.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

contemporanea


N. 27 - Marzo 2010 (LVIII)

ALCOLISTI ANONIMI
UNA PANORAMICA GENERALE

di Cristiano Zepponi

 

Quest’anno ricorre il 75° anniversario dalla fondazione Alcolisti Anonimi, “associazione mondiale composta da più di centomila alcolisti, sia uomini che donne, che si sono uniti per risolvere i loro problemi comuni e aiutare i fratelli sofferenti a recuperarsi da quest’antica e sconcertante malattia, l’alcolismo”, il cui ruolo nel trattamento di soggetti alcoldipendenti non si può, ancora oggi, trascurare: eppure, quello degli A.A. resta un mondo lontano, misterioso e silente, che solo di rado attira le attenzioni dei media.
 

In Italia, dove le stime per la mortalità alcolcorrelata oscillano negli ultimi anni tra 17.000 e 42.000 decessi, i gruppi di auto-aiuto sono diffusi capillarmente e contribuiscono alla lotta contro il craving, il desiderio compulsivo di assumere sostanze psicoattive.

 

Per saperne di più ci siamo avvalsi dell’esperienza della dott.ssa Domenica Anna Maria Galli, psicologa e psicoterapeuta sistemico–relazionale presso il Centro Provinciale per l’Alcolismo di Via Monte delle Capre, a Roma. La dott.ssa ci ha spiegato innanzitutto che l’alcolismo, secondo l’impostazione del manuale americano DSM-IV, è inquadrato “nell'ambito delle dipendenze da sostanze”: alla base dell'alcolismo (e delle dipendenze in genere) vi é, almeno in parte, “un difetto della cosiddetta ‘catena della gratificazione’, che provoca la comparsa di comportamenti e sensazioni negative come ansia, rabbia, bassa auto-stima”.

 

Occorre inoltre un’altra precisazione: parlando d’alcol, infatti, si differenzia la dipendenza dall’abuso.

La prima, definita come “uso improprio della sostanza”, è caratterizzata da “a) la tolleranza definita come bisogno di dosi notevolmente più elevate di alcol per raggiungere l'intossicazione o l'effetto desiderato e come effetto notevolmente diminuito con l'uso continuativo della stessa quantità di alcol; poi, importantissima, b) l'astinenza che si caratterizza come sindrome da astinenza (tremore, delirium tremens, sudorazione, ecc.) e come assunzione dell'alcol per attenuare o evitare i sintomi di astinenza; inoltre, c) l’alcol è spesso assunto in quantità maggiori o per periodi più prolungati rispetto a quanto previsto dalla persona; d) vi è un desiderio persistente o tentativi infruttuosi di ridurre o controllare l'uso dell'alcol; e) viene spesa una gran quantità di tempo in attività necessarie a procurarsi l'alcol, assumerlo o a riprendersi dai suoi effetti; f) importanti attività sociali, lavorative o ricreative vengono interrotte o ridotte a causa dell'uso di alcol; e, infine, g) l'uso continuativo di alcol nonostante la consapevolezza di avere un problema persistente o ricorrente di carattere fisico o psichico”.

 

Il secondo, l’abuso, viene definito invece come “uso anomalo della stessa, tale da provocare significativi danni o disagi”, e si caratterizza per “a) l'uso ricorrente della sostanza che conducono ad un'incapacità di adempiere ai principali compiti connessi con il ruolo sul lavoro, a scuola o a casa - per es., ripetute assenze o scarse prestazioni lavorative correlate all'uso di alcol; assenze, sospensioni o espulsioni a scuola; trascuratezza nella cura della casa o dei bambini. Ancora, b) l'uso dell'alcol in situazioni fisicamente rischiose, come, per es., guidare un'automobile o manovrare dei macchinari; c) ricorrenti problemi legali correlati all'uso di alcol e, infine, d) l'uso continuativo dell'alcol nonostante persistenti o ricorrenti problemi sociali o interpersonali causati o peggiorati dagli effetti dell'alcol, come, per es., discussioni coniugali sulle conseguenze dell'intossicazione, scontri fisici, e così via”.

 

Stabiliti questi elementi generali, possiamo occuparci specificamente dell’associazione.

Nella battaglia contro l’alcolismo gli A.A. – nati negli USA nel 1935, ma attivi in Italia dal 1972 – si configurano come gruppi di auto-aiuto, ovvero “piccoli gruppi di persone che si riuniscono volontariamente per condividere problemi e disagi simili e cercare di trovare una soluzione attraverso l’aiuto reciproco” il cui obiettivo è quello di “trasformare coloro che domandano aiuto in persone in grado di fornirlo” ed il cui metodo si basa “su un programma di principi spirituali”; una delle funzioni principali del sistema, poi, è quella di "insegnare ai membri strategie per affrontare lo stress e individuarne le cause e le emozioni correlate”, combattendo al contempo la sensazione di solitudine e isolamento che molto spesso accompagna gli alcolisti.

 

La caratteristica della parità dei membri, oltre a favorire l’informalità dell’associazione, “rende tutti ugualmente responsabili dei risultati raggiunti e dell’aiuto elargito” e costituisce la principale differenza rispetto alle comunità terapeutiche, dove i tossicodipendenti “decidono di vivere” insieme ad “altre persone con disagi, motivazioni, esperienze simili” in un ambiente “dove vigono regole più o meno rigide, finalizzate a garantire l’autogestione e la cooperazione”. La scelta dell’anonimato, una delle peculiarità dell’associazione, è dettata “dall’umiltà che dovrebbe caratterizzare il cambiamento” e dal desiderio di “non apparire come personalità singole, individuali, ma condividere lo stesso percorso di recupero senza distinzioni di sesso, età, ceto sociale, professione, cultura religiosa e così via”; ed infatti non è possibile tracciare un “ritratto” dell’Alcolista Anonimo: “non esiste un'età, specifica, né una condizione sociale particolare, né una differenziazione per sesso”, ha precisato la dott.ssa Galli.

 

All’interno dei gruppi si parla molto di alcol, condividendo le esperienze emotive ed affettive, ed è particolarmente importante ammettere la propria “impotenza” di fronte alla sostanza: “considerarlo ‘potente’, quasi inattaccabile e vincente è veritiero; l'unica cosa che può renderlo impotente è la volontà di una persona di prendersi cura di se stessa”.
 

Dopo 75 anni il bilancio dell’associazione è positivo: non si può, infatti, non riconoscere l’utilità e l’importanza.

Ad ogni modo, delegare ai soli A.A. la gestione del problema dell’alcolismo appare rischioso: negli ultimi anni sta infatti prendendo piede “un tipo di approccio che integra aspetti bio-psico-sociali dell'alcolismo, considerandolo nella sua multidisciplinarietà, cioè come problema non solo medico, non solo psicologico, non solo farmacologico, ma come problema medico, farmacologico e psicologico, richiedente, pertanto i relativi interventi in forma integrata”.

Generalmente, questo nuovo approccio “prevede un ricovero in Day Hospital di 15 giorni”; nei mesi successivi, l'alcolista viene “accompagnato nel suo reinserimento sociale (famiglia, lavoro, ecc..), attraverso un sostegno psicologico individuale, familiare, di reinserimento lavorativo e nel gruppo dei pari, continuando l’utente, per almeno due anni, ad effettuare controlli medici e farmacologici a un mese, tre mesi, sei mesi e un anno dall'inizio del Day Hospital e continuando a frequentare liberamente tutti gli eventuali gruppi di riferimento, tra i quali gli A.A.”.

Anche se “ogni percorso terapeutico ove ci sia una volontà di prendersi cura di se stessi è valido”, l’auto-aiuto degli A.A. va supportato con una serie di strumenti psicologici, medici, farmacologici e, aggiungiamo noi, culturali: a maggior ragione in tempi come i nostri, che registrano la diffusione esponenziale dell’alcolismo, in particolare, tra donne e giovanissimi.

 

Secondo la dott.ssa Galli, e la gran parte del mondo scientifico, si tratta di problemi cruciali, che si riflettono nella composizione dei gruppi degli A.A.: il consumo alcolico femminile (influenzato da “una cultura che vuole la donna sempre più ‘alla pari’ con l'uomo, ma in modo alquanto distorto e illusorio” e più in profondità, da “un malessere dovuto al cambiamento di ruolo nella famiglia e nella società”) è denunciato infatti da diversi indicatori, tra cui il rapporto Istat 2008 “Uso e abuso di alcol in Italia”.

 

Per quanto riguarda i giovanissimi, invece, si constata come “l'età in cui la persona assaggia la prima bevanda alcolica si stia notevolmente abbassando”, anche per motivi culturali: “sono ancora pochi i giovani, purtroppo, che sono consapevoli di avere un problema legato all'alcol”. Diventa fondamentale, dunque, il ruolo delle scuole e soprattutto di “un'informazione più scientifica da parte dei mass media”, che spesso “non trasmettono la verità sull'alcol” e bombardano i giovani di “informazioni fuorvianti, non basate su verità scientifiche, mettendo in evidenza quanto l'alcol faccia sentire più sicuri di sé, più affascinanti nei confronti dell'altro sesso, etc...”, e tralasciando invece “i danni che l'abuso di alcol produce sull'organismo e l'influenza che ha sulle relazioni umane”: non basta, dunque, il minuscolo (e quasi invisibile) avvertimento di “bere responsabilmente”, per acquietarsi la coscienza.

 



 

 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.