crisi
controriformistica nella Francia
post editto di Nantes,
nell’indecisione tra libero arbitrio
e predestinazione, tra estasi e
illusione isterica, tra salvezza e
dannazione. Un’incertezza
fisiologica di cui la cittadina di
Loudun, pullulante di ugonotti e
preda ambita delle istanze
accentratrici di Richelieu, è
insieme ispiratrice e vittima.
Riferimenti bibliografici: