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filosofia & religione


N. 120 - Dicembre 2017 (CLI)

LA PARABOLA ESISTENZIALE DI ALBERT CAMUS
ALCUNE CONSIDERAZIONI - PARTE IV

di Raffaele Pisani

 

Abbiamo precedentemente cercato di individuare in alcune opere di Camus dei tratti sufficientemente significativi per poter chiarire la sua visione del mondo, così come si è venuta a formare nel corso della sua esistenza umana e intellettuale.

 

Abbiamo tralasciato in questa sede di considerare La caduta, un testo che sembra rimettere in discussione alcuni punti che parevano assodati e rende più difficile un inquadramento del pensiero di Camus. Siamo convinti che la sua produzione letteraria e filosofica esiga una lettura sempre aperta a nuove prospettive, all’interno di una visione dinamica che escluda ogni struttura permanente.

 

Camus è in primo luogo un letterato che fa parlare i suoi personaggi, sulla carta come sulla scena, e non è detto che quello che dicono coincida sempre con il suo pensiero, anche se per alcuni la vicinanza è molto forte.

 

Nei loro discorsi comunque aleggiano alcuni interrogativi filosofici: cosa posso conoscere? Come debbo agire? E ancora, una conoscenza incompleta, come risulta essere quella umana, può costituire criterio sufficiente per l’azione? Come è possibile una felicità individuale quando l’esperienza ci dice che tale stato non è destinato a perdurare? L’incertezza si accresce quando ci si interroga riguardo a Dio e al problema del male. Perché c’è il male? Qual è il suo rapporto con il mondo? Chi l’ha prodotto? È possibile debellarlo o almeno combatterlo efficacemente?

 

La densità che rende il mondo estraneo e impenetrabile alle leggi della ragione umana fa da contrappunto a un tipo di conoscenza costruita da certezze sensibili, afferma ne Il mito di Sisifo: «Di cosa, infatti, posso dire ”Io lo conosco!”? Questo cuore, che è in me, lo posso sentire e ne argomento che esiste. Questo mondo posso toccarlo, e giudico di nuovo che esiste. Ma qui si ferma tutta la mia scienza, e il resto è costruzione. Se tento, infatti, di afferrare questo io di cui sono certo, se cerco di definirlo e compendiarlo, esso non è più che acqua che scorre fra le mie dita».

 

Camus sembra attuare una sorta di rifiuto del razionalismo per un empirismo sui generis, un empirismo, potremmo dire, estetico-sentimentale. La realtà è quella che il soggetto vede, tocca, assapora in un determinato momento, le costruzioni metafisiche esulano dalla possibilità di conoscenza; la stessa natura umana, di cui a volte fa cenno, non pare avere un significato ontologico, ma rappresenta piuttosto una consapevolezza che il cuore fa sua in certe situazioni privilegiate. Sembrerebbe quindi una sorta di intuizione sentimentale.

 

L’azione presenta delle urgenze che non possono aspettare, agire è più importante di teorizzare, il dottor Rieux ne La peste afferma: «Per il momento ci sono dei malati e bisogna guarirli. Poi, essi rifletteranno, e anch’io. Ma il più urgente è guarirli; io li difendo come posso, ecco». Anche per l’agire politico-sociale e nella stessa rivolta è presente la consapevolezza dell’ignoranza, del limite e del rischio.

 

Quanto alla felicità, è innegabile l’aspirazione di tutti gli uomini a conseguirla; le diverse posizioni riguardano i modi di concepirla e i mezzi per raggiungerla. Per il giovane Camus cogliere nel presente la perfetta unione con la natura che ci circonda è essere felici.

 

Camus pareva crederci e in Nozze così si esprimeva: «Avevo compiuto la mia opera di uomo e non mi sembrava un successo eccezionale aver conosciuto la gioia per tutto un lungo giorno».

 

Ma nel prosieguo del suo cammino esistenziale ha modo di ricredersi, la frase che mette in bocca a Caligola è emblematica di un cambio radicale di posizione: «Gli esseri umani muoiono nelle nostre mani, ecco la verità», medita amaramente l’imperatore, incapace di rassegnarsi della morte dell’amata Drusilla.

Del rapporto tra Dio, il mondo e il male troviamo traccia in tanta parte della produzione di Camus, a volte è espresso chiaramente, altre volte si può leggere tra le righe.

 

Di fronte alla bellezza del mondo il primo Camus è portato a una fruizione immediata che esclude ogni riflessione, si legge in Nozze: «Andiamo incontro all’amore e al desiderio. Non cerchiamo insegnamenti, né l’amara filosofia che si cerca nella grandezza. All’infuori del sole, dei baci e dei profumi selvaggi, tutto ci sembra futile». Di fronte invece agli aspetti negativi, di fronte al male che c’è nel mondo, egli è portato a chiederne ragione al Creatore.

 

Camus oscilla tra due atteggiamenti, quello ateo di fronte alla gioia e alla bellezza e quello del ribelle antiteista di fronte al male. Ammirando il mare, il sole e la terra rigogliosa di fiori e di frutti, Camus non si premura di chiedersi chi ne sia l’autore, è troppo impegnato a gustare il presente per porsi la domanda sull’origine.

 

Se c’è un principio originario, questo va cercato nella natura stessa, alla maniera dei Naturalisti greci, ma già cercare un principio è un astratto esercizio intellettuale. Meglio mordere il frutto succoso che abbiamo davanti. Di fronte al male Camus scopre invece la creaturalità del mondo, alla maniera della religioni rivelate e del cristianesimo in particolare; tale scoperta si trasforma ben presto in un atto d’accusa al Creatore: il dottor Rieux de La peste, di cui abbiamo già avuto modo di constatare la coincidenza con il narratore stesso, di fronte all’agonia di un bambino esclama: «Mi rifiuterò sino alla morte di amare questa creazione dove i bambini sono torturati».

 

A prescindere dalle sue intenzioni Camus costituisce un punto di riferimento importante per la purificazione della religione cristiana dai residui del paganesimo e dalla concezione veterotestamentaria che vede nella potenza la manifestazione di Dio. Egli contribuisce a far conoscere un Dio che si manifesta nel suo ritirarsi e lascia il mondo in balia di un divenire che sembra non avere senso, un Dio che, dal punto di vista dell’efficacia per le azioni umane, è come se non ci fosse e lascia tutta la responsabilità all’uomo.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

A. Camus, OPERE. Romanzi, racconti, saggi, Classici Bompiani, Milano 2000.

A. Camus, Caligula suivi de La poétique du premier Caligula, par A. James Arnold, Gallimard, Paris 1984.



 

 

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